Senza politiche adeguate il 95% delle terre sarà degradato entro il 2050
Dalla Cop 16 sulla desertificazione 12 miliardi per i Paesi più colpiti, ma servirebbero almeno 2600 miliardi entro il 2030 per ripristinare le aree degradate. Nel Sahel la Grande muraglia verde avanza a rilento.
Oltre tre quarti delle terre del mondo (il 77,6%) sono diventate permanentemente più aride negli ultimi trent’anni a causa dei cambiamenti climatici, della scarsità idrica e dell’uso non sostenibile del suolo. Le aree aride sono aumentate di circa 4,3 milioni di chilometri quadrati, arrivando a ricoprire il 40% di tutte le terre globali, escluso l’Antartide. Sempre più persone vivranno in zone aride e saranno esposte alle conseguenze dell’inaridimento, tra cui tempeste di sabbia, incendi, scarsità idrica, perdita del raccolto e desertificazione. Oggi 2,3 miliardi di persone vivono già in aree considerate aride, ma il numero è destinato a raggiungere i cinque miliardi entro il 2100 nello scenario climatico peggiore. Sono alcuni dei dati allarmanti del rapporto “The global threat of drying lands: regional and global trends and future projections” pubblicato in occasione della 16esima Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (Unccd) che si è svolta a Riyad, in Arabia Saudita, dal 2 al 13 dicembre 2024.
Al termine dei negoziati della Cop16, i Paesi si sono impegnati a stanziare 12 miliardi di dollari, di cui dieci miliardi promessi dal Gruppo di coordinamento arabo, per supportare 80 dei Paesi maggiormente colpiti dalla siccità. Un impegno insufficiente per contrastare la desertificazione e la siccità: secondo le stime dell’Unccd, sarebbero necessari almeno 2600 miliardi di dollari per ripristinare un miliardo di ettari di aree degradare entro il 2030, l’equivalente di un miliardo di dollari al giorno. Non si è riusciti a trovare un accordo legalmente vincolante su un Protocollo sulla siccità, richiesto in particolare da alcuni Paesi africani. La decisione è rimandata quindi alla Cop17, in programma in Mongolia nel 2026.
Non solo distese di sabbia: l’impatto della desertificazione
Eppure le conseguenze di queste trasformazioni del suolo sono enormi e richiederebbero azioni urgenti: l’Unccd stima che ogni anno 878 miliardi di dollari sono persi a causa della diminuzione della produttività agricola e dei servizi ecosistemi e dei danni causati dalla siccità. In alcune aree la resa dei raccolti potrebbe ridursi del 50% entro il 2050, causando un aumento dei prezzi, aggravando situazioni di insicurezza alimentare e povertà e costringendo milioni di persone a lasciare le proprie case.
Quando pensiamo a un deserto non dobbiamo pensare solo a distese di sabbia e dune: si considerano desertiche, infatti, tutte quelle aree che hanno perso la propria capacità produttiva biologica e non sono più adatte a sostenere la vita. La desertificazione, cioè il processo di degradazione del suolo nelle zone aride, semi-aride e secche, è strettamente legato ai cambiamenti climatici, ai fenomeni atmosferici e alle attività umane.
Il suolo è una risorsa fondamentale: custodisce oltre un quarto della biodiversità del Pianeta e da esso dipende circa il 95% del cibo che produciamo; attraverso la cattura del carbonio svolge, inoltre, un ruolo importante nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Tuttavia, è anche una risorsa non rinnovabile poiché la sua formazione e il suo ripristino richiedono tempi molto lunghi. Gli scienziati avvertono che il tasso di erosione del suolo è tra le dieci e le 40 volte superiore alla capacità di rigenerazione. Come evidenzia il movimento Salva il suolo, se le attuali tendenze dovessero continuare il 95% del territorio terrestre sarebbe destinato a degradarsi entro il 2050.
“Salva il Suolo”: ecco la nuova mappa per capire l’entità futura del degrado della terra
Gli esperti stimano che, in base alle tendenze attuali, il 95% delle aree terrestri sarà sostanzialmente degradato entro il 2050. Il movimento: puntare su agricoltura rigenerativa per portare materia organica del suolo al 3-6%.
di Redazione
Contrastare l’avanzata del deserto
La Grande muraglia verde è probabilmente l’iniziativa contro la desertificazione più conosciuta. Lanciata nel 2007 dall’Unione africana, il progetto coinvolge 11 Paesi africani e punta a ripristinare 100 milioni di ettari di suolo degradato entro il 2030, realizzando una striscia di alberi e piante lunga quasi ottomila chilometri e larga quindici, dal Senegal a Gibuti. Un rapporto dell’Unccd ha stimato che al 2020 erano stati ripristinati quasi 18 milioni di ettari di terre degradate ed erano stati creati 350mila nuovi posti di lavoro. La mancanza di coordinazione tra i Paesi coinvolti e la scarsa attenzione per le questioni ambientali ostacolano il raggiungimento dell’obiettivo. Per accelerare la realizzazione del progetto nel 2021 è stato lanciato il Great green wall accelerator con l’impegno di stanziare14,3 miliardi di dollari di nuovi finanziamenti; alla Cop16 sulla desertificazione il governo italiano ha promesso investimenti per 11 milioni di euro da destinare ai territori del Sahel.
Gli effetti di questa iniziativa sul clima della regione potrebbero essere contrastanti: secondo i risultati di una simulazione pubblicata sulla rivista scientifica One Earth, la realizzazione del progetto potrebbe portare a un aumento delle precipitazioni medie e a una diminuzione della durata dei periodi di siccità; allo stesso tempo in alcune zone potrebbero aumentare i giorni con temperature molto alte, in particolare prima della stagione delle piogge.
I Paesi e le iniziative della Grande muraglia verde
C’è poi un’altra “grande muraglia verde” ed è quella che il governo cinese sta costruendo dal 1978, anno in cui è stato lanciato il Three-North shelterbelt program per contrastare la desertificazione nel Nord del Paese. Alla fine degli anni ’70 in Cina ogni anno 1500 chilometri quadrati di terra si trasformavano in aree desertiche a causa della deforestazione, delle coltivazioni e dei pascoli eccessivi. Secondo i dati ufficiali, la copertura forestale nelle 13 province coinvolte è aumentata dal 5% al 14% da quando il progetto è iniziato; nell’ultimo decennio l’area desertica è passata dal 27,2% al 26,8% del totale.
Alcuni studi, citati anche dall’Economist, ritengono però che tale riduzione sia dovuta principalmente all’aumento delle piogge più che alla piantumazione di alberi. Alcune critiche sono rivolte anche alla sostenibilità dell’iniziativa: per anni sono stati piantati alberi non adatti alle condizioni climatiche del territorio o che hanno drenato le riserve idriche presenti, rendendo la desertificazione ancora più probabile. Negli ultimi anni l’approccio è cambiato e ora la piantumazione prevede diversi tipi di alberi e arbusti.
L’area coinvolta nel Three North shelterbelt programme
L’Italia a rischio
Quasi tutto il territorio europeo (il 95,9%) è particolarmente esposto al processo di inaridimento. Le aree del Mediterraneo e i Paesi dell’Europa meridionale, considerati fondamentali per la produzione agricola, dovranno affrontare un futuro sempre più arido. In Italia le regioni centrali e meridionali sono le più colpite dalla desertificazione e dal degrado del suolo. Per contrastare il fenomeno, nel 1999 il nostro Paese si è dotato del Programma di azione nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione, a cui si sono aggiunte azione di gestione forestale e delle risorse idriche, oltre ai progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per il recupero e la rigenerazione del suolo. Tra le iniziative intraprese, ad esempio, c’è il progetto europeo Life Desert-Adapt che tra il 2018 e il 2023 ha coinvolto le aziende agricole presenti in alcune aree a rischio desertificazione, come la Sicilia, per fornire strumenti di pianificazione, adattamento e gestione sostenibile del suolo e dei terreni coltivati.
L’obiettivo di arrestare il consumo di suolo e la desertificazione entro il 2030 appare irraggiungibile, come evidenzia il Rapporto ASviS 2024: secondo i dati Ispra, tra il 2022 e il 2023 altri 72,5 km quadrati di territorio sono stati occupati da cemento, asfalto e altre coperture artificiali. Al 2019 il 17,4% del territorio nazionale era degradato, con valori particolarmente preoccupanti nel Lazio (33,9%) e in Umbria (32,7%). Per questo occorrono urgentemente politiche che mettano al centro la protezione e il ripristino della natura, con una particolare attenzione al consumo e alla trasformazione dell’uso del suolo.
Copertina: Francesca Binda