La capacità dei leader di vedere il futuro sulla base di 18 anni di Global risk report
Dalla crisi finanziaria del 2008 alle tensioni geopolitiche, dal terrorismo alla pandemia: i potenti del mondo conoscono da sempre i rischi globali. Perché i loro interventi non sono adeguati?
Quando nel 2006 venne lanciato il primo rapporto sui rischi globali del World economic forum (Wef) il mondo viaggiava verso una crisi finanziaria che nel giro di pochi mesi avrebbe sconvolto le nostre economie e le nostre società. Lo scopo del rapporto originale non fu tanto quello di individuare i rischi immediati e a breve termine, ma di fornire ai decisori politici le informazioni necessarie per affrontare l’incertezza in un arco di tempo di dieci anni. Già nel 2007, un anno prima dell’implosione della banca d’investimento Bear Stearns che diede il via al crack finanziario, il crollo del settore veniva identificato come uno dei cinque principali rischi globali, sia in termini di probabilità sia di impatto (blow up in asset price nel grafico). La storia del Global risks report è fatta di previsioni, di preoccupazioni espresse da leader del settore, policy maker, esperti ed esperte di rischi sociali. In sostanza parliamo di una vasta schiera di persone provenienti dai diversi comparti della società capaci di orientare il dibattito e di modificare con le proprie decisioni il corso degli eventi.
Dalle decine di partecipanti fino ai quasi 1500 dell’ultima edizione, passando per gli 896 partecipanti del 2015, il rapporto sui “rischi globali” presenta i risultati del sondaggio Global risks perception survey. Per comprendere l’analisi, è importante specificare che il Wef quando parla di rischi globali fa riferimento alla “possibilità che si verifichi un evento capace di avere un impatto negativo su una significativa percentuale del Pil globale, della popolazione o delle risorse naturali”.
I rischi globali dei primi rapporti
Come accennato, gli effetti di vasta portata scaturiti dalla recessione preoccupavano gli intervistati ancor prima dell’esplosione della crisi finanziaria. Il seguente grafico descrive l’evoluzione nel tempo delle prime cinque posizioni degli eventi più probabili e quelli con un impatto maggiore. Appare chiaro che nei primi anni gli intervistati erano maggiormente preoccupati dalle crisi economiche generate da una serie di fattori, tra cui lo shock dei prezzi petroliferi e il “China hard landing” (un marcato rallentamento, o una recessione, dopo un periodo di rapida crescita dell’economia cinese). Man mano che gli effetti della crisi finanziaria si palesavano, uno dei rischi più significativi per l’economia globale – che in figura vediamo in blu - è stato considerato la disoccupazione e la sottoccupazione, con la grave disparità di reddito che ha rappresentato il rischio più probabile per tre anni consecutivi, dal 2012 al 2014.
Ma non c’è solo economia. Nel 2011 gli esperti sostenevano che quattro dei cinque rischi più probabili erano di tipo ambientale (in verde nella figura). Nello stesso anno, il cambiamento climatico diventava il secondo rischio più alto in termini di impatto, poiché cresceva la preoccupazione per la mancanza di azioni, sia in termini di adattamento e sia di mitigazione, per risolvere il problema.
Anche i rischi sociali - in rosso - hanno avuto un ruolo considerevole. Nei primi Global risks report, oltre alla disuguaglianza dei redditi, l’attenzione veniva catturata dalla disponibilità d’acqua che da una parte subiva gli effetti dell’aumento delle temperature, dall’altra diventava meno abbondante provocando tensioni tra le popolazioni. Ecco spiegata la scelta del perché è stata inserita tra i problemi di carattere sociale. La crisi idrica è stato il secondo rischio più elevato in termini di impatto sia nel 2012 sia nel 2013, e il terzo nel 2014.
Anche la pandemia è stata diverse volte in cima alla classifica. Nel 2007 figurava al quarto posto per impatto (al quinto posto nel 2008, mentre nel 2015 compariva “rapid and massive spread of infectious disease”), a seguito della diffusione dell’H5N1. L’influenza aviaria che aveva colpito gli uomini in Vietnam e il pollame in Asia ha fatto rivivere nel mondo la paura per la diffusione di un virus altamente patogeno. Timori che si sono concretizzati nel 2020 quando la metà del Pianeta, in seguito alla diffusione del virus Sars-Cov-2 che genera negli umani la malattia Covid-19, è stato costretto a ricorrere persino al lockdown per fronteggiare la crisi sanitaria. La diffusione dei virus, ci ricordano gli esperti, è tra l’altro strettamente collegata alla cattiva gestione degli ecosistemi.
Fin dall’inizio dell’analisi il Wef ha tenuto in considerazione gli effetti negativi di carattere geopolitico (in arancione). La deglobalizzazione è stata classificata come il secondo rischio globale più impattante nel 2007 e nel 2008, mentre nel 2015, 29 anni dopo la caduta del muro di Berlino, il conflitto tra Stati primeggiava tra i rischi globali più probabili ed era al quarto posto tra quelli a maggiore impatto.
Dallo stesso grafico si evince che i rischi in blu – economici – dominavano più o meno entrambe le tabelle nei primi quattro anni in cui il Wef ha raccolto i dati del sondaggio (la prima edizione del 2006 era sprovvista di questa analisi). Sebbene fossero ancora presenti negli anni dal 2011 al 2015 in termini di impatto, è interessante notare che quando veniva misurata la probabilità essi cedevano il passo alla crescente preoccupazione per i rischi ambientali e sociali.
Anche altri valori appaiono con maggiore frequenza nell’orizzonte del rischio. Per esempio i due rischi geopolitici – corruzione e conflitto geopolitico – nel 2011, seguiti nel 2013 dalla diffusione di armi di distruzione di massa.
È poi interessante notare l’andamento del rischio tecnologico (in viola). Nel 2007 la valutazione menzionava il crollo delle infrastrutture critiche di informazione quale rischio più probabile. Se all’inizio il rischio tecnologico poteva sembrare un’anomalia statistica, pian piano, come vedremo, si è guadagnato i primi posti della classifica.
I rischi globali al 2020
Per quanto riguarda gli anni fino al 2020, il grafico seguente, che nella prima tabella mostra sempre i rischi per probabilità di avvenimento e nella seconda i rischi per impatto, fornisce una chiara indicazione: dal 2016 in poi sono in forte ascesa i rischi di carattere ambientale, tanto da aggiudicarsi gran parte delle due classifiche nel 2020.
Per la prima volta nelle prospettive decennali del sondaggio, i primi cinque rischi globali in termini di probabilità erano tutti ambientali. Gli eventi meteorologici estremi, ricordava il Wef, oltre a falciare sempre più vite possono portare a ingenti danni alle proprietà e alle infrastrutture. Seguivano i danni direttamente causati dall’uomo (human made environmental disasters), comprese le fuoriuscite di petrolio e la contaminazione radioattiva, e la perdita di biodiversità unita al collasso dell’ecosistema. Salta inoltre all’occhio il fallimento dell’azione climatica (climate action failure), rispettivamente al secondo posto per probabilità e al primo per impatto nel 2020. Un allarme che, non a caso, veniva lanciato cinque anni dopo Parigi: gli esperti osservavano che i governi non avevano messo in campo le politiche necessarie al rispetto dell’Accordo del 2015.
Da notare che dalle stragi di matrice terroristica in Francia, come quella del Bataclan del 13 novembre 2015, le armi di distruzioni di massa sono state per sei anni di fila nelle prime tre posizioni dei rischi globali per impatto. Per il Wef tra queste rientrano “tecnologie e materiali nucleari, chimici, biologici e radiologici, che se usate in modo inappropriato sono in grado di generare crisi internazionali e distruzioni significative”.
I rischi globali 2021-2023
L’edizione del 2021 risentiva di quanto successo qualche mese prima. Lo scoppio della pandemia nel 2020 aveva infatti reso le malattie infettive il primo rischio globale per impatto (figura qui sotto), mentre gli eventi estremi restavano i più probabili.
Lo studio del 2021 sosteneva che “le conseguenze disastrose e le opportunità perse per gran parte della popolazione mondiale a causa della pandemia rischiano di innescare disordini sociali, frammentazione politica e tensioni geopolitiche che, oltre ad avere costi sociali altissimi, possono ridurre l'efficacia delle risposte alle nuove minacce che probabilmente l’umanità sarà chiamata ad affrontare nel prossimo decennio: attacchi informatici, armi di distruzione di massa e, su tutte, il cambiamento climatico”.
Dal 2022 in poi cambia la comunicazione del Wef. Il sondaggio condotto per la stesura del Global risks report non pone più l’intervistato di fronte alla scelta tra rischi globali per impatto e probabilità, ma in sostanza accorpa queste due categorie chiedendo di “individuare i maggiori rischi globali in termini di gravità per i prossimi dieci anni”. Dal Global risks report 2022 veniva dunque fuori un’unica classifica dominata da rischi ambientali: seguivano alla crisi climatica i danni generati dagli eventi estremi e quelli relativi alla perdita di biodiversità. Al quarto posto figurava la graduale scomparsa di coesione sociale e al quinto la crisi dei mezzi di sussistenza, due elementi di disordine sociale anch’essi riconducibili a crisi ambientali. Gli effetti negativi legati alle malattie infettive scivolavano così al sesto posto. Chiudevano la classifica la cattiva gestione degli ecosistemi e il depauperamento delle risorse naturali, la crisi del debito e le tensioni geopolitiche.
Come si evince dalla figura seguente, la valutazione 2023 non variava di parecchio, tranne per l’entrata nella top 10 del rischio tecnologico “Widespread cybercrime and cyber insecurity”, riportato in viola.
“Applicazioni di intelligenza artificiale sempre più sofisticate, Internet delle cose e tecnologie autonome costituiscono la base del funzionamento delle città e delle infrastrutture critiche e avranno un ruolo chiave nello sviluppare soluzioni resilienti per le crisi del futuro”, si legge nello studio. “Tuttavia, questi sviluppi pongono anche nuove sfide per gli Stati che cercano di gestire il mondo fisico esistente e questo dominio digitale in rapida espansione”, per questo “criminalità informatica diffusa e insicurezza informatica entra nei primi 10 rischi più gravi nel prossimo decennio. L'attività malevola nello spazio cibernetico sta crescendo, con attacchi più aggressivi e sofisticati”.
Rischi globali: cosa ci riserva il futuro
L’ultima edizione del Global risks report, quella 2024, vede ben tre rischi tecnologici tra quelli più pericolosi per i prossimi dieci anni. A conferma che più emerge la forza dirompente dell’intelligenza artificiale più aumentano i rischi connessi. Tra l’altro, come principale minaccia di breve termine, e cioè per i prossimi due anni (figura seguente), vengono identificate la disinformazione e la misinformazione.
“Mentre circa tre miliardi di persone sono chiamati alle urne in diverse economie (tra cui Bangladesh, India, Indonesia, Messico, Pakistan, Regno Unito e Stati Uniti) nei prossimi due anni, l'ampio uso di disinformazione e manipolazione dell'informazione, e degli strumenti per diffonderla, potrebbe minare la legittimità dei governi appena eletti. Le conseguenti agitazioni potrebbero variare dalle proteste violente e i crimini d'odio al confronto civile e al terrorismo. Oltre alle elezioni, le percezioni della realtà sono destinate a diventare più polarizzate, infiltrandosi nel dibattito pubblico su questioni che vanno dalla salute pubblica alla giustizia sociale. Tuttavia, con il venir meno della verità, aumenterà anche il rischio di propaganda e censura interna. In risposta a disinformazioni, i governi potrebbero essere sempre più autorizzati a controllare le informazioni in base a ciò che ritengono essere ‘vero’. Le libertà legate a internet, stampa e accesso a fonti più ampie di informazioni, già in declino, rischiano di degenerare in una repressione più ampia dei flussi informativi in un più vasto insieme di Paesi”, si legge nello studio.
La polarizzazione sociale (processo psicosociale che conduce ad una progressiva e graduale modificazione dei propri atteggiamenti a favore di posizionamenti e opinioni più estreme), che compare in entrambe le classifiche, e la recessione economica sono considerati i rischi più interconnessi a livello globale. Il Wef ricorda che resta alto il costo della vita mentre si intensificano le tensioni di carattere economico.
I problemi ambientali continuano infine a dominare l’orizzonte temporale di lungo periodo. Per lo studio catastrofi naturali, perdita di biodiversità e crisi climatica “potrebbero raggiungere il punto di non ritorno” nell’arco del prossimo decennio. Oltre alle catastrofi naturali più note, il Wef mette in guardia anche sulla diffusione di antiche malattie connesse all’innalzamento della temperatura: “L'Artico è la regione che si sta riscaldando più rapidamente sulla Terra, sperimentando livelli di riscaldamento globale che superano più del doppio la media mondiale. Un ulteriore aumento delle temperature porterà a riduzioni graduali del permafrost, mentre il disgelo improvviso potrebbe verificarsi a causa di ondate di calore, incendi boschivi e altri cambiamenti ambientali. Non è necessario il completo collasso del permafrost per rilasciare contaminanti dannosi e ‘nuove’ malattie antiche, sia di tipo microbico sia virale, alle quali gli esseri umani hanno scarsa resistenza naturale, entro la prossima decade”.
Perché le cose non cambiano?
A Davos, durante l’ultimo Forum economico mondiale di gennaio (dove è stato presentato il Global risks report), c’erano oltre 60 capi di Stato e di governo e circa 2800 leader economici. Insomma, i colossi dell’economia capitalistica erano pienamente rappresentati.
Qualche anno fa il politologo americano Samuel Huntington coniò la definizione di “Davos men”: una nuova élite globale fatta di accademici, funzionari pubblici internazionali, dirigenti aziendali, nonché di imprenditori di successo, provenienti anche dal settore dell'alta tecnologia. Per Peter Goodman del New York times, l’identikit è quello di “una persona – per la maggior parte di sesso maschile - la cui ricchezza e potere sono così vasti da essere in grado di scrivere le regole per il resto di noi”. Buona parte di queste persone partecipa anche al sondaggio del Wef. Veniamo dunque al punto: se l’uomo di Davos conosce bene i rischi globali al quale la popolazione è e sarà esposta, perché non riscrive le regole del gioco? L’analisi storica non mente e conferma che i rischi globali rappresentati, per esempio, dalla pandemia e dalla crisi climatica non erano certo un evento inaspettato. Nonostante ciò, le politiche di devastazione degli ecosistemi sono ancora in atto, aumentando così la probabilità di diffondere nuovi virus; e non vengono tagliate le emissioni climalteranti che, anzi, continuano a crescere facendo segnare nuovi record di temperatura. Ricordiamo che il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato.
Così facendo l’uomo di Davos assume sempre più le sembianze di un moderno Caronte, traghettatore che nella Divina Commedia ha il compito di trasportare le anime destinate a una permanenza all’inferno. Ma è forse sbagliato essere così categorici, come è forse sbagliato pensare che le cose non cambiano perché questo sistema economico, così deregolamentato, permette ai ricchi di diventare sempre più ricchi. Anche perché ormai è chiarissimo: se è vero che i rischi globali colpiscono prima i più vulnerabili è altrettanto vero che, prima o poi, la crisi si diffonde persino nei palazzi del potere. E questo dovrebbero averlo capito anche a Davos.
Immagine di copertina: Tom Parkes/unsplash