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L’ascesa dell’India: sfide e strategie per diventare una potenza globale

Per evitare la “trappola del reddito medio” il capitale umano deve essere impiegato in settori strategici e le disuguaglianze interne vanno ridotte. Crescono le rivalità con la Cina per l’egemonia sulla regione.

martedì 29 ottobre 2024
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Il mondo sta vivendo in una “era indiana”, ha dichiarato a inizio ottobre il primo ministro indiano Narendra Modi intervenendo a una conferenza sull’economia del Paese. Grazie a una rapida crescita economica, a un largo bacino di manodopera (dal 2023 è il Paese più popoloso al mondo) e a un settore tecnologico emergente, l’India è diventata la quinta potenza economica nel 2023, sorpassando il Regno Unito, ed entro il 2027 potrebbe essere la terza, superando il Giappone e la Germania. Nel Paese l’economia e l’innovazione sembrano in continuo fermento: oltre cento start up indiane si sono trasformate in “unicorno”, raggiungendo una valutazione in borsa di un miliardo di dollari, e nel 2023 l’India è stato il primo Paese a far atterrare un veicolo spaziale nella regione del polo sud lunare.

La crescita economica è uno dei punti centrali di “Viksit Bharat 2047”, il piano del premier Modi che punta a rendere l’India una nazione sviluppata entro il 2047, il centesimo anniversario dall’indipendenza dal Regno Unito, con un’economia del valore di 10mila miliardi di dollari (oggi è pari a 4mila miliardi di dollari). Come nota il settimanale inglese The Economist, tuttavia, negli ultimi mesi l’economia del Paese sta rallentando: tra aprile e giugno del 2024 il Prodotto interno lordo (Pil) è aumentato del 6,7% rispetto al 7,8% dei primi quattro mesi dell’anno. In calo anche la produzione di carbone ed elettricità e le vendite di automobili, che a settembre erano in calo del 19% rispetto all’anno precedente.

L’India rischia così di cadere nella “trappola del reddito medio” (middle-income trap), un’espressione coniata nel 2007 dalla Banca mondiale per descrivere le difficoltà di alcuni Stati, caratterizzati da una rapida crescita economica, nel diventare Paesi ad alto reddito. Secondo le stime della Banca potrebbero servire 75 anni a New Delhi per raggiungere un livello di reddito pro capite pari a un quarto di quello statunitense. Tra i Paesi del G20 l’India è quello con il Pil pro capite più basso (pari a 2700 dollari).

Per poter diventare una nazione sviluppata, inoltre, l’India dovrebbe adottare politiche mirate a ridurre le disuguaglianze che al contrario continuano a crescere: secondo uno studio del World inequality lab, nel 1990 l’1% più ricco della popolazione possedeva il 10,5% del reddito nazionale, una percentuale che nel 2023 ha oltrepassato il 22%. Nello stesso periodo il reddito nazionale posseduto dal 50% più povero della popolazione è passato dal 22,4% al 15%.

In India il numero di persone che vivono in povertà estrema è passato da 431 a 129 milioni tra il 1990 e il 2024, ma 234 milioni di persone (pari al 16,4% della popolazione) si trovano ancora  in condizioni di povertà multidimensionale, un indice che considera i livelli di salute, educazione e gli standard di vita, e il 12,9% della popolazione vive sotto la soglia di povertà pari a 2,15 dollari statunitensi al giorno. Nel 2024 la nazione si è posizionata al 105esimo posto, su 127, nel Global hunger index: il 13,7% della popolazione è malnutrita e il 35,5% delle bambine e dei bambini sotto i cinque anni presenta un ritardo nella crescita.

La povertà estrema nel mondo diminuisce ma ancora non riusciamo a conoscere a fondo il fenomeno

È necessario arricchire gli indicatori non monetari nei diversi Paesi. Opportuno includere nelle misurazioni parametri come istruzione, sanità e aspettativa di vita.

Trasformare l’economia

Dal 2014 il primo ministro Modi ha deciso di investire sul settore manufatturiero: l’iniziativa Make in India punta a rilanciare la produttività del Paese e ad attrarre investimenti esteri. Per poter trasformare l’economia, tuttavia, l’India deve concentrarsi sul proprio capitale umano. Solo il 12%-14% della popolazione è oggi impiegata nella manifattura, mentre il 46% (in aumento rispetto al 43% del 2019) lavora in agricoltura, un settore poco produttivo e particolarmente esposto al cambiamento climatico. Secondo le stime dell’Ilo, inoltre, l’88,8% delle persone occupate svolge lavori informali che non prevedono un regolare contratto e forme di tutela dei diritti dei lavoratori.

Importanti opportunità per lo sviluppo dell’economia indiana potrebbero arrivare dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale. L’India ha già adottato alcune iniziative in questa direzione, come la National quantum mission (per sviluppare la tecnologia quantistica) e l’India semiconductor mission (per rendere il Paese un hub di sviluppo e produzione di semiconduttori). La quota di Pil investita in ricerca e sviluppo, tuttavia, è ancora contenuta: meno dello 0,7% rispetto a una media globale dell’1,8%. Eppure, sviluppare competenze in materia di AI sarebbe strategico per il Paese, spiega l’Economist, sia per non dipendere dalla tecnologia straniera sia per accelerare lo sviluppo del Paese. Occorrerà quindi includere nei percorsi scolastici l’insegnamento di materie e competenze per la digitalizzazione e l’AI, e trattenere i giovani talenti. Secondo il think tank Takshashila Institution, l’8% dei migliori ricercatori al mondo in ambito di AI sono indiani, ma quasi nessuno lavora in India.

Un altro tema è l’inserimento lavorativo di circa sette milioni di ragazze e ragazzi che ogni anno entrano nel mondo del lavoro. Sebbene la disoccupazione giovanile si sia ridotta dal 17,5% del 2019 al 12,5% nel 2022, rimane preoccupante soprattutto tra i giovani con un alto livello di istruzione: tra quelli in possesso di un titolo terziario, quasi uno su tre (il 29,1%) non ha un lavoro, un’incidenza nove volte più alta rispetto a una persona che non sa leggere o scrivere (3,4%).

Anche l’India, come altri Paesi, alla fine dovrà fare i conti con una popolazione che invecchia. Anzi, le trasformazioni demografiche potrebbero essere più rapide di quelle osservate in Occidente. Come sottolinea la Banca mondiale, i Paesi a medio reddito stanno invecchiando più rapidamente rispetto a quanto accaduto in passato ai Paesi ricchi. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno impiegato 69 anni per passare da una società che invecchia (in cui la popolazione con 65 anni o più è pari al 7%) a una società anziana (in cui il 14% della popolazione ha 65 anni o più). L’India ci arriverà fra circa 25 anni.

Una politica estera ambigua

Tra il 22 e il 24 ottobre 2024 l’India ha partecipato al vertice dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che si è svolto a Kazan, in Russia. Al vertice erano presenti per la prima volta anche i nuovi membri (Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti). Il presidente russo Vladimir Putin ha aperto l’incontro affermando che sta emergendo “un mondo multipolare che metterà fine all’egemonia dell’occidente”. Tuttavia, al suo interno il blocco dei Brics non è così coerente. A partire dall’India che continua a mantenere una posizione ambivalente: non ha mai condannato l’invasione russa in Ucraina, non ha accettato la richiesta di includere Kiev nel G20 e ha continuano ad acquistare attrezzature per la difesa e petrolio da Mosca, ignorando le sanzioni occidentali; ad agosto 2024, solo poche settimane dopo essere stato in Russia, Modi è andato in Ucraina (la prima visita ufficiale di un premier indiano nel Paese), promettendo aiuti umanitari. Allo stesso tempo negli ultimi anni ha rafforzato le relazioni con gli Stati Uniti, in particolare in ambito di sicurezza e difesa e dal 2007 è parte del Quad (Dialogo quadrilaterale di sicurezza), un’alleanza stretta con Usa, Giappone e Australia per garantire pace e stabilità nel Pacifico e contrastare l’espansionismo cinese.

La grande partita in Oceania, tra rivalità Usa-Cina e azioni climatiche

Mentre rafforzano gli accordi commerciali e di sicurezza con le due superpotenze, gli Stati insulari ottengono un’importante vittoria presso il Tribunale internazionale del diritto del mare. La sentenza potrebbe avere un impatto sui futuri contenziosi sul clima.

L’India infatti sta cercando di affermare il proprio ruolo nella regione, offrendo aiuti finanziari ai Paesi del continente e cercando di ridurre l’influenza cinese. Un esempio è dato dal Bhutan, un piccolo Stato himalayano di 760mila abitanti incastrato tra le due potenze. Storicamente legato all’India e destinatario del 35% degli aiuti esteri indiani, da qualche anno il Bhutan ha rafforzato le proprie relazioni commerciali con la Cina. In risposta l’India ha promesso di stanziare 1,2 miliardi di dollari in aiuti allo sviluppo nei prossimi cinque anni. Era già accaduto qualcosa di simile nel 2022 con la crisi economica dello Sri Lanka e lo stanziamento, da parte dell’India, di aiuti pari quattro miliardi di dollari. Le Maldive, che riceveranno finanziamenti per 750 milioni di dollari, sono solo l’esempio più recente della nuova strategia indiana che cerca di approfittare delle difficoltà cinesi per aumentare la propria influenza. E consolidare l’idea di una nuova era indiana.

Copertina: Naveed Ahmed/Unspash