Its: un viaggio tra i percorsi formativi per creare nuove professionalità
L’80% dei diplomati trova lavoro dopo un anno, ma la frequenza delle ragazze è molto bassa e andrebbe incentivata per favorire l’occupazione femminile.
di Annamaria Vicini
La buona notizia è che il 79,9% dei diplomati negli Istituti tecnici superiori (Its) trova un lavoro a un anno dal conseguimento del diploma.
La cattiva, ed è decisamente pessima, è che solo il 27,6% delle ragazze frequenta questo percorso di studi, il che significa un’opportunità in meno nel panorama già non particolarmente positivo dell’occupazione femminile in Italia.
Ma cosa sono gli Its, sigla con cui normalmente si è soliti chiamare questi corsi?
Gli Its sono l’offerta formativa terziaria (cioè post-scuola secondaria superiore) professionalizzante, legata al sistema produttivo territoriale e al mercato del lavoro. Avete presente la lamentela che spesso si sente del mancato incontro tra istruzione e lavoro, tra le prime cause della disoccupazione giovanile nel nostro Paese? Ebbene, gli Istituti tecnici superiori sono stati istituiti nel 2007 (e attuati a partire dal 2010) su modello di analoghe e vincenti esperienze di Svizzera, Germania e Francia, proprio per costituire una soluzione a questo non marginale problema.
Pochissimi però li conoscono, e a ignorarne (o snobbarne) l’esistenza è, ahinoi, soprattutto la componente femminile della popolazione.
Non staremo qui a ribadire quanto le materie scientifiche indicate con l’acronimo Stem (science, technology, engineering, mathematics) siano poco apprezzate dalle ragazze, retaggio culturale di una società che nonostante Samantha Cristoforetti continua a immaginare le donne impegnate in lavori considerati tipicamente di loro pertinenza, come l’insegnamento o i servizi alla persona.
L’intento è quello semmai di diffondere la conoscenza di questa opportunità di studio prima e di lavoro poi tra le giovani, nella speranza che non vogliano lasciarsela sfuggire.
Come non prendere in considerazione infatti l’idea di frequentare due anni di scuola con la garanzia di trovare un’occupazione a 12 mesi dalla conclusione?
Aggiungiamo, come incentivo ulteriore, che il 90,9% dei diplomati e delle diplomate trova un lavoro coerente con il percorso di studi effettuato e che solo l’l% è stato bocciato all’esame finale (dati contenuti nel monitoraggio nazionale 2022 realizzato da Indire).
Attenzione però, la bassissima percentuale di respinti non significa che si tratti di percorsi dove regnano il lassismo e il pressapochismo. Piuttosto, questo risultato sembra essere legato a un’autoselezione di chi li frequenta, posto che solo il 53,8% di coloro che risultano idonei in base ai test d’ingresso viene poi effettivamente iscritto.
Un’altra ipotesi è che trattandosi di corsi in cui alla teoria si affianca la pratica con laboratori, stage in azienda e tirocini formativi anche all’estero, e che prevedono la presenza di docenti provenienti dal mondo del lavoro per almeno il 50%, la motivazione di chi frequenta sia più alta rispetto a corsi totalmente teorici.
Ma quali sono nello specifico i settori di pertinenza?
Dei 260 percorsi terminati nel 2020 il 46% riguarda le nuove tecnologie per il made in Italy, il 16,5% la mobilità sostenibile, il 13% le tecnologie per l’informazione e la comunicazione, l’11,5% le tecnologie innovative per i beni e le attività culturali, il 6,9% l’efficienza energetica, il 5% le nuove tecnologie della vita. Nell’ambito del settore made in Italy si trovano corsi sul sistema meccanica, il sistema agro-alimentare, il sistema moda, i servizi alle imprese e il sistema casa. Tutti ambiti che hanno attinenza con il presente e il futuro del nostro Paese, e per i quali è difficile trovare personale preparato in base ai tradizionali ordinamenti scolastici.
Un altro problema che riguarda gli Its, oltre al già citato divario di genere, è il divario territoriale, aspetti tra cui probabilmente c’è una certa correlazione: le Regioni che hanno attivato il maggior numero di corsi sono Lombardia (21,5%) e Veneto (15,3%), seguite da Puglia (8,8%) ed Emilia Romagna (8,4%).
Per quanto riguarda invece la disomogeneità tra le differenti realtà regionali, nei tipi di corsi attivati questa può derivare da differenze locali rispetto al mercato del lavoro, con conseguente necessità di diverse e specifiche figure professionali.
Colpisce però che tra le aree assenti in più della metà delle Regioni si trovi quella relativa all’efficienza energetica il che, considerate le problematiche attuali, è piuttosto preoccupante.
Lanciamo quindi un appello ai docenti affinché si facciano promotori presso gli studenti, e in particolare presso le studentesse, di questi percorsi, che hanno l’obiettivo di creare giovani preparati per le nuove professioni richieste da un mondo del lavoro in continua evoluzione.
Per ulteriori informazioni si può consultare il sito.
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