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La vera vita deve riattivarsi: come?

Le persone hanno bisogno della connessione con l'altro per trovare stimoli e prospettive per il futuro. Una necessità di cui tenere conto anche nella comunicazione pubblicitaria e in quella orientata alla formazione dell'individuo. 

venerdì 10 novembre 2023
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La tristezza di questi ultimi anni, innescata soprattutto da pandemia e lockdown, e alimentata da tutto quello che è seguito, ha di molto rallentato la vita sociale di ciascuno di noi. Ci si sente soli e abbandonati, e stante il fatto che la vita è invece “relazioni”, la solitudine ci provoca tristezza e spegnimento.

Abbiamo un serio bisogno che venga posto un rimedio. Abbiamo tutti necessità della vitalità degli altri: dare e ricevere, riattivare l’attenzione. E questo bisogno (quasi) di protagonismo è molto cresciuto negli ultimi anni, a seguito della buona lievitazione culturale delle nuove generazioni. La discreta istruzione ha fatto crescere il proprio spirito critico, e la voglia di partecipazione. In questo contesto anche di forte centratura su di sé, ciò che sta accadendo è ancora più drammatico.

Avere coscienza di queste problematiche è fondamentale anche per tutti coloro che in azienda si occupano di comunicare, con particolare riferimento al mondo della comunicazione sia esterna - pubblicitaria - che interna - di formazione. Essere centrati sui destinatari della propria attività e tenere innanzitutto conto dei loro bisogni, dà certezza alla comunicazione, e attenzione in chi riceve.

Nelle due pagine che seguono riprendiamo in breve questi temi base: la vita è relazione, non può essere interrotta soprattutto per la nuova gente, che cosa la sta ostacolando, come rimediare.

La vita è relazione e rigenerazione

La vita è fatta da “me” assieme agli “altri”. È il “noi”. La vita è rigenerazione continua, e gli altri rappresentano l’ingrediente della rigenerazione: il “seme” di nuova vita. Il seme di nuova vita è indispensabile, perché la vita deve rinnovarsi, essere costantemente caratterizzata da stimoli nuovi. E senza stimoli nuovi non c’è vita. Non può coincidere solo con me stesso, perché sarebbe solitudine, ripetizione, noia, non vita.

La vita è quindi rigenerazione, ma in una logica evolutiva che “parte da me”, e non mi contrasta. La mia vita cresce, ha radici nel mio “passato”, momenti che sono della mia vita, e che deve riconoscere e conservare. Ma deve anche andare avanti, con l’evoluzione che deve essere inseminata dal nuovo. 

Si ribadisce: sono io che cresco, e quindi il me stesso ci deve sempre essere. Ma dentro di me c’è solo il me stesso, e non il nuovo, che invece è necessario. Il nuovo viene dall’esterno, ma deve essere compatibile con me, non dirompente. Deve essere da me accettato, ma perché ciò avvenga, lo devo capire, altrimenti lo rifiuto. Quindi il nuovo che vuole avere protagonismo su di me, e che io implicitamente cerco per avere una vita sempre interessante, deve tenere conto di me, e mi deve aiutare ad accettarlo. E deve essere giudicato interessante da me. Lo devo sentire “per me”.

In altri termini: ho esigenza degli altri, ma desidero anche che gli altri stiano attenti a me.

Il guaio del momento

Purtroppo la rigenerazione della vita in questo periodo – come già accennato - sta subendo un ostacolo. Come si è detto, una delle condizioni fondamentali perché tutto possa proseguire nel migliore dei modi è tenere il più possibile attiva la relazionalità. Invece veniamo da situazioni sociali che l’hanno violentemente ostacolata: la pandemia, e soprattutto il lockdown, hanno innescato la solitudine, che è la più forte causa della tristezza, perché toglie la relazionalità, abbatte di molto la prospettiva di nuove “inseminazioni” mentali rigenerative, cioè toglie la vita.

Il nuovo, ora, deve essere più attivo, stare più attento

In questo contesto di chiusura, che porta anche a contrapposizioni, il bisogno di un “nuovo positivo e costruttivo” è ancora più forte. Le novità di crescita devono essere giudicate ancora di più interessanti, comprensibili – cioè vicine a me - e adottabili. È come se dovessero sviluppare un “marketing più attento”, di forte attenzionalità per i destinatari.

Va inoltre ricordato – come già accennato – che i destinatari di oggi, cioè la gente attuale, è molto cresciuta criticamente (la grande maggioranza ha studiato almeno fino alle “medie superiori”) e ha preso possesso di se stessa molto più che in passato. Al di là delle turbative mentali, è gente più evoluta e meno dipendente. E tanto più si va avanti, tanto più il senso di orizzontalità – e non più dipendenza – diventa dominante.

Questo significa che tutto ciò che di nuovo si vuole proporre a questa gente – come anticipato – oltre che “inseminante”, deve essere giudicato interessante per i destinatari, deve tenere conto delle loro peculiarità. C’è sempre meno dipendenza, e sempre più centratura su di sé, e ricerca di orizzontalità. L’attesa è di ricevere sempre di più qualcosa di sorprendente per se stessi, che riattivi la propria vita.

E tutto ciò deve riguardare tutte le principali forme di relazione, a cominciare dalla comunicazione. E ciò con particolare riferimento a due forme di comunicazione:

  • la comunicazione pubblicitaria
  • la comunicazione orientata alla formazione dell’individuo, anche professionale
Sulla comunicazione pubblicitaria 

Prima si è parlato della “orizzontalità relazionale”, peraltro sempre meno rinviabile se si tiene conto della continua lievitazione della capacità critica della gente: la coscienza di “se stesso” è stata raggiunta, e la “dipendenza relazionale” è ormai sfumata. Quindi bisogna “dare per ricevere”, dando ciò che gli altri ritengono per loro stessi criticamente interessante ricevere.

Parliamo della comunicazione pubblicitaria, e del suo ovvio obiettivo di essere efficace. In genere, per aumentare l’impatto della comunicazione, si tende:

  • ad aumentare il più possibile la frequenza,
  • e a mantenere possibilmente stabile la creatività, così da favorire il contributo della frequenza.

Tuttavia – con riferimento soprattutto alla pubblicità TV che è la più efficace – va considerato che l’attenzionalità si mantiene attiva per non più di 8-9 secondi, durata che però nel tempo, mantenendo costante la creatività e riducendo gli stimoli nuovi, tende a ridursi, con un conseguente effetto di contrazione sulla efficacia. Questa è la conseguenza dell’essere centrati solo su di sé, del “non dare”.

Ora, è ovvio che per fare frequenza – necessaria per favorire la memorabilità – si deve puntare sulla massima riconoscibilità del brand. Quindi l’avvio della comunicazione, dove c’è un massimo d’attenzione, deve essere caratterizzato da elementi di forte riconoscimento, quindi con continuità e ripetizione di parte della creatività.

Ma se si desidera stimolare l’attenzione a rimanere attiva, è necessaria la “sorpresa”, cioè una parziale rigenerazione creativa – una storia che evolve in vario modo –, consequenziale ma interessante: deve essere per certo collegabile a ciò che si è già ricevuto, ma deve avere del nuovo coinvolgente.

È questa un'accortezza necessaria in generale, stante l’evoluzione critica della gente. E pare ancora più necessaria in questo nuovo periodo sociale, sfortunato, dove la gente è purtroppo sola con se stessa, e va aiutata con attenzionalità specifiche. E l’aiuto promette forti ritorni.

Sulla comunicazione orientata alla formazione dell'individuo

Tanto più l’individuo evolve, tanto più il “se stesso” ha rilevanza. E più si va avanti, anche gli “altri” hanno rilevanza, ma l’attenzione su se stessi non demorde. E tutto ciò, per quanto non sempre razionalizzato, vale anche nel contesto professionale. Tanto più si va avanti, tanto più ci si deve rendere conto che nell’individuo professionale ci sono due sue componenti:

  • la sua persona;
  • la sua professione.

Ora non si deve mai dimenticare che l’obiettivo della vita è la “persona”, e che la “professione” è un metodo per raggiungere l’obiettivo.

Tutto ciò ha un forte valore anche nell’impostazione della formazione: chi fa formazione deve acquisire credibilità e rilevanza dando attenzione e valore prima all’individuo come persona, e in seguito alla sua professionalità.

Se chi mi forma, mi rispetta come individuo, mi sorprende, arricchisce la mia persona con contenuti che hanno a che fare con la vita in generale, e con la “mia” personale vita, allora mi affascina, e la sua credibilità ed efficacia nella formazione professionale diventerà massima.