Innovazione globale: progresso o stagnazione? I segnali di un’era incerta
Calano gli investimenti, le pubblicazioni scientifiche e le domande di brevetti, ma lo sviluppo tecnologico avanza. Cina e Usa si contendono la leadership tecnologica. Incerto l’impatto della presidenza Trump.
Stiamo vivendo in un’epoca di innovazione senza precedenti o siamo entrati in una fase di stagnazione? L’idea di un progresso inarrestabile è radicata nella nostra società, ma osservando i dati che emergono dal Global innovation index 2024, realizzato dall’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, la situazione sembra incerta con segnali di rallentamento e miglioramento. Dopo una rapida espansione registrata nel 2020 e nel 2022, ad esempio, l’anno scorso gli investimenti nella scienza e nell’innovazione hanno subito un decisivo calo; tra il 2022 e il 2023 sono diminuite le pubblicazioni scientifiche (- 5,3%) e le domande di brevetti internazionali depositate (-1,8%). Nello stesso periodo i progressi tecnologici sono continuanti ad aumentare, in particolare in ambito sanitario (tra cui nel sequenziamento del genoma) e nello sviluppo delle capacità di calcolo e delle batterie elettriche. Sono cresciuti anche i tassi di adozione della rete 5G e di utilizzo delle auto elettriche. Per le tecnologie verdi, tuttavia, i progressi sono stati minori rispetto alla media degli ultimi dieci anni.
Le cinque novità che saranno protagoniste del prossimo futuro
Dalle cellule staminali per il diabete al vaccino contro il cancro, dalle diagnosi con l’intelligenza artificiale all’esplorazione dello spazio, passando per i progetti di energia pulita: il Guardian identifica le recenti conquiste della scienza che cambieranno il mondo.
Quali sono i Paesi più innovativi?
Per il 14esimo anno consecutivo al primo posto del Global innovation index c’è la Svizzera. Gli Stati Uniti sono terzi, la Cina undicesima. L’Italia è in 26esima posizione. Il Global innovation index prende in considerazione parametri come il numero di domande di brevetti depositati o la spesa in ricerca e sviluppo, rapportando alcuni di questi indicatori alla popolazione o al Prodotto interno lordo (Pil). È per questo che anche Paesi piccoli possono superare potenze come gli Stati Uniti o la Cina. Nel 2022 la Svizzera, ad esempio, ha depositato 5430 richieste di brevetto, meno di un decimo di quanto fatto dagli Usa; ma la sua economia è meno di un decimo di quella statunitense.
Indonesia, Mauritius, Arabia Saudita, Qatar, Brasile e Pakistan sono stati i Paesi che hanno maggiormente scalato la classifica. Mentre l’India negli ultimi anni ha registrato un indice di innovazione di gran lunga superiore rispetto al suo livello di sviluppo: oltre cento start up indiane si sono trasformate in “unicorno”, raggiungendo una valutazione in borsa di un miliardo di dollari, e nel 2023 l’India è stato il primo Paese a far atterrare un veicolo spaziale nella regione del polo sud lunare. La quota di Pil investita in ricerca e sviluppo, tuttavia, è ancora contenuta: meno dello 0,7% rispetto a una media globale dell’1,8%. Eppure, come spiega l’Economist, sviluppare competenze in materia di intelligenza artificiale (AI) sarebbe strategico per il Paese, anche per non dipendere dalla tecnologia straniera. Secondo il think tank Takshashila Institution, l’8% dei migliori ricercatori al mondo in ambito di AI sono indiani, ma quasi nessuno lavora in India. Affinché il Paese guidato da Modi diventi leader nello sviluppo dell’intelligenza artificiale occorre integrare l’insegnamento di materie e competenze per la digitalizzazione nei percorsi scolastici così come sviluppare misure per trattenere i giovani talenti.
L’ascesa dell’India: sfide e strategie per diventare una potenza globale
Per evitare la “trappola del reddito medio” il capitale umano deve essere impiegato in settori strategici e le disuguaglianze interne vanno ridotte. Crescono le rivalità con la Cina per l’egemonia sulla regione.
Italia, qualcosa si muove
Come evidenziato dallo European innovation scoreboard 2024, l’Italia è al di sotto della media europea per livello di innovazione, anche se si registrano miglioramenti rispetto al 2017 grazie all’incremento delle pubblicazioni scientifiche e del numero di persone coinvolte in percorsi di formazione continua. Anche il Rapporto ASviS 2024 evidenzia alcuni risultati positivi ottenuti dall’Italia, tra cui l’aumento della copertura della rete fissa ad accesso ultraveloce a Internet e la percentuale di persone occupate in professioni Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Tuttavia, gli investimenti in ricerca e sviluppo rimangono ancora troppo bassi: nel 2022 l’Italia ha destinato solo l’1,3% del proprio Prodotto interno lordo (Pil) alla ricerca e lo sviluppo, una percentuale in calo rispetto all’1,5% del 2019 e ancora lontana dall’obiettivo del 3% entro il 2030.
La rivalità tra Cina e Stati Uniti
“Il vecchio ordine mondiale nella scienza, dominato dall’America, dall’Europa e dal Giappone, sta arrivando alla fine” scrive il settimanale inglese, riferendosi al ruolo sempre più importante della Cina nella ricerca scientifica. Se prendiamo in considerazione il numero di paper di alto impatto, cioè le pubblicazioni che vengono citate più spesso da altri scienziati nei propri lavori, il cambiamento è evidente. Nel 2003 gli Stati Uniti producevano un numero di paper ad alto impatto 20 volte superiore rispetto alla Cina; nel 2013 questa proporzione si era ridotta a quattro e nel 2022 Pechino ha sorpassato sia gli Usa sia l’Unione europea. La Cina è al primo posto anche nel Nature index, che calcola il numero di contributi agli articoli scientifici pubblicati in alcune riviste scientifiche prestigiose. Nel 2014 era al secondo posto e contribuiva a meno di un terzo degli articoli rispetto agli Stati Uniti. La Cina, inoltre, è il Paese con più cluster scientifici e tecnologici, cioè reti di soggetti pubblici e privati che operano nella ricerca e nella formazione: ne ha 26, mentre gli Stati Uniti ne hanno 20 e la Germania otto. E tre dei cinque cluster scientifici e tecnologici più grandi al mondo si trovano in Cina.
Tra i campi in cui la il Paese asiatico sta investendo maggiormente c’è la biologia e in particolare la produzione agricola. Da alcuni anni il Partito comunista cinese sta infatti cercando di garantire la sicurezza alimentare al Paese. Un’impresa significativa se consideriamo che ospita quasi il 20% della popolazione globale, ma solo il 10% delle terre coltivabili e il 6% delle risorse idriche. Negli ultimi anni, ad esempio, gli scienziati cinesi hanno scoperto un gene che, se rimosso dal grano, permette di ottenere chicchi più lunghi e grandi e hanno trovato un altro gene che permette di coltivare il miglio e il sorgo in terreni salati. La Cina è leader anche nello sviluppo delle fonti di energia rinnovabili e di tecnologie green: ad esempio, sono cinesi la maggior parte delle pubblicazioni sui pannelli solari in perovskite, un materiale che garantisce un maggior efficientamento nella conversione della luce in elettricità rispetto alle celle tradizionali in silicio. È cinese la più grande azienda produttrice di pannelli solari e la principale società che fabbrica batterie di batterie. E gli ultimi anni Byd ha iniziato a fare concorrenza a Tesla nella mobilità elettrica.
Rinnovabili: solare prima fonte energetica nel 2040, l’eolico arranca
Dopo il voto americano e in attesa dei risultati della Cop 29, l’impegno degli Stati nella transizione verde torna al centro del dibattito. La Cina guida il trend, seguita da Europa, Usa, India ed Emirati Arabi Uniti.
Allo stesso tempo anche gli Stati Uniti stanno investendo molto in alcuni ambiti per rafforzare lo sviluppo tecnologico del Paese: nel 2022 il governo statunitense ha lanciato il Chips and science act, una politica industriale dal valore di 280 miliardi di dollari per creare fabbriche di microchip e formare il personale. E dopo un periodo di minor dinamismo e innovazione, negli ultimi anni negli Stati Uniti hanno ricominciato a nascere migliaia di start up: nel 2023 ci sono state oltre 5 milioni di richieste per aprire un’attività, l’80% in più rispetto al decennio precedente alla pandemia. In particolare, molte nuove start up si basano sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, creando strumenti che permettono di interagire con i clienti o semplificare alcune attività lavorative. Le nuove start up, inoltre, non si concentrano più nelle grandi città come New York o nei dintorni di San Francisco (la cosiddetta California’s bay area), ma si stanno diffondendo in tutto il Paese, anche in piccoli centri abitati.
La crescente rivalità tra Cina e Stati Uniti per la leadership nell’innovazione non porterà benefici per il resto del mondo. “Il costo maggiore della guerra tecnologica sarà la biforcazione delle industrie mondiali dell’informazione e dell’energia, cosa che porterebbe a un rallentamento della crescita economica e della decarbonizzazione” scrive l’Economist. Ed è probabile che con la prossima presidenza Trump le tensioni e la competizione con la Cina si acuiscano, restringendo ulteriormente i campi di cooperazione tra i due Paesi.
Cosa riserva la seconda amministrazione Trump
Investitori e fondatori di start up credono che la vittoria di Trump possa portare a “un’epoca d’oro per l’innovazione” grazie alla stipulazione di contratti governativi favorevoli e alla deregolamentazione, osserva il Washington Post. Molte persone nella Silicon Valley sono fiduciose che la nuova amministrazione possa favorire le start up che stanno sviluppando nuovi prodotti o servizi tecnologici. In campagna elettorale, però, le proposte politiche di Trump sulla tecnologia sono state poco chiare, mentre alcune delle promesse (come, ad esempio, i dazi sulle importazioni) potrebbero far ripartire l’inflazione, con effetti anche sulle aziende private che investono in servizi e prodotti innovativi.
Resta, inoltre, ancora poco chiaro il ruolo che svolgerà l’altro grande vincitore delle elezioni statunitensi, il miliardario Elon Musk, che ha finanziato la campagna elettorale di Trump con decine di milioni di dollari e ha utilizzato il social X, di cui è proprietario, per diffondere contenuti e notizie a favore del candidato repubblicano. Trump ha annunciato che Musk sarà a capo di un ente di consulenza che avrà il compito di verificare e tagliare le spese delle agenzie federali. L’ente si chiamerà “dipartimento per l’efficienza del governo” (Doge), ma nonostante il nome non sarà un’agenzia governativa. Questa nomina potrebbe favorire le aziende di Musk e le attività economiche legate all’intelligenza artificiale e alle criptovalute. Fino a dove si spingerà la sua influenza? Musk ha una visione del mondo ben precisa: vorrebbe uno Stato ridotto ai minimi termini, il taglio delle tasse e la riduzione delle norme e degli enti regolatori. “Non dico che non abbiamo bisogno di enti regolatori, ma che abbiamo sorpassato il limite” ha detto il patron di Tesla e Space X durante una puntata del popolare podcast di Joe Rogan, che nelle settimane prima delle elezioni ha avuto Trump e Vance come ospiti. “Pensiamo agli enti regolatori come agli arbitri in un campo sportivo. Non vogliamo non avere nemmeno un arbitro, ma nemmeno troppi. Altrimenti si rischia che l’atleta non possa fare punto perché ci sono troppi arbitri, non si può nemmeno più giocare” ha spiegato. Secondo Musk, infatti, un minor controllo statale e una deregolamentazione permetterebbero alle imprese statunitense di essere maggiormente innovative, e di conseguenza competitive a livello globale.
Copertina: 123fr