Anziani e bisogno di cura: che fare?
Nel film-documentario CareSeekers si affronta un problema che esploderà nel prossimo futuro e di cui le istituzioni non si fanno carico.
Che cosa può spingere decine e decine di persone a riempire un auditorium in provincia di Lecco in una serata in cui sugli schermi televisivi impazza il Festival di Sanremo?
Dev’essere un bisogno davvero molto pressante e a cui è difficile trovare risposte adeguate… Il bisogno si chiama “cura” e l’occasione è data dalla proiezione di un film-documentario, CareSeekers, organizzata da un’associazione che, come lascia intuire il nome “Dietrolalavagna”, solitamente si occupa di giovani.
Viviamo in un tempo in cui, a causa di un intreccio di eventi tragici (prima la pandemia, poi le guerre) tutti, indistintamente, hanno necessità di cura.
Ma la pandemia da Covid-19 ha evidenziato anche l’importanza di avere persone che, grazie alla loro specifica professionalità, possano rispondere a quel bisogno. Mentre le fabbriche si fermavano e gli uffici chiudevano, a restare aperti e funzionanti erano gli ospedali, dove medici e infermieri curavano gli infetti con grave rischio per la propria salute e incolumità.
Il film in realtà si focalizza sugli anziani, che statisticamente sono e saranno nel prossimo futuro le generazioni più numerose e bisognose di assistenza e mostra un mondo prevalentemente femminile, sia perché statisticamente le donne vivono più a lungo sia perché le professioni e i mestieri legati alla cura sono caratterizzati da un’alta presenza di appartenenti a questo genere.
La rivoluzione della cura
Il lavoro di cura, da sempre ritenuto appannaggio delle donne e confinato nel privato, può diventare il fondamento di una nuova etica.
CareSeekers, della cui sceneggiatura sono autrici Tiziana Francesca Vaccaro e Teresa Sala (che ne ha curato anche la regia), racconta in quattro episodi la difficile ricerca di una valida risposta alla domanda che chiunque abbia raggiunto un’età anziana o stia per raggiungerla si pone: “Chi si prenderà cura di me?”.
Se lo chiedono Vanni e Natalia che hanno fatto da caregiver alle loro madri, mentre Miranda, signora ultranovantenne con demenza senile, ha trovato una risposta nell’accudimento di Vasilica, badante rumena a sua disposizione 24 ore su 24, che a sua volta si chiede però che ne è della propria vita lontana dai suoi figli e priva di ogni libertà. Situazione simile a quella di Marienne e delle sue colleghe, quasi tutte straniere, che lavorano come assistenti in una Casa di Riposo per le signore della Milano-bene, tra turni massacranti e tentativi di resistenza.
Provano a trovare una soluzione più soddisfacente, sperimentando una convivenza in un paesino della Sardegna, quattro amiche ancora attive e in buona salute che non vogliono però farsi sorprendere dall’arrivo di una stagione che le vedrà più fragili e bisognose.
Ad alleggerire un tema di per sé impegnativo c’è il gruppo di donne che si ritrovano presso la sede dell’Auser di un paesino in provincia di Reggio Emilia e che senza venir meno all’allegria e alla concretezza tipiche della loro terra cercano soluzioni condivise a un problema sempre meno individuale e sempre più sociale.
“Il film non vuole tanto dare risposte, quanto porre un problema”, dice Tiziana Francesca Vaccaro, “anche perché pensiamo che non ci sia una risposta valida per tutti. Bisogna partire dai desideri di ciascuno: forse che gli anziani, siccome non sono più produttivi, non devono averne?”.
Bella riflessione, in effetti spesso le persone anziane sono viste come un blocco unico e indistinto, senza tener conto delle singole individualità.
Però prosaicamente occorre anche pensare che non tutti hanno le stesse disponibilità economiche. Già permettersi una badante per molti è un problema, figuriamoci una Casa di riposo, visto le rette che si richiedono: e a questo proposito vale la pena ricordare che i figli, costretti in molti casi ad autotassarsi per farvi fronte, rischiano a loro volta di trovarsi in grave difficoltà.
Il cohousing, che stando ai numerosi gruppi Facebook sorti intorno al tema sembra la soluzione agognata dai più, richiede una capacità organizzativa e di mediazione non indifferente, che non può essere lasciata solo alla spontaneità caratterizzante queste libere associazioni. Servirebbe un intervento pubblico, che però esiste solo in casi rarissimi e in realtà avanzate come il Trentino-Alto Adige. Quanto al privato, come sempre attento e veloce nel fiutare le possibilità di business, si è già da alcuni anni dedicato alla realizzazione di queste realtà, con caratteristiche che però sono alla portata di pochissime tasche.
Forse, se i mezzi di informazione cominciassero a parlare di più di questi temi e meno degli outfit dei cantanti a Sanremo, riusciremmo a fare qualche passo in più rispetto a temi sociali di fondamentale importanza.
Nel frattempo si potrebbero organizzare serate in cui proiettare CareSeekers e stimolare l’opinione pubblica a chiedere che le istituzioni si facciano carico di una fetta di popolazione sempre più in crescita e sempre più a rischio di abbandono.