Cieli grigi: il percorso difficile dei Paesi più inquinati al mondo
Dal carbone in India al dirty cooking in Africa, passando per il Bangladesh, la Cina e anche certe aree europee: tra strategie ambientali e ritorni al passato, un viaggio nel cuore delle sfide per un’aria pulita.
Il nuovo ministro dell’Ambiente di Delhi, Manjinder Singh Sirsa, non ha perso tempo. Pochi giorni dopo il giuramento, l’esponente del Bjp di Narendra Modi, partito tornato al potere nella capitale indiana dopo 27 anni, ha annunciato che dal primo aprile a New Delhi le auto a benzina con più di 15 anni non potranno più fare rifornimento. “Stiamo installando presso le pompe di benzina dispositivi che identificheranno i veicoli non conformi”, ha detto Sirsa, ufficializzando anche una serie di altri interventi, tra cui l’elettrificazione della flotta degli autobus, l’adozione di pistole anti-smog sui tetti dei grattacieli e la “pioggia artificiale” (cloud seeing), che prevede la dispersione di ioduri e ghiaccio secco nelle nuvole per incrementare le precipitazioni e “lavare via” il particolato. Nonostante gli scienziati siano scettici, a causa della variabilità intrinseca delle piogge e l’efficacia limitata di esperimenti simili condotti negli Stati Uniti, per il governo federale è una soluzione a breve termine per combattere la pessima qualità dell’aria.
L’India non abbandona il carbone
New Delhi si posiziona regolarmente tra le città più inquinate del pianeta, ma è l’India in generale ad affrontare gravi problemi di inquinamento atmosferico. Lo smog persistente, in particolare nelle regioni del Nord, hanno richiesto misure di emergenza, quali la chiusura delle scuole lo scorso novembre e la sospensione di attività pubbliche. Nel 2024 la Corte suprema indiana ha affermato che l’accesso a un ambiente privo di inquinamento è un diritto fondamentale, criticando l’inerzia del governo di Delhi nel fronteggiare l’emergenza secondo il piano d’azione di risposta graduata (Grap). “I nuovi tentativi dell’India di combattere l’inquinamento atmosferico sono insufficienti”, è stato il commento del Wall street journal. Secondo esperti e residenti, infatti, c’è la necessità di agire sulle fonti principali, ossia le emissioni, anziché focalizzarsi su “interventi tampone”.
Le emissioni di veicoli e fabbriche sono solo una parte del problema, perché il Paese deve fare i conti con roghi agricoli e incendi in aumento. Lo stubble burning, la pratica di bruciare le steppe del raccolto per preparare i campi alla semina successiva, è stata vietata nel 2015, ma gli agricoltori non sembrano volervi rinunciare. In soli due mesi, da settembre a novembre 2024, sono stati registrati oltre 23mila casi di incendi agricoli in sei Stati federali tra cui Delhi.
In vari discorsi pubblici, il premier Modi ha evidenziato l'importanza di investire in tecnologie pulite e in infrastrutture di monitoraggio per affrontare il problema dell'inquinamento. Tuttavia il percorso dell’India sembra in salita: nonostante l’aumento della produzione di elettricità con le rinnovabili, con l’obiettivo di raggiungere 500 gigawatt di capacità entro il 2030, il Paese asiatico resta il secondo produttore mondiale di carbone. E, secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), nei prossimi anni ne utilizzerà ancora di più. Qualche progresso potrebbe venire dal fronte dei trasporti: lo scorso settembre il governo ha approvato un piano da 1,3 miliardi di dollari per incoraggiare l’adozione di veicoli elettrici, mirando ad aumentare la quota di auto elettriche vendute dal 2% al 30% entro questo decennio. Nel frattempo le misure adottate finora – come il National clean air programme – si sono scontrate con problemi di applicazione e infrastrutture inadeguate.

L’ascesa dell’India: sfide e strategie per diventare una potenza globale
Per evitare la “trappola del reddito medio” il capitale umano deve essere impiegato in settori strategici e le disuguaglianze interne vanno ridotte. Crescono le rivalità con la Cina per l’egemonia sulla regione.
La cucina “sporca” condanna l’Africa
Anche l’Africa affronta una crisi di qualità dell’aria di portata globale, aggravata dalla scarsa copertura delle reti di monitoraggio. I Paesi del continente finiscono spesso in cima al World air quality report, la classifica stilata ogni anno dalla piattaforma specializzata IQAir, che analizza in particolare le concentrazioni di PM 2,5 (particolato fine) confrontandole con le linee guida annuali dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Il nuovo report verrà pubblicato tra pochi giorni, ma una serie di dati lasciano presagire che lo Stato più inquinato del 2024 a livello globale potrebbe risultare il Ciad, con valori annuali superiori ai 90 µg/m³.
Il Ciad è uno dei Paesi più poveri al mondo e ha risorse assai limitate per gestire e controllare l’inquinamento. Si trova in una regione semiarida, con vaste porzioni del suo territorio coperte dal deserto del Sahara e dalla zona del Sahel. Inoltre, il fenomeno delle tempeste di sabbia e polvere, molto frequente, solleva grandi quantità di particolato atmosferico (PM10 e PM2.5). Un altro fattore ha però un ruolo di rilievo: gran parte della popolazione del Ciad, così come di tutta l’Africa subsahariana, utilizza legna, carbone e addirittura sterco animale per cucinare e riscaldarsi. Metodi di cottura rudimentali e inefficienti che rilasciano sostanze nocive nell’atmosfera, peggiorando la crisi climatica e la salute umana. Per Fatih Birol, direttore esecutivo della Iea, “oggi in Africa, quando si parla di energia e clima, la questione numero uno è la cucina pulita”. Secondo le stime, infatti, quattro africani subsahariani su cinque attualmente non hanno accesso a soluzione di cucina pulita (clean cooking).
“Negli ultimi anni l’elettrificazione è diventata una priorità strategica per molti Paesi”, ragiona Pippo Ranci, già professore di politica economica all'Università Cattolica di Milano, “il clean cooking non è sempre un obiettivo esplicito dei programmi nazionali di elettrificazione, ma di fatto ne è una conseguenza indiretta. Laddove arriva l’elettricità, l’adozione di metodi di cottura più puliti diventa più semplice, almeno nelle aree urbanizzate. Qui il costo dell’energia elettrica gioca un ruolo determinante: se l’elettricità è accessibile e conveniente, tende a sostituire gradualmente le soluzioni tradizionali più inquinanti”. Ma dal punto di vista geografico si osservano dinamiche diverse: “L’accesso all’elettricità è diventato pressoché universale in molte parti dell’Asia”, prosegue Ranci, “mentre l’Africa – in particolare la regione subsahariana – procede a un ritmo più lento. In America Latina la situazione è eterogenea: alcune regioni rurali e impervie restano indietro rispetto alle aree più sviluppate”.
Il Bangladesh sotto il peso dei mattoni
A Dacca, la capitale del Bangladesh, la situazione è particolarmente critica durante l’inverno, quando le emissioni delle industrie tessili, il traffico intenso e la combustione di rifiuti peggiorano la situazione. Il primo marzo Dacca era addirittura in cima alla lista mondiale di IQAir, con l’aria classificata come “malsana”, il che indica una grave minaccia per la salute dei residenti. Una delle principali fonti di inquinamento è l’industria dei mattoni: i forni antiquati, altamente inquinanti, emettono enormi quantità di particolato e gas tossici. Gli impatti sulla popolazione sono enormi. Secondo il rapporto State of global air 2024, pubblicato dall’Health effects institute in collaborazione con l’Unicef, solo nel 2021 l’inquinamento atmosferico è stato responsabile di oltre 235mila decessi nel Paese.
Le strade inquinate di Hong Kong
In Cina sono le province del Nord, come Hebei e Xinjiang, insieme ad altre aree come Hainan, a ospitare le città con i livelli più elevati di inquinamento. Il governo di Xi Jinping ha fissato obiettivi ambiziosi per ridurre l'inquinamento atmosferico, con target al 2027 e al 2035 che però rimangono comunque superiori alle linee guida Oms. Il settore energetico è ancora basato in larga parte sulla combustione di carbone, assieme alla produzione di cemento e altri processi industriali.
A Hong Kong, costa sud della Cina, l’inquinamento atmosferico è uno dei maggiori problemi. Soprattutto nelle sue aree più densamente popolate come Causeway Bay, Central e Mong Kok. Proprio a Mong Kok è ambientato lo studio di Jeffrey Chang, ricercatore presso l’Università di Hong Kong. Utilizzando il software Envi-met, Chang ha analizzato come il vento e le geometrie degli edifici influenzino i livelli di inquinamento. La ricerca ha evidenziato come l’aria stagnante, intrappolata tra gli alti edifici delle strade affollate, crei hotspot localizzati con livelli di inquinamento elevati. Le simulazioni di Chang hanno mostrato anche che gli inquinanti come gli ossidi di azoto (Nox) possano viaggiare verso l'alto fino ai livelli medi degli edifici, con concentrazioni che salgono fino a dieci metri.
LEGGI ANCHE: Inquinamento, Legambiente: che aria tira nelle città italiane?
Luci e ombre in Europa
E in Europa? Dagli ultimi rapporti IQAir emerge una linea di tendenza in miglioramento, con ottime performance di Estonia, Finlandia e Regno Unito e situazioni particolarmente critiche in Serbia e Montenegro. In Italia la Val Padana resta una delle aree europee più inquinate. Secondo i dati pubblicati a dicembre 2024 dall’Agenzia europea per l’ambiente (Aea), nel Vecchio Continente il numero di morti dovute all’esposizione a inquinamento atmosferico, ad esempio alle polveri fini, sta diminuendo, ma i livelli di inquinanti restano al di sopra dei livelli raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità. Qualche numero: tra il 2005 e il 2022, ultimo anno analizzato, i decessi riconducibili all’esposizione al particolato fine o PM 2,5 sono scesi del 45%; considerando anche le norme entrate in vigore in Ue, l’obiettivo di arrivare a una riduzione del 55% entro il 2030 pare raggiungibile. Ma c’è ancora strada fare: nel 2022 in Ue si sono contate ancora circa 239mila morti dovute al particolato fine, 70mila all’esposizione all’inquinamento da ozono (O3) e 48mila all’esposizione all’inquinamento da biossido di azoto (NO2).
Gli effetti dell’inquinamento sull’attività cerebrale non sono un problema dell’epoca moderna. In uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the national academy of sciences, un team internazionale di scienziati ha ipotizzato che gli antichi romani, esposti al piombo presente in numerosi oggetti di uso quotidiano, potrebbero aver subito una riduzione del QI a causa dell’inquinamento atmosferico, sebbene guerre e scarsità di cibo abbiano avuto un ruolo importante.
Sapevate, infine, che l’inquinamento atmosferico può rendere difficili le attività quotidiane? A suggerirlo è uno studio sperimentale condotto dalle università di Birmingham e Manchester e pubblicato su Nature Communications. E, fatto abbastanza sorprendente, basta anche una breve esposizione di un’ora. I ricercatori hanno effettuato il test su 26 soggetti adulti sani, con età media sotto i 30 anni. Li hanno esposti a livelli elevati di inquinamento atmosferico, utilizzando il fumo di candela, e poi ad aria pulita, testando le capacità cognitive prima e quattro ore dopo l'esposizione. Il risultato? L’inquinamento dell’aria, in concentrazioni paragonabili a quelle delle principali città europee, ha peggiorato l’attenzione selettiva degli individui, ovvero la loro capacità di focalizzarsi su stimoli specifici. Ignorare questi allarmi sarebbe imperdonabile.
Copertina: Ravi Sharma/unsplash