La relazione mente-cibo è sempre più chiara: così l’alimentazione condiziona il cervello
Dai rischi dei cibi ultra processati ai farmaci per perdere peso, fino al miglioramento della nutrizione nei Paesi poveri, una serie dell’Economist esplora il legame tra dieta e salute umana.
Che il cibo che mangiamo influenzi la nostra mente è una teoria confermata da un numero crescente di ricerche scientifiche. Il nostro cervello costituisce solo il 2% della massa corporea ma consuma il 20% dell’energia metabolica. Per funzionare correttamente quindi, ha bisogno di molti e diversi micronutrienti essenziali come vitamine, ferro, fosforo e calcio. Di conseguenza, ciò che mangiamo ha effetti non solo sul corpo ma anche sulla nostra mente. A questo proposito, l’Economist, ha recentemente pubblicato una serie che affronta alcuni temi centrali di questo filone di discussione, tra cui il campo emergente della psichiatria nutrizionale, l’uso di integratori e l’impatto dei cibi processati sulla salute.
Psichiatria nutrizionale e integratori alimentari
Con l'aumento dei disturbi della salute mentale, molti scienziati stanno studiando come il cibo o gli integratori alimentari possono influenzare la mente. Il cervello, scrive il settimanale inglese, essendo l'organo più complesso e più energivoro del corpo, ha quasi certamente le sue esigenze nutrizionali specializzate, che sono però ancora poco conosciute a causa della difficoltà nel condurre studi clinici randomizzati (Rct). La scienza nutrizionale si basa infatti prevalentemente su studi osservazionali, che evidenziano associazioni tra alimenti o nutrienti e malattie. La psichiatria nutrizionale è ancora agli inizi ma, guardando al futuro, potrebbe rivoluzionare il modo in cui affrontiamo i disturbi mentali, fornendo protocolli dietetici personalizzati che agiscano in sinergia con le terapie farmacologiche e psicologiche tradizionali. È noto che diete come quella mediterranea, ricca di verdure, frutta, legumi e cereali integrali, riducano il rischio di ictus, declino cognitivo e depressione. Varianti come la dieta mediterranea "verde", ricca di polifenoli, sembrano persino rallentare l'atrofia cerebrale legata all'età, mentre la dieta “Mind”, caratterizzata da un alto consumo di bacche, riduce significativamente il rischio di demenza. Questi approcci dietetici, supportati da ulteriori ricerche, potrebbero diventare strumenti fondamentali per contrastare l’invecchiamento cerebrale in una popolazione sempre più longeva. Nutrienti come gli omega-3 delle noci, i flavonoidi del tè e del vino e gli antiossidanti delle bacche stimolano infatti la crescita neuronale e riducono i processi infiammatori, sostenendo aree cruciali del cervello come l'ippocampo, essenziale per la memoria e l’umore.
In parallelo, le carenze di micronutrienti specifici come vitamina B12 o vitamina D possono compromettere gravemente il benessere mentale. La mancanza della prima è legata a depressione, psicosi e problemi di memoria, mentre la carenza di vitamina D aumenta il rischio di demenza e ictus. Per colmare eventuali mancanze di questi nutrienti e per migliorare il benessere mentale, è molto diffuso l’uso di integratori alimentari. Un recente Rct ha dimostrato che alte dosi di vitamina B6 possono ridurre l’ansia, mentre un’indagine su oltre duemila anziani ha rilevato che un multivitaminico quotidiano rallenta il declino cognitivo del 60%. Tuttavia, persistono problemi di regolamentazione e qualità: molti integratori disponibili sul mercato non rispettano standard adeguati e spesso hanno indicazioni vaghe e non precise, e la mancanza di brevetti scoraggia le aziende dal finanziare ricerche approfondite. Anche i farmaci per perdere peso, scrive l’Economist, possono presentare dei problemi da non trascurare.
Alimenti ultra-processati: un rischio sottovalutato
I cibi ultra-processati (in inglese Ultra processed food, Upf) rappresentano una sfida sempre più pressante per la salute globale. Secondo il sistema di classificazione Nova, gli Upf comprendono prodotti come bevande gassate, cereali zuccherati e pizze surgelate ottenuti attraverso processi chimici complessi, che contengono additivi e aromi artificiali per migliorarne gusto e conservabilità. Il consumo regolare di alimenti ultra-processati, fritti e zuccherati è associato a un aumento del rischio di problemi di salute mentale. Studi osservazionali inoltre, riporta l’Economist, hanno collegato il consumo di Upf a obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e disturbi mentali. Un Rct del 2019 ha rivelato che una dieta basata su Upf porta a un consumo calorico giornaliero superiore di 500 calorie rispetto a una dieta non processata, contribuendo a un aumento di peso significativo. Questo fenomeno è legato alla "iper-palatabilità" degli Upf, che combinano zuccheri, grassi e sale in modo da stimolarne il consumo eccessivo.
Gli Ogm ci aiuteranno a soddisfare la domanda di cibo di dieci miliardi di persone?
L'uso delle colture geneticamente modificate è tra le tecniche più discusse per contribuire a liberare il mondo dalla fame. L’Ue studia regole più flessibili per le nuove tecniche genomiche (Ngt), ma la Fao invita a sviluppare anche altre biotecnologie.
Anche se i risultati dimostrano in modo conclusivo che la lavorazione, e non solo i nutrienti, porta a una cattiva salute, c’è un'altra difficoltà: la definizione di Upf rimane confusa. La classificazione Nova non tollera affatto gli ingredienti artificiali e la semplice presenza di un additivo chimico classifica un alimento come Upf, indipendentemente dalla quantità. Ciò può portare a risultati sanitari confusi.
Sfide che si intrecciano con la necessità di aumentare gli investimenti sulla malnutrizione infantile, fenomeno in calo ma presente in modo significativo nella maggior parte dell’Africa e dell’Asia meridionale. “La posta in gioco è alta. Ostacolando lo sviluppo del cervello”, conclude il settimanale, “la malnutrizione infantile rende le persone più povere da adulte”.
Copertina: Diana Polekhina/unsplash