L’oro invisibile: la lunga corsa per creare il sangue più raro del mondo
La scienza sta provando a riprodurre in laboratorio l’Rh nullo, posseduto da appena 50 persone al mondo. Chi lo possiede è un donatore universale, ma non può ricevere trasfusioni. Si apre una nuova era di sangue “programmabile”.
Da Bristol a Milwaukee, dal Québec a Barcellona, gruppi di ricerca stanno cercando di realizzare ciò che fino a pochi anni fa sembrava impossibile: un sangue senza antigeni che possa essere usato da chiunque e soprattutto da chi, per la propria rarissima identità genetica, non ha oggi alcun donatore disponibile. Come ricostruito dalla Bbc, il sangue del gruppo Rh nullo, posseduto da appena cinquanta persone al mondo, è così raro e prezioso da essere definito “sangue d’oro”. Oggi è al centro di una delle sfide più ambiziose della medicina contemporanea: riprodurlo in laboratorio per costruire la prossima generazione di trasfusioni sicure, personalizzate e potenzialmente universali.
Un nuovo paradigma
L’Rh nullo è definito “blood of the golden kind” perché privo di tutti i 50 antigeni del sistema Rhesus. La sua assenza totale rende questo sangue compatibile con tutti gli altri tipi Rh, ma chi lo possiede non può ricevere alcuna trasfusione. Finora queste persone potevano soltanto congelare il proprio sangue in vista di emergenze. Per questo la ricerca punta a un obiettivo diverso: produrre in laboratorio cellule del sangue ultra-compatibili. Il passo decisivo arriva nel 2018, quando il team guidato dal biologo cellulare Ash Toye, Università di Bristol, modifica linee cellulari di globuli rossi immaturi eliminando tramite Crispr-Cas9 cinque sistemi antigenici responsabili della maggior parte delle incompatibilità trasfusionali, incluso il sistema Rh. Il risultato è un prototipo di globulo rosso “quasi universale”, capace di adattarsi ai pazienti con tipologie comuni e a quelli con gruppi rarissimi come Rh nullo o il fenotipo Bombay.
Il futuro dei trapianti, tra progresso, resistenze e organi creati in laboratorio
Nonostante i traguardi raggiunti nel mondo, le liste d’attesa restano lunghe e ancora troppi i “no” alla donazione. Ma biostampa e xenotrapianti potrebbero ridisegnare le prospettive del settore.
L’ingegneria del sangue umano
Attorno a questa prospettiva stanno nascendo iniziative che anticipano un futuro in cui la disponibilità di sangue non dipenderà più da una donazione casuale. Scarlet Therapeutics, spin-off cofondato dallo stesso Toye, sta raccogliendo donazioni da persone con gruppi sanguigni rarissimi per creare linee cellulari in grado di replicarne i globuli rossi all’infinito. L’obiettivo non è solo far fronte alle emergenze, ma costruire banche di sangue rare prodotte in laboratorio, capaci di sostituire la fragilità delle attuali scorte mondiali. Il vero nodo tecnologico, però, rimane la maturazione cellulare. Nel midollo osseo la produzione dei globuli rossi segue segnali complessi e ancora difficili da riprodurre artificialmente. Molte cellule editate non completano lo sviluppo o mostrano membrane instabili, un limite che rallenta l’applicazione clinica. È anche per questo che le prime sperimentazioni sull’essere umano, come la Restore trial guidata da Toye e colleghi, utilizzano sangue coltivato senza editing genetico: servono anni di studi prima di testare varianti più radicali.
Un futuro senza donazioni?
Nell’immediato, nessuna tecnologia potrà sostituire la donazione tradizionale: raccogliere sangue umano rimane più semplice, rapido ed economico rispetto a produrlo in laboratorio. Ma il trend è chiaro. Per persone con gruppi rarissimi, o per quelle che rischiano reazioni immunitarie gravi, il sangue standard non sarà più una soluzione affidabile. Qui entra in gioco la nuova generazione di sangue artificiale: non destinato a rimpiazzare tutto, ma a colmare i vuoti più critici, garantendo equità e sicurezza trasfusionale. Il punto è che l’ingegneria del sangue sta aprendo una prospettiva più ampia di quella emergenziale. La possibilità di produrre sangue “programmabile”, privo di antigeni problematici, distribuito in banche globali e modellabile su richiesta, potrebbe diventare un elemento chiave di resilienza dei sistemi sanitari.
L’etica e la tecnologia
Rimangono questioni profonde: la sicurezza delle cellule editate, i rischi a lungo termine, l’accesso diseguale alle tecnologie, la normativa che in molti Paesi blocca l’uso clinico di Crispr sulle cellule destinate alla trasfusione. Ma gli scenari convergono. L’idea di costruire un “sangue universale” è ormai un campo di ricerca concreto e popolato di prototipi. Il futuro potrebbe essere un mosaico: sangue donato per la pratica quotidiana, sangue ingegnerizzato per chi non può riceverlo, sangue cellulare coltivato per emergenze globali. Come sintetizza Toye, il limite non è più la biologia ma la tecnologia: “Estrarre sangue dal braccio di una persona è ancora più efficiente. Ma per chi ha un tipo rarissimo, se possiamo far crescere il loro sangue in laboratorio, questo cambia tutto”. Un “tutto” che riguarda il futuro delle trasfusioni, ma anche un principio più profondo: la medicina che passa dal vincolo biologico alla possibilità tecnologica.
Copertina: Adrian Sulyok/unsplash