Lavoratrici madri, un progetto contro la child penalty
Il consorzio di imprese Elis per l’inclusione delle donne con figli nel mercato del lavoro. Dimissioni femminili il triplo di quelle maschili.
Child penalty, un inglesismo per ammorbidire il concetto, di per sé piuttosto ruvido in verità, che se sei lavoratrice diventare madre ti penalizza.
Per combattere questa vera e propria discriminazione di cui si parla ma senza che alle parole corrispondano atti finalizzati a porvi rimedio entra ora in campo un consorzio di imprese tra cui diverse grandi società (Accenture, Autostrade per l’Italia, Autogrill, a2a, Acea tra le altre), alcune Piccole e medie imprese, università ed enti nel campo della formazione.
Il progetto di semestre del consorzio Elis, avviato sotto la presidente di turno Elena Goitini e denominato Includere per crescere, vede proprio al centro delle attività del primo dei quattro anni di durata l’inclusione lavorativa delle madri.
“Essere penalizzate nel lavoro per aver scelto di essere madri è un’ingiustizia, che lede la libertà della donna in una scelta fondamentale per la vita e per il futuro del nostro Paese”, ha dichiarato Pietro Cum, amministratore delegato del consorzio, nel corso di un meeting a cui hanno partecipato cento top manager di grandi aziende presso la sede di Confindustria Veneto. “Per questo abbiamo deciso di partire proprio da qui con Includere per Crescere. È un impegno che si aggiunge allo sforzo che stiamo compiendo sul fronte della formazione, sempre insieme alle aziende, per promuovere la presenza femminile nei percorsi di studio e di carriera Stem (Science, technology, engineering and mathematics, ndr)”.
Interessante l’approccio evidenziato al problema, che non vede l’inclusione delle madri all’interno del mercato del lavoro come un supporto sociale a soggetti deboli ma, al contrario, come fattore strategico di sviluppo che genera per le aziende vantaggi economici, reputazionali e finanziari.
Un cambio di paradigma sottolineato anche da Pierroberto Folgiero, amministratore delegato di Fincantieri e Presidente dell’Advisory Board di Includere per Crescere: “Oggi il successo di un’azienda non si misura solo sui numeri, ma nella capacità di generare impatto sociale e creare valore condiviso. Il nostro obiettivo è fare in modo che innovazione e inclusione camminino insieme”.
Un’“iniziativa di sistema”, l’ha definita la presidente del consorzio nonché Amministratrice delegata di Bnl e responsabile del gruppo Bnp Paribas in Italia, Elena Goitini, “con un approccio inclusivo volto a coinvolgere imprese e istituzioni intorno a un obiettivo comune”.
Il primo passo è stato il lancio di una piattaforma dedicata proprio alle donne che, a seguito di una maternità, si sono viste costrette a lasciare il lavoro o a ripiegare su un’occupazione meno qualificata. Qui, inserendo i propri dati, sarà possibile conoscere le figure professionali più ricercate dalle aziende che aderiscono al progetto.
Secondo il più recente rapporto dell’Ispettorato del Lavoro a fronte di 16.161 dimissioni volontarie maschili quelle femminili sono 43,284, quasi tre volte tanto, evidenziando quello che la stessa relazione definisce un “profondo squilibrio di genere”.
Un congedo di paternità uguale alle madri
Lo chiede il 57% dei manager under 45, secondo un’indagine Ipsos per Manageritalia riguardante la parità di genere nelle aziende.
Se poi si vanno ad analizzare i dati relativi all’età dei dimissionari e alla presenza di figli nel nucleo familiare emerge che il modello di beneficiario (si fa per dire) delle dimissioni sembra essere “genitore di un figlio di età tra 0 e 1 anno prevalentemente donna”.
Per risolvere il problema alla radice occorrerebbe però mettere mano anche alla questione della discriminazione salariale.
Le donne infatti, come è noto, guadagnano meno dei colleghi maschi. Alla nascita dei figli, dovendo decidere quale membro della coppia resti a casa per prendersene cura, la scelta cade sulla madre anche a causa del minor guadagno.
La conferma viene anche dall’analisi dei settori in cui la child penalty è più diffusa, ovvero quelli in cui la presenza femminile è più elevata e i salari più bassi come il terziario dove le dimissioni volontarie delle donne superano l’80%.
Ci auguriamo quindi che il mondo imprenditoriale, che con questo progetto sta dimostrando di voler essere attore di cambiamento, abbia la volontà e il coraggio di affrontare il problema in modo più ampio e radicale, non limitandosi a interventi che diversamente potrebbero sembrare solo i classici “pannicelli caldi”.
Copertina: Vivek Kumar/unsplash