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Come sarà l’Europa tra 25 anni? Il monito di Draghi per evitare “un declino confortevole”
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Come sarà l’Europa tra 25 anni? Il monito di Draghi per evitare “un declino confortevole”

Al Cepr di Parigi l’ex premier ha spiegato che il modello esportazioni-salari bassi non è più sostenibile e rischia di trascinare l’eurozona in stallo. Serve sfruttare le nuove regole del Patto di stabilità.

lunedì 16 dicembre 2024
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Nel discorso pronunciato da Mario Draghi il 15 dicembre sul palco del Simposio annuale del Center for economic policy research (Cepr) di Parigi, ci sono due orizzonti temporali ben definiti. Il primo è rappresentato dalla durata del nuovo Patto di stabilità, che prevede piani di quattro anni, estendibili però a sette, per risanare i conti degli Stati. Questa finestra può diventare un’occasione per i Paesi membri Ue, è l’opinione dell’ex premier ed ex presidente della Banca centrale europea, se solo sapranno sfruttarla. Draghi ha affermato che se tutti i gli Stati utilizzassero lo spazio fiscale dentro le nuove regole dell’Unione, facendo “pieno uso del periodo di aggiustamento di sette anni”, ci sarebbero 700 miliardi di euro in più a disposizione per gli investimenti. Ovvero per finanziare le riforme strutturali di cui l’Europa ha urgentemente bisogno. Non male come prospettiva.

Il secondo orizzonte, altrettanto chiaro ma più preoccupante, si potrebbe concretizzare alla metà di questo secolo. Se l’Ue continuasse con il tasso medio di crescita della produttività osservato dal 2015, è stato l’allarme di Draghi, tra 25 anni l’economia continentale potrebbe avere le stesse dimensioni di oggi, mentre le spese per pensioni, energia, difesa e digitalizzazione aumenteranno. A preoccupare l’ex premier è in particolare il peso delle passività pensionistiche non finanziate nei Paesi dell’Unione, che oscillano tra il 150% e il 500% del Pil.

Per Draghi la prospettiva di un declino del nostro continente va contrastata con riforme strutturali che abbiano come obiettivo finale il debito comune europeo, proposta contenuta anche nel Rapporto sulla competitività presentato in estate dall’ex premier. Che a Parigi ha precisato anche che il significato di “riforma strutturale” è cambiato. “Dieci anni fa, il termine si riferiva principalmente all’aumento della flessibilità del mercato del lavoro e alla compressione dei salari. Oggi significa aumentare la crescita della produttività senza dislocare il lavoro, ma piuttosto riqualificando le persone”.

La ricetta di Draghi contro la “lenta agonia” dell’Europa

Tutti i materiali con cui l’ex premier ha aperto il dibattito sulla competitività dell’Unione. La sua visione è incentrata su innovazione, decarbonizzazione e competitività, sicurezza e riduzione delle dipendenze. Ma servono una politica industriale più coordinata e investimenti massicci.

Insomma, per Draghi puntare tutto sulle esportazioni e sugli stipendi bassi non funziona più come in passato perché, ha sottolineato, da qualche tempo il mercato cinese è diventato meno favorevole, mentre Trump ha annunciato una guerra dei dazi che frenerà le esportazioni verso gli Stati Uniti. Ecco allora che bisogna concentrarsi sulla domanda interna per risollevare una produttività stagnante. Puntando, come detto, sugli investimenti pubblici.

In chiusura del suo intervento, Draghi ha voluto ribadire l’importanza di preservare i valori fondanti dell’Ue, non trascurando però le possibili ricadute di un quadro economico in deterioramento. “Tutti desideriamo la società che l’Europa ci ha promesso, una società in cui possiamo mantenere i nostri valori indipendentemente da come cambia il mondo intorno a noi. Sarebbe rassicurante credere che questi problemi non siano così gravi come sembrano e che, essendo un continente ricco, l’Europa possa entrare in una fase di declino gestito e confortevole. Ma in realtà non c’è nulla di confortevole”. Il futuro per l’Europa si costruisce adesso.

Copertina: Ansa