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Dalle auto a guida autonoma al ritardo sull’elettrico, l’automotive europeo deve cambiare marcia

Nei Paesi sviluppati l’auto privata è un prodotto maturo e le industrie sono in difficoltà. Draghi: in Europa non si è investito abbastanza per il rispetto degli obiettivi climatici. Le opinioni di Zirpoli e Donati.

mercoledì 17 settembre 2025
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All’Iaa di Monaco, la rassegna biennale dedicata alla mobilità conclusasi lo scorso weekend, il tono è stato particolarmente franco. Accanto agli oltre 350 nuovi modelli (con i marchi cinesi presenti in massa), i capi delle grandi case automobilistiche hanno parlato di ciò che tutti sanno: l’industria europea dell’auto rischia di restare tagliata fuori dal progresso. “La festa è finita”, ha ammesso Oliver Blume, numero uno di Volkswagen e Porsche, “adesso si tratta di riorientarci”. Christophe Perillat, capo della francese Valeo, ha detto che la competitività europea è in pericolo, auspicando l’introduzione di requisiti minimi di contenuto Ue dell’80% nei veicoli venduti nel vecchio Continente. Oggi, infatti, molte auto elettriche vendute in Ue hanno batterie importate dall’Asia (Cina, Corea, Giappone) che possono valere anche il 30-40% del valore del veicolo.

Ridurre la dipendenza europea da fornitori esterni, soprattutto cinesi, rappresenta una necessità, ma non è certo l’unica. Un recente position paper del Jacques Delors Centre è entrato nel cuore della questione: “L'industria automobilistica europea sta entrando in un decennio decisivo, ma non ha una mappa chiara per orientarsi. Mentre i concorrenti globali accelerano la loro transizione verso i veicoli elettrici, l'attenzione strategica dell'Europa rimane offuscata da interessi frammentati, dipendenze dal percorso e pressioni a breve termine”.

Una delle sfide riguarda lo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035. Ieri, durante una conferenza a Bruxelles, l’ex premier Mario Draghi ha affermato che quel divieto “può essere irrealizzabile”, perché non ha innescato un circolo virtuoso e “rischia di consegnare quote di mercato ad altri, soprattutto alla Cina”. Anche le associazioni dell’industria automobilistica hanno dichiarato che il piano di riduzione delle emissioni del blocco dei 27 Paesi “deve essere ricalibrato”. Ma allo stesso tempo i grandi gruppi stanno investendo nei propulsori elettrici di nuova generazione. E questo sembra dare i suoi frutti: a Monaco Mercedes, Bmw, Volkswagen hanno mostrato i loro sforzi sui nuovi modelli, dall'autonomia ai tempi di ricarica, al software.

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Il nodo competitività

È indubbio però che, rispetto al passato, la competitività dell'industria automobilistica europea sia diminuita. Secondo McKinsey, dal 2017 le case automobilistiche del vecchio Continente hanno perso oltre 13 punti percentuali di quota di mercato. E circa 370 miliardi di euro di ricchezza industriale europea, ovvero il 21% del valore generato ogni anno dal comparto auto, sono a rischio con il passaggio all’elettrico. In gioco, dunque, non sono solo i volumi di produzione, ma il cuore stesso della catena del valore: fornitori e competenze che potrebbero sparire se non si riconvertono.

“L’industria dell’auto è costituita da due segmenti molto diversi: i grandi produttori e la filiera di fornitura”, dice a FUTURAnetwork Francesco Zirpoli, ordinario di Economia e Gestione dell'innovazione all’università Ca’ Foscari e direttore scientifico del Cami (Centre for automotive and mobility innovation). “I primi hanno margini e tecnologia sufficienti per elettrificare l'intera gamma prodotto rapidamente. A soffrire maggiormente la transizione è la catena dei fornitori, schiacciata tra la pressione dei costruttori a ridurre i costi e la necessità di riconvertirsi. In Italia fortunatamente la maggioranza dei fornitori produce tecnologie e componenti utilizzabili su vetture elettriche. La crisi è, quindi, di mercato, ossia legata al calo delle commesse e al crollo della produzione di Stellantis in Italia”.

Segnali di un declino che, secondo molti, è innanzitutto d’innovazione. In un duro editoriale del 9 settembre, l’Economist ha osservato che l’Europa “sta rapidamente perdendo terreno in ogni tipo di tecnologia. Il settimanale britannico ha preso a simbolo i robotaxi, ormai diffusi nelle città americane e cinesi (ne abbiamo parlato in un focus su FUTURAnetwork), mentre in Europa restano appena allo stadio di test. Proprio l’assenza di questi servizi, è la previsione, potrebbe diventare per i cittadini europei una sorta di “momento Sputnik”: il punto in cui ci si renderà conto di essere rimasti indietro rispetto a Stati Uniti e Cina in una tecnologia chiave, con il rischio che i due giganti dettino le regole del gioco anche nella mobilità autonoma. Aggiunge Zirpoli: “In Cina si è investito molto in innovazione di processo e automazione, portando gli stabilimenti a un livello di efficienza e flessibilità incomparabile con molti impianti europei. In Europa invece il tasso di investimento in innovazione è stato più basso, e questo ha reso più difficile fronteggiare fattori strutturali di svantaggio come il costo dell’energia e del lavoro”. Secondo il professore, però non si può parlare di fronte europeo omogeno: “Volkswagen e Stellantis, ad esempio, hanno strategie molto diverse: la prima ha puntato con decisione sull’elettrificazione ed è forte in Cina, la seconda è più presente in Nord America e ha investito meno sui modelli elettrici. Ma il punto che oggi dovrebbe mettere tutti d’accordo è che ridurre gli obiettivi climatici non aiuta la competitività. Senza innovazione in quella direzione, i produttori possono guadagnare tempo nel breve periodo, ma rischiano grosso nel medio-lungo”.

Le difficoltà sull’elettrico

Le recenti vendite di veicoli elettrici a batteria (Bev) in tutta l’Unione europea sono state inferiori alle aspettative iniziali. Per Bev si intendono le auto spinte solo da batterie ricaricabili, da distinguere sia dagli ibridi (che combinano elettrico e termico) sia dai modelli a idrogeno. In parallelo, ritardi e interruzioni nei progetti di punta sulle batterie hanno messo in dubbio la capacità dell'Europa di costruire una filiera davvero competitiva e autosufficiente. Eppure, come rileva il Global EV Outlook 2025 dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), la linea di tendenza è chiara: l’elettrico accelera dove prezzi, infrastrutture e politiche viaggiano nella stessa direzione; rallenta dove aziende e sussidi fanno passi indietro. Non è un caso che l’anno scorso la Cina abbia fatto da locomotiva: nel 2024 quasi un’auto nuova su due venduta in Cina è stata un New energy vehicle (Nev), categoria che include sia elettriche a batteria sia ibride plug-in. Un’avanzata sostenuta da prezzi più competitivi e incentivi al ricambio dei veicoli (permute) introdotti la scorsa primavera.

Se negli Stati Uniti la crescita ha rallentato, segnali interessanti sono arrivati dalle economie emergenti: in Asia, America Latina e Africa le vendite di auto elettriche sono aumentate di oltre il 60% su base annua nel 2024 e la quota di mercato è quasi raddoppiata, passando dal 2,5% al ​​4%. Negli ultimi anni, tra l’altro, in questi Paesi sono nati diversi nuovi marchi di auto elettriche, come VinFast in Vietnam, Togg in Turchia e Tito in Argentina, che hanno contribuito a incrementare le vendite.

In Europa, invece, la penetrazione dell’elettrico procede a un ritmo fisiologico, con quote tra il 15 e il 25% a seconda dei Paesi. “Ma bisogna chiarire un punto: la dinamica dipende molto più dall’offerta che dalla domanda”, riprende Zirpoli. “Quando una nuova tecnologia viene introdotta, all’inizio i consumatori disposti a pagare di più sono pochi. Poi col tempo aumenta la domanda grazie a costi più bassi e a una maggiore offerta di prodotto. Tocca ai produttori europei mettere sul mercato modelli accessibili e competitivi, altrimenti lo spazio sarà occupato da cinesi, coreani e giapponesi. Nei prossimi 3-4 anni il differenziale di prezzo tra auto elettriche e a combustione interna si ridurrà: a quel punto conterà solo la qualità e quantità dell’offerta”.

Una partita che si giocherà molto sul fronte tecnologico, per risolvere alcuni nodi cruciali, dai costi alla velocità di ricarica. Tra le tecnologie più promettenti ci sono le batterie allo stato solido, che promettono più autonomia, meno peso e maggiore sicurezza. Ma ad oggi sono molto più care delle batterie agli ioni di litio tradizionali e non esistono ancora catene produttive su vasta scala. Alcune case (Toyota, Nissan, Volkswagen, Bmw) hanno annunciato prototipi o linee pilota, ma non ci sono ancora gigafactory che sfornano milioni di celle allo stato solido.

In fase di sviluppo anche le batterie al litio-zolfo, per ridurre l’uso di materiali costosi o problematici (nichel, cobalto) e alleggerire i costi. Secondo Stellantis e Zeta Energy, che hanno firmato un accordo per realizzarle, “tale tecnologia potrebbe aumentare la velocità di ricarica rapida delle batterie fino al 50%”. Un’altra tecnica interessante, nel campo degli ioni di litio, è quella degli anodi ad alto contenuto di silicio, che promettono prestazioni migliori della grafite, unico materiale anodico utilizzato finora. La startup londinese Gdi afferma che i suoi anodi forniscono una densità energetica superiore del 30% rispetto agli anodi in grafite convenzionali e tempi di ricarica inferiori ai 15 minuti per i veicoli elettrici. E promette di metterli su strada entro il 2030.

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Non solo auto

La crescita poderosa che ha caratterizzato decenni di industria automobilistica si è fermata. Secondo i dati dell’Oica, la federazione mondiale dei costruttori di automobili, e quelli dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) , i massimi storici di produzione e vendite sono stati toccati tra il 2017 e il 2018: da allora non sono più stati superati. Nei mercati maturi (Stati Uniti, Europa, Giappone, Corea) c’è stagnazione. Che cosa sta succedendo? Le ragioni sono diverse. Prima di tutto la saturazione: chi voleva un’auto l’ha già comprata. In più i prezzi sono saliti: un’auto nuova è fuori portata per un numero crescente di famiglie. E, soprattutto nelle città, cresce l’offerta di alternative: treni, autobus, metropolitane, biciclette elettriche, monopattini, persino, come abbiamo visto, robotaxi. Va ricordato, inoltre, che le nuove generazioni sono meno interessate al possesso dell’auto privata: dal 2011 al 2021 il numero di auto intestate a giovani sotto i 25 anni in Italia è diminuito del 43%.  Non basta, dunque, parlare di quale auto guideremo domani, ma di quante ne useremo davvero. Alcuni segnali già ci sono. Per esempio a Singapore, ha ricordato Enrico Giovannini nella sua rubrica Scegliere il futuro, i box per le auto vengono costruiti più alti del normale (tre metri), così da poter essere riconvertiti in futuro per altri utilizzi, nell’ipotesi che il numero di auto diminuisca.

Insomma, l’auto è destinata a restare, ma la sua centralità assoluta andrà ridimensionata. Lo conferma a FUTURAnetwork Anna Donati, presidente di Roma Servizi per la Mobilità e coordinatrice del Gruppo di lavoro "Mobilità sostenibile" di Kyoto Club, che da anni studia il tema: “L’auto è sostanzialmente vittima del proprio successo. Dal Dopoguerra ha conosciuto un boom straordinario, ma oggi siamo in un mercato maturo. In Italia circolano oltre 40 milioni di veicoli: ormai non si cresce più, si sostituiscono quelli vecchi con i nuovi. Questo manda in crisi il modello che ha retto per decenni: crescere sempre. Già da vent’anni la produzione e l’occupazione sono in calo, ben prima dell’elettrico.”

Secondo Donati non si tratta solo di affrontare i problemi dell’industria, ma anche di reinventare spazi e città. Un tema che riguarda da vicino l’Italia: “La saturazione si vede soprattutto nei centri urbani: spazi pubblici occupati, traffico e congestione oltre soglie non più gestibili. Alcuni interventi ci sono stati: Ztl, reti tranviarie, metropolitane, sharing mobility. Ma l’espansione urbanistica in aree periferiche poco servite ha vanificato molti progressi. È lì che l’auto resta insostituibile, e lì dovremmo intervenire con nuove soluzioni di trasporto collettivo.”

Ecco perché il futuro dell’automobile non può essere separato da quello delle città: “Se continuiamo a costruire quartieri inaccessibili se non con l’auto, ridurre l’uso del mezzo privato sarà impossibile. Servono riqualificazione urbana e un forte potenziamento dei trasporti su ferro e metropolitani. L’obiettivo è abbassare di almeno il 10–20% l’uso dell’auto nelle città italiane entro il 2050, come prevedono i Piani urbani della mobilità sostenibile. Ma senza urbanistica e servizi integrati, non ci riusciremo”.

Copertina: Ansa