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Autosufficienza proteica: il ruolo delle proteine alternative

L’Italia è ancora lontana dall’indipendenza nel settore. Le alternative vegetali e coltivate possono rafforzare la filiera e lasciare maggiore spazio all’agroecologia. Due gli scenari per il futuro.

giovedì 16 maggio 2024
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Che l’agroalimentare sia uno dei pilastri dell’economia italiana è senz’altro un dato di fatto. L’intero comparto, inteso come valore della produzione di agricoltura, silvicoltura e pesca, vale 74,7 miliardi di euro secondo i dati Istat del 2022. A questo dato va aggiunto il ruolo dei settori della ristorazione e della vendita al dettaglio, che contribuiscono a diffondere e valorizzare il Made in Italy.

In questo contesto però è necessario fare una riflessione sulla produzione zootecnica, che pesa per circa il 29% sul totale della produzione agricola. Se da un lato infatti carne e latte italiani sono punte di diamante dell’export nazionale e del consumo domestico, la quantità di proteine animali che l’Italia importa è notevolmente superiore e l’autosufficienza proteica rimane un traguardo molto lontano.

A livello globale, gli animali forniscono solo il 18% delle calorie alimentari, mentre necessitano del 83% dei terreni agricoli. In Italia, e così nel resto d’Europa, quello della disponibilità di terreni agricoli è un problema importante, che si inserisce in parte nel contesto più ampio del consumo di suolo.

Ad oggi infatti, l'utilizzo dei terreni agricoli in Italia è dominato dall'allevamento animale: quasi la metà dei terreni è utilizzata per il consumo domestico di carne e latticini, mentre solo circa il 30% viene utilizzato per coltivare output vegetali che gli italiani consumano direttamente. Inoltre, l'Italia utilizza all’estero quasi cinque volte la superficie disponibile per coltivare cibo per le importazioni (15 milioni di ettari) rispetto alla superficie nazionale che devolve alla produzione di esportazioni (2,7 milioni di ettari).

L’abc delle proteine complementari: vegetali, coltivate e derivate dalla fermentazione

L’Italia è il terzo mercato europeo per le proteine a base vegetale, ma le decisioni governative sul “meat sounding” arginano il trend. Carne coltivata può generare fino al 92% di emissioni in meno rispetto a quella convenzionale.

 

In questo contesto le proteine alternative, come la carne a base vegetale e coltivata, potrebbero contribuire in maniera notevole non solo all’autosufficienza proteica nazionale ma anche alla valorizzazione dell’export convenzionale, attraverso l’incremento di metodi di allevamento estensivi e al rafforzamento dell’agroecologia, che ne possono accrescere ulteriormente la qualità. Una recente analisi ha ipotizzato due scenari per lo sviluppo delle proteine alternative in Italia.

Nel primo, sostenuto da significative politiche di supporto al settore, l’Italia potrebbe ridurre la propria “land footprint”, ovvero l’utilizzo di terreni in Paesi terzi, dell'87% e aumentare l'impronta alimentare interna (ovvero il livello di autosufficienza) al 63%. Ciò significherebbe che l'Italia esporterebbe più cibo di quanto attualmente ne importa. Ma anche uno scenario meno ambizioso, con limitate politiche di sostegno alle proteine alternative, potrebbe ridurre di un terzo la dipendenza dell'Italia dai terreni all'estero per produrre cibo e mangimi per gli animali d’allevamento (equivalente a cinque milioni di ettari – più del doppio della Toscana).

Carne e latticini a base vegetale sono già ampiamente presenti nelle abitudini alimentari degli italiani: ne è dimostrazione il fatto che l’Italia sia il terzo mercato europeo per i prodotti plant-based con un aumento delle vendite del 21% tra il 2020 e il 2022 e un giro d’affari che supera i 600 milioni di euro.

In un recente sondaggio paneuropeo inoltre, il 59% degli italiani ha dichiarato di aver ridotto il consumo di carne – il dato più alto in Europa. Il 62% degli intervistati inoltre vorrebbe misure politiche per aiutare la popolazione nella transizione verso un'alimentazione più vegetale e incoraggiare gli agricoltori a passare alla coltivazione di prodotti per il settore.

Il 59% degli italiani dichiara di aver ridotto il consumo di carne: dato più alto d’Europa

Secondo lo Smart protein survey, più della metà dei consumatori italiani ed europei mangia meno carne e una percentuale crescente consuma alimenti a base vegetale. Ma gusto e prezzo rimangono i maggiori ostacoli.

 

Ripensare l'utilizzo del suolo agricolo per favorire lo sviluppo delle proteine alternative potrebbe portare numerosi benefici, tra cui una maggiore adozione di pratiche agroecologiche, una riduzione dell'impatto ambientale e la ri-localizzazione della produzione alimentare.

La diversificazione delle fonti proteiche è fondamentale per raggiungere l'autosufficienza proteica nazionale e promuovere uno sviluppo sostenibile nel settore agroalimentare italiano. Tale approccio sarebbe in linea con le tendenze di consumo degli italiani, e contribuirebbe a quelle politiche finalizzate a garantire all’agricoltura nazionale un futuro caratterizzato da resilienza, innovazione e sostenibilità.

Copertina: Tomas Hertogh/unsplash