Anche i ricchi piangono: così il clima minaccia le regioni agricole più sviluppate
Secondo Nature entro il 2050 le perdite in agricoltura saranno gravi anche nei Paesi più avanzati, mentre le misure di adattamento attuali non basteranno a compensarle.
Ogni grado aggiuntivo di riscaldamento globale ridurrà in media del 4,4% la capacità del mondo di produrre cibo (rispetto all'attuale consumo giornaliero), ovvero 120 calorie in meno a persona al giorno. A dirlo è un articolo pubblicato nelle scorse settimane su Nature, frutto di otto anni di lavoro del Climate Impact Lab dell’Università di Chicago.
La ricerca si basa su dati raccolti in oltre 12mila regioni di 54 Paesi. Gli autori hanno analizzato le rese delle colture che forniscono due terzi delle calorie necessarie all’umanità: grano, mais, riso, soia, orzo e manioca. Nella valutazione sono stati inclusi fattori climatici, economici e tecnologici, per misurare anche l’impatto degli adattamenti già in atto da parte dei produttori agricoli.
I risultati sono poco rassicuranti. Entro il 2050 il cambiamento climatico ridurrà la produttività agricola globale dell’8%, a prescindere da quanto le emissioni aumenteranno o diminuiranno nei prossimi decenni. Questo perché le emissioni di anidride carbonica rimangono nell'atmosfera, intrappolando il calore e causando danni per centinaia di anni.
Entro il 2100, invece, le rese agricole globali calerebbero dell'11% nello scenario più virtuoso (emissioni in rapido calo) e fino al 24% in uno scenario di emissioni elevate.
“Se il clima si riscalda di tre gradi, è praticamente come se tutti sul pianeta rinunciassero alla colazione”, ha affermato Solomon Hsiang, professore di Scienze sociali ambientali presso la Stanford Doerr School of Sustainability e co-autore dello studio. “E quando la produzione globale diminuisce, i consumatori ne risentono perché i prezzi salgono e diventa più difficile accedere al cibo e sfamare le nostre famiglie”.
Un dato sorprendente riguarda le aree che soffriranno di più: non i luoghi più poveri o marginali, ma molte delle aree più produttive, come la Corn Belt americana, il Sud-est del Brasile, l’Europa meridionale o la Cina orientale. Qui, nonostante l’accesso a tecnologie avanzate, la forte specializzazione agricola rende i sistemi meno adattabili ai cambiamenti estremi. “Gran parte dell’agricoltura in queste zone si basa su vaste monoculture, il che rende l’adattamento molto difficile e il fallimento potenzialmente devastante”, scrive l’Economist. Secondo il settimanale britannico, con più siccità e ondate di calore anche le attuali polizze assicurative potrebbero non reggere l’urto.
Proiettandosi al 2098, lo scenario si fa ancora più critico. Anche con adattamento e sviluppo economico, secondo lo studio, due terzi delle perdite resteranno. Il mais, ad esempio, potrebbe calare fino al 40% nelle grandi regioni cerealicole; il grano tra il 30% e il 40%; la manioca, fondamentale per l’alimentazione in Africa, intorno al 30%. Solo il riso si mostra relativamente stabile, grazie a una maggiore adattabilità e agli aumenti previsti delle precipitazioni.

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Il fenomeno è stato individuato da un team di ricerca internazionale. Conseguenze potenzialmente disastrose: in futuro l’Europa rischia una “mini era glaciale” e le emissioni potrebbe risalire dall’oceano, dove sono conservate.
L'adattamento, inteso come cambi di varietà, aggiustamenti nei calendari colturali, uso di fertilizzanti o irrigazione, potrebbe attenuare del 23% le perdite globali entro il 2050 e del 34% alla fine del secolo. I maggiori benefici si vedrebbero sul riso (fino al 79% di perdite evitate), mentre il grano resta poco reattivo alle misure attualmente in uso. A livello geografico, il Sud America potrebbe ridurre del 61% le perdite grazie a migliori strategie adattive, soprattutto su mais e soia.
Anche gli impatti non saranno distribuiti equamente. Le popolazioni più povere, che già consumano poco e coltivano in condizioni marginali, soffriranno le conseguenze sociali più gravi. “Alla fine saranno i più poveri a soffrire la fame”, ha aggiunto Hsiang, “ma i danni si produrranno ovunque”.
Per garantire la sicurezza alimentare in un mondo che si riscalda, lo studio sottolinea la necessità di agire su più fronti: innovazione, espansione delle terre coltivabili e ulteriore adattamento. Ma soprattutto, evitare che le temperature continuino a salire oltre i livelli di guardia.
Copertina: James Baltz/unsplash