Decidiamo oggi per un domani sostenibile

AI e istruzione: quali sono i nuovi orizzonti?

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando la scuola. Dagli EdGPT alla modalità “Studia e impara”, l’AI promette di accompagnare studenti e studentesse nell’apprendimento, senza offrire facili soluzioni.

di Giorgia Rossi, 22 anni

giovedì 18 dicembre 2025
Tempo di lettura: min

Quando nel 2022 ho iniziato l’università, di intelligenza artificiale (AI) si parlava ancora con grande curiosità e una punta di diffidenza. Come generazione, eravamo già passati attraverso la “rivoluzione” dei tablet in classe, del registro elettronico e, nel 2020, delle videolezioni. Tutti cambiamenti accompagnati da grandi narrazioni e magre rivoluzioni sostanziali.

Poi è arrivato ChatGPT e ci è sembrato che stesse cambiando tutto.

Nuovi orizzonti

In poco più di tre anni, l’uso integrato dell’AI per l’apprendimento è passato da essere novità a prassi. E per questo mi sembra importante parlarne, soprattutto in quanto studente.

Secondo una ricerca condotta da Tgm Research per conto di No Plagio (azienda IT lituana), nel 2025 in Italia il 97% degli studenti, tra i 16 e i 18 anni, utilizzerebbe abitualmente l’intelligenza artificiale generativa per studiare (contro l’86% dell’anno precedente).

Una tendenza confermata anche al di là dei confini nazionali: nelle università, come Harvard, già nel 2024 i due terzi degli studenti ammetteva di utilizzare questa nuova tecnologia almeno una volta a settimana. Si tratta di numeri in crescita esponenziale, che obbligano il mondo dell’istruzione a una profonda trasformazione, e di cui si stanno facendo interpreti proprio le aziende tech all’origine del fenomeno.

Nell’ultimo anno la Silicon Valley ha infatti, più o meno apertamente, inaugurato una corsa per la conquista di una specifica categoria di consumatori: gli studenti. ChatGPT, per primo, ha annunciato la nuova modalitàStudia e impara”, pensata per rallentare i processi di soluzione automatica e accompagnare l'apprendimento degli studenti passo passo. Una sostanziale reinterpretazione del metodo socratico, dove al posto del filosofo greco si trova un chatbot che pone domande all’allievo. Allo stesso modo, anche Google e Anthropic hanno immesso nel mercato nuove soluzioni specializzate per l’apprendimento, come il Guided learning di Gemini e il Learning mode di Claude for Education.

ChatGPT sta diventando uno degli “strumenti di apprendimento” più utilizzati al mondo. Gli studenti lo usano per affrontare compiti difficili, prepararsi per gli esami ed esplorare nuovi concetti. Ma il suo utilizzo nell'istruzione ha anche sollevato una questione importante: come possiamo assicurarci che venga usato per supportare un reale apprendimento, e non si limiti a offrire soluzioni senza aiutare gli studenti a comprenderle?

Con l’AI si cresce in modo diverso e cambia il ruolo degli educatori

Chatbot, tutor virtuali e giocattoli intelligenti trasformano studio, gioco e relazione di bambini e ragazzi, sollevando interrogativi sulle funzioni di genitori e insegnanti nello sviluppo delle nuove generazioni.

I programmi AI specifici per l’apprendimento sono accomunati da una coppia di criteri: far replicare all’intelligenza artificiale il ruolo di un tutor e rimediare all’appiattimento dell’apprendimento causato dalla diffusione dell’AI.

E si tratta di soluzioni che rispondono a necessità già presenti nelle classi. Quelle di Google, Open AI e Anthropic (solo per fare un esempio) sono risposte che non solo tentano di arginare il danno derivato da un cambiamento tutto contemporaneo, ma si inseriscono nelle crepe del sistema educativo classico.

Eppure, sarebbe disonesto imputare tutte le responsabilità del declino dell’accademismo o della scuola dell’obbligo alle nuove tecnologie. I problemi dell’istruzione sono infatti spesso strutturali, dovuti a un sistema in affanno rispetto a una società in continuo cambiamento, e ora resi ancor più evidenti dai nuovi modelli d’apprendimento online. A me sembra che tra gli studenti si stia diffondendo un sentimento di scollamento rispetto ai propri percorsi di studio: abbiamo interiorizzato l’idea di dover accumulare esperienze e risultati velocemente, depredando il tempo dello studio della sua sacralità. Uno dei tanti impegni da “incastrare”. Per questo l’avvento dell’AI si è inserito in un momento propizio alla sua diffusione, offrendo formazione specifica e apparentemente illimitata a sforzi contenuti.

Implicazioni etiche

La strada dello sviluppo dell’AI per l’apprendimento sembra tracciata: si sta passando da modelli generalisti (come ChatGPT) agli EdGPT (modelli addestrati specificatamente su dati educativi di alta qualità). Si tratta di un approccio costruttivo, pensato per venire incontro alle esigenze del mondo dell’istruzione (coinvolgendo maggiormente gli alunni o eliminando operazioni ripetitive per i professori) e fornire maggiore accuratezza nelle risposte generate.

Eppure, come riporta la “Guida per l’AI generativa nell’educazione e nella ricerca” dell’Unesco, “prima che siano possibili progressi significativi, è essenziale che vengano profusi sforzi per perfezionare i modelli di base, [...] aggiungendo conoscenze sul metodo di apprendimento pertinente”. Quello che infatti sembra mancare, in questa rapida rivoluzione tecnologica, è un’attenta valutazione delle sue implicazioni etiche e pedagogiche.

Sempre secondo il rapporto Unesco, l’uso massivo dell’AI nell’apprendimento rischierebbe di:

  1. Aggravare il divario tra il “Nord” e il “Sud” del mondo, come conseguenza di algoritmi addestrati principalmente su dati e valori occidentali, emarginando le comunità minoritarie.
  2. Riempire internet di contenuti falsi o parziali, su cui verranno addestrati futuri modelli generativi, creando un circolo vizioso.
  3. Produrre testi senza avere coscienza del contesto o del mondo circostante: occorre immaginare i modelli AI come “pappagalli stocastici”, capaci di produrre testi convincenti, ma senza comprenderne il significato.

Si tratta di una limitata casistica di rischi potenziali, ma grazie a cui iniziare a porsi domande sempre più consapevoli. Quali sono ad esempio i limiti di un sistema educativo costruito solo tramite la cultura occidentale? Come regolare queste piattaforme e verificare l’attendibilità delle informazioni?

In contrasto con l’opinione diffusa che vede nell’AI una democratizzazione della conoscenza, senza il giusto monitoraggio l’AI rischia di produrre ancora più disuguaglianze di quante non ne esistano nel sistema educativo tradizionale.

Deskilling e nuove prospettive

La traduzione di deskilling è “perdita di competenze”. Senza cedere al catastrofismo, la perdita di competenze ha accompagnato l’essere umano durante tutto il corso della storia: ad oggi non sappiamo più accendere il fuoco senza un accendino, ma abbiamo i vaccini; non ci orientiamo più con le stelle, ma abbiamo i navigatori Gps. L’uomo ha sempre cercato di semplificare i processi più macchinosi trasferendoli in strumenti utili: è una tappa obbligata del progresso.

E l’intelligenza artificiale è uno strumento dalle infinite potenzialità. Anche nell’educazione, infatti, l’avvento dell’AI ha rappresentato per molti aspetti un grande aiuto.

E allora perché temiamo di perdere le nostre abilità? Ebbene, il vero rischio non consiste nella perdita di capacità meccaniche e ripetitive, come gestire la casella di posta elettronica o sviluppare qualche riga di codice, ma nel perdere quelle abilità che ci rendono umani: lo spirito critico, l’immaginazione, il problem solving, l’empatia, la curiosità. La collaborazione con la “macchina” può essere costruttiva solo grazie a uno scambio di competenze, ed è dunque qui il cortocircuito: dobbiamo continuare a imparare per riuscire a collaborare con ciò che abbiamo creato.

L’intelligenza artificiale non produce nuova conoscenza, ma lavora su infinite banche dati. Gli stessi dati frutto di studi e competenze tutte umane, che ora possono essere applicate a processi di revisione e ricerche ancor più ambiziosi grazie all’uso delle macchine.

Ciò che conta, affidandoci a una terminologia diffusa tra i teorici dell’automazione, è diventare humans-in-the loop (persone coinvolte in modo attivo) e non humans-on-the-loop (approccio passivo al lavoro svolto dalla macchina).

Per far sì che ciò accada è necessario elaborare fin da ora delle pratiche di apprendimento integrate con l’intelligenza artificiale e monitorabili e ricordarci che oggi l’istruzione dipende sempre più dalle scelte e dalle azioni che decidiamo di intraprendere.

Copertina: Markus Spiske/unsplash