Quanti altri bambini devono morire a Gaza prima che il mondo agisca?
Consiglio di sicurezza sulla tragedia nella Striscia. Usa contrari all’Agenda 2030 e in uscita dall'Unesco. Corte di giustizia internazionale: Stati obbligati alla protezione del clima. Energie rinnovabili più economiche delle fossili.
Tragedia umanitaria a Gaza, riunione del Consiglio di sicurezza del 23 luglio
Il comunicato stampa del 21 luglio di Un news, denunciando che la crisi umanitaria a Gaza è ormai giunta nella sua “fase di morte” riporta le parole di Louise Wateridge di Unrwa (Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi): "I bambini sono malnutriti, disidratati, muoiono davanti agli occhi dei loro genitori […] Le bombe e gli attacchi continuano; non c'è modo di scappare, non c'è posto dove nascondersi. Non c'è modo di fuggire da lì."
Ultime notizie sull’avvio di un apertura temporanea di 10 ore da parte di Israele per l’accesso degli aiuti umanitari vengono riportate dai media il 27 luglio. Si sottolinea in proposito che secondo il diritto internazionale l’accesso agli aiuti umanitari deve essere garantito sempre e comunque in “sicurezza, rapidità e senza ostacoli”. Così è stato anche recentemente riconfermato da parte di tutti gli Stati nel Patto sul futuro (cfr. azione 14: proteggeremo tutti i civili nei conflitti armati).
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è ancora riunito il 23 luglio per discutere l’evoluzione della tragedia di Gaza. La relazione di sintesi della riunione riporta nel titolo che la morte per fame dei palestinesi è “intenzionale” (“Death by design”) riprendendo quanto denunciato dall'Osservatore Permanente per lo Stato di Palestina. Chiedendo la salvezza per i due milioni di persone che rimangono nell’enclave, di cui un milione bambini, l’Osservatore riporta: “Israele sta prendendo di mira i palestinesi sopravvissuti in un piano per impossessarsi del territorio”.
Nella precedente riunione del 16 luglio, Catherine Russell, direttore esecutivo dell’Unicef, ha messo in evidenza i numeri del flagello dei bambini: “Negli ultimi 21 mesi di guerra, a Gaza sono stati uccisi più di 17mila bambini (ndr. 17.900 al 15.7 da dati Ocha diffusi il 23.7) e 33mila sono rimasti feriti. In media, 28 bambini vengono uccisi ogni giorno, l'equivalente di un'intera classe. Pensateci per un attimo. Un'intera classe di bambini uccisi, ogni giorno per quasi due anni.” La situazione dei minori a Gaza viene descritta sotto diversi profili nel recente articolo di Un News del 15 luglio dal titolo "Quanti altri bambini devono morire a Gaza prima che il mondo agisca?
Il rappresentate di Israele nel Consiglio di sicurezza del 23 luglio respinge le responsabilità del suo Paese, riportando che Hamas ha rifiutato ogni offerta, che Israele si sta prodigando per rendere il Medio Oriente più sicuro anche con le azioni assunte in Libano, Siria e nei confronti dell’Iran definito “regime genocida”. Affermando dunque che Israele sta “facendo il lavoro delle Nazioni unite”, critica l’Onu e le sue agenzie che, a suo avviso, avrebbero abbandonato la neutralità che gli compete.
La rappresentante degli Stati Uniti sostiene Israele dichiarando che Israele ha diritto di difendersi e che le accuse secondo cui Israele starebbe commettendo un genocidio sono "politicamente motivate e false” e dichiara “deplorevole che le Nazioni unite rifiutino l'offerta della Fondazione Umanitaria per Gaza di collaborare agli sforzi umanitari".
Le attività della Fondazione Umanitaria per Gaza gestita privatamente da Israele e Stati Uniti sono state messe sotto accusa per le violazioni dei principi umanitari in relazione alle uccisioni avvenute in prossimità dei centri di aiuto, quantificate al 13 luglio in circa 674 vittime delle 875 contabilizzate per la ricerca di cibo e acqua, già discusse nel precedente Consiglio di sicurezza del 16 luglio.
A parte la posizione netta degli Stati Uniti, numerose sono le espressioni in sede di Consiglio di sicurezza di ferma condanna da parte dei delegati nazionali nei confronti di Israele, riflettendo anche l’esito della risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu del 12 giugno (vedi articolo del nostro blog del 24 giugno). Il delegato algerino così dichiara: ”Quello a cui stiamo assistendo non è una guerra, è un annientamento”, le azioni di Israele sono "un piano deliberato per cancellare un popolo". Mentre "l'umanità sanguina a Gaza" e "la carestia si diffonde come un fuoco sulla terraferma, il mondo sta solo contemplando e il Consiglio di Sicurezza sta a guardare senza agire”.
Gli Stati Uniti non approvano le risoluzioni dell’Assemblea generale dell’Onu del 25 luglio che si richiamano all’Agenda 2030 ed escono dall’Unesco.
Il 25 luglio l’Assemblea generale ha adottato risoluzioni sulla cooperazione delle Nazioni unite con i parlamenti nazionali, la partecipazione della società civile alle attività dell’Onu, intelligenza artificiale, cultura della pace. Tutti i temi trattati riguardano diverse azioni previste nel Patto sul futuro e suoi allegati. La maggior parte delle risoluzioni sono state approvate con ampio margine, nonostante alcuni dissensi. Gli Stati Uniti hanno votato contro alcune risoluzioni che richiamano l’Agenda 2030, giustificando che la stessa rappresenta una violazione della propria sovranità nazionale. L’Argentina ha rimarcato come l’Agenda 2030 non rappresenta un obbligo vincolante per gli Stati membri.
In particolare gli Stati Uniti e Israele hanno votato contro la risoluzione sulla cultura della pace. Gli Usa ribadiscono il disconoscimento dei richiami all’Agenda 2030, all’impegno di Siviglia (vedi nostro blog del 1 luglio), all’accordo di Parigi sul clima e contestano l’utilizzo della parola “genere” dichiarando che le politiche del loro governo riconoscono “due sessi”. La posizione di dissenso rispetto all’Agenda 2030 è stata ancora in altre risoluzioni avanzata (assieme ad altre motivazioni) anche dall’Argentina rimarcando che non è un atto vincolante per gli Stati. L’Argentina si è anche espressamente dissociata dal riferimento al Patto sul futuro in relazione alla risoluzione sul ruolo dell’intelligenza artificiale per creare opportunità di sviluppo sostenibile in Asia centrale pur accogliendone i contenuti.
La Russia si è in particolare dissociata dalle risoluzioni che includono la promozione della partecipazione della società civile e dei giovani alle attività dell’Onu senza la definizione di specifici criteri, poiché ciò politicizzerebbe le discussioni delle Nazioni unite e i rapporti di fiducia tra Stati.
Con un comunicato della Casa Bianca del 22 luglio viene annunciata l’uscita dall’Unesco da parte degli Stati Uniti, motivando espressamente che l’organizzazione sarebbe “impegnata a promuovere cause sociali e culturali divisive e mantiene un'attenzione sproporzionata sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite, un'agenda globalista e ideologica per lo sviluppo internazionale in contrasto con la nostra politica estera America First.” Inoltre “la decisione dell’Unesco di ammettere lo ‘Stato di Palestina’ come Stato membro è altamente problematica, contraria alla politica degli Stati Uniti e ha contribuito alla proliferazione della retorica anti-israeliana all’interno dell’organizzazione.”
Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco, ha immediatamente risposto sottolineando come questa decisione contraddica i principi fondamentali del multilateralismo e mettendo in evidenza l’impegno dell’organizzazione nell’educazione sulla memoria dell’olocausto e nel contrasto all’antisemitismo.
Adottata il 24 luglio la dichiarazione ministeriale all’High level political forum (Hlpf) sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile con i voti contrari di Stati Uniti e Israele.
Dal 14 al 23 luglio si è tenuto l’Hlpf, il forum politico di alto livello che annualmente discute lo stato d’avanzamento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, quadro d’azione cardine per l’attuazione del Patto sul futuro. Secondo il Rapporto del segretario generale sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile, pubblicato il primo giorno dell'Hlpf, solo il 18% dei Goal è sulla buona strada per essere raggiunto entro il 2030, mentre oltre la metà sta compiendo progressi troppo lenti.
Nonostante i ritardi e i conflitti che affligono lo scenario globale, Bob Rae, presidente del Consiglio economico e sociale (Ecosoc) delle Nazioni unite, ha sottolineato che gli Obiettivi di sviluppo sostenibile "non sono ideali facoltativi, ma impegni essenziali", e lo sono ancora di più in questo momento di crisi.
Cosi anche, il segretario generale António Guterres nel suo discorso del 21 luglio dichiara che”gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile non sono un sogno […] “sono un piano. Un piano per mantenere le nostre promesse: alle persone più vulnerabili, a noi stessi e alle generazioni future”. Come segni tangibili di speranza per il futuro ricorda i recenti risultati degli accordi raggiunti attraverso il dialogo multilaterale: l’accordo sulle pandemie, la dichiarazione di Nizza sugli oceani e l’impegno di Siviglia sulla finanza per lo sviluppo.
Mercoledì 24 luglio, al termine della conferenza, gli Stati membri hanno adottato una dichiarazione ministeriale (vedi anche articolo di Ivan Manzo sul sito ASviS) con 154 voti favorevoli, 2 contrari e 2 contrari, con gli Stati Uniti e Israele che hanno votato contro, e il Paraguay e l'Iran che si sono astenuti. Nel testo adottato i ministri riaccendono la fiducia verso gli Obiettivi dell’Agenda 2030 dichiarando: "riaffermiamo con forza il nostro impegno a implementare efficacemente l'Agenda 2030 [che] rimane la nostra tabella di marcia generale per raggiungere uno sviluppo sostenibile e superare le molteplici crisi che ci troviamo ad affrontare […] "Agiremo con urgenza per realizzare la sua visione come un piano d'azione per le persone, il pianeta, la prosperità, la pace e il partenariato, senza lasciare indietro nessuno […] Sottolineiamo la necessità di attuare la dichiarazione politica del Summit sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile del 2023 e gli impegni pertinenti del Patto per il Futuro e dei suoi allegati, del Global Digital Compact4 e della Dichiarazione sulle Generazioni Future”. I ministri rimarcano ancora nel testo l’interdipendenza tra pace e sviluppo sostenibile riconoscendo che “lo sviluppo sostenibile non può essere realizzato senza pace e sicurezza e che la pace e la sicurezza sono a rischio senza sviluppo sostenibile”.
Corte di Giustizia internazionale: gli Stati hanno l’obbligo di rispettare i propri impegni climatici
Su richiesta dell’Assemblea generale dell’Onu assunta con risoluzione del 23 marzo 2023 la Corte di giustizia internazionale dell’Aia ha espresso all’unanimità uno specifico parere in relazione agli obblighi degli Stati rispetto al contrasto della crisi climatica, e le conseguenze per inadempienza nell’adeguata risposta (vedi anche news sul sito ASviS).
Il parere indica che gli Stati sono obbligati ad agire con dovuta diligenza. In particolare gli Stati inseriti nell’elenco allegato I alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (ovvero quelli che storicamente hanno avuto maggiori responsabilità nelle emissioni di gas serra) hanno responsabilità aggiuntive per cui gli compete assumere un ruolo guida nelle azioni di contrasto nel rispetto dell’evidenze scientifiche che hanno raccomandato l’obiettivo 1.5° previsto dall’accordo di Parigi del 2015. Il parere mette in chiaro il nesso d’interdipendenza tra protezione del sistema climatico-ambientale e diritti umani: “Gli Stati hanno l'obbligo, ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani, di rispettare e garantire l'effettivo godimento dei diritti umani adottando le misure necessarie per proteggere il sistema climatico e altre componenti dell’ambiente."
Il mancato rispetto da parte di uno Stato di “misure appropriate per proteggere il sistema climatico dalle emissioni di gas serra, anche attraverso la produzione di combustibili fossili, il consumo di combustibili fossili, la concessione di licenze di esplorazione di combustibili fossili o l'erogazione di sussidi per i combustibili fossili, può costituire un atto illecito a livello internazionale attribuibile a tale Stato”.
Le conseguenze giuridiche derivanti dalla commissione di un atto illecito a livello internazionale possono includere gli obblighi di:
(a) cessazione delle azioni od omissioni illecite, se persistenti;
(b) fornitura di assicurazioni e garanzie di non ripetizione delle azioni od omissioni illecite, se le circostanze lo richiedono; e
(c) riparazione integrale agli Stati lesi sotto forma di restituzione, indennizzo a condizione che siano soddisfatte le condizioni generali del diritto in materia di responsabilità statale, incluso il fatto che possa essere dimostrato un nesso causale sufficientemente diretto e certo tra l'atto illecito e il danno.
In relazione agli attori privati, la Corte osserva che gli Stati hanno l’obbligo di regolamentare le attività degli attori privati nell'ambito della dovuta diligenza. Lo Stato risponde delle proprie azioni o omissioni che costituiscono una violazione della dovuta diligenza regolamentare, pertanto, uno Stato può essere ritenuto responsabile quando, ad esempio, non ha esercitato la dovuta diligenza omettendo l’adozione di misure normative e legislative necessarie per limitare la quantità di emissioni causate da attori privati soggetti alla sua giurisdizione.
La Corte esprime l’auspicio che le proprie conclusioni consentano al diritto di “informare e orientare l'azione sociale e politica per affrontare l'attuale crisi climatica”.
É giunta l’era dell’energia pulita: discorso del segretario Guterres del 22 luglio
Il segretario generale dell'Onu Guterres ha tenuto il 22 luglio un discorso sull’azione per il clima partendo da questa premessa: “Nel corso della storia, l'energia ha plasmato il destino dell'umanità: dalla padronanza del fuoco, allo sfruttamento del vapore, alla scissione dell’atomo. Ora siamo al principio di una nuova era. I combustibili fossili stanno finendo. Il sole sta sorgendo su un'era di energia pulita.”
Richiamando dati aggiornati, tra cui anche i risultati del nuovo rapporto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), il segretario generale riporta i risultati significativi per il 2024:
- duemila miliardi di dollari sono stati investiti nell’energia pulita, 800 miliardi in più rispetto alle fonti fossili;
- la produzione di energia fotovoltaica ha un costo unitario medio inferiore del 41% rispetto alle fonti fossili;
- la produzione di energia eolica ha un costo unitario medio inferiore del 53% rispetto alle fonti fossili;
Guterres mette in evidenza nel suo discorso che “il futuro dell'energia pulita non è più una promessa. È un dato di fatto. Nessun governo. Nessuna industria. Nessun interesse particolare può fermarlo. Certo, la lobby dei combustibili fossili di alcune aziende ci proverà – e sappiamo fino a che punto arriveranno. Ma non sono mai stato così sicuro che falliranno – perché abbiamo superato il punto di non ritorno”.
A partire da queste premesse, il discorso di Guterres si estende abbracciando un ventaglio ampio d’aspetti interconnessi quali l’equità nella transizione, il necessario superamento del deficit d’investimenti nelle reti e nell’elettrificazione, la necessaria cooperazione e la solidarietà tra Stati. Guterres invita ad assumere un approccio alla transizione basato sulla prevenzione dei rischi rappresentati dagli impatti dei cambiamenti climatici, come anche dal rischio agli assett finanziari incagliati (stranded assets) nell’industria fossile.
Concludendo che l’umanità ora possiede gli strumenti per dare energia al proprio futuro, “sfruttiamoli al meglio. Questo è il nostro momento di opportunità”.
Dando uno sguardo al rapporto dell’Irena richiamato dal segretario Guterres, il top performer nell’abbattimento dei costi delle energie rinnovabili (in prevalenza assoluta solare ed eolico) risulta essere la Cina. É significativo sottolineare come per l’Ue e gli Stati Uniti il costo unitario medio di un KWh di energia da fotovoltaico risulta molto più alto rispetto alla Cina (dati del 2024: 0,059 $ Ue - 0,070 $ Us - 0,033 $ Cina). Secondo le valutazioni dell’Irena i fattori determinanti nella differenza di prezzo sono i ritardi nei permessi, i colli di bottiglia nelle interconnessione di rete, i più alti costi di bilanciamento di sistema (cfr.pag.17).
Immagine tratta da ansa.it