Simulare le crisi: i videogiochi possono prepararci alle sfide del nostro tempo?
Mentre nascono videogame per sensibilizzare gli utenti sul cambiamento climatico, i giocatori esperti vengono assoldati in Ucraina come piloti di droni. Ma l’industria videoludica continua a inquinare e al settore servono scelte radicali.
di Flavio Natale
Cominciamo con un’esperienza personale: la mia iniziazione ai videogiochi è avvenuta, come per molti coetanei, con il calcio. Prima Fifa 99, poi Winning eleven, quindi Pro evolution soccer e di nuovo Fifa. In questi anni di fedele militanza calcistica ho toccato, sempre di sfuggita e con sistematica incoerenza, altri classici del settore: tra questi Crash Bandicoot, Tekken, Resident Evil, Halo, Assassin’s Creed, Call of Duty. Nonostante le svariate esperienze di gioco, però, non sono mai riuscito a sviluppare quella volontà, ben radicata nel giocatore incallito, necessaria per completare la storia fino all’ultima missione (Assassin’s Creed Brotherood e Halo II sono forse gli unici titoli che abbia mai finito in vita mia). Morale della favola: non sono mai stato un gran giocatore di videogame ma, in compenso, mi è sempre piaciuto osservare le persone giocarci, o meglio soffermarmi su tutti quei dettagli (ambientazione, dialoghi, trame secondarie) che rendono un videogioco una storia.
Negli ultimi anni, questa caratteristica dei videogame (il loro essere storie) mi sembra sia diventata una condizione sempre più centrale per la buona riuscita o meno di un titolo: penso sia dovuto all’esponenziale e diffuso aumento della qualità grafica, una conquista che ha spostato il terreno della competizione su altri territori – come l’abilità delle case produttrici di produrre trame così coinvolgenti da diventare film o serie tv di successo. Ultimo esempio: The last of us, la serie prodotta da Hbo e tratta dall’omonimo videogioco, in cui il rapporto tra un padre che ha perso una figlia e una bambina senza figure genitoriali è calato all’interno di un pianeta collassato a causa di un’infezione fungina scatenata dagli effetti del cambiamento climatico. In questo caso, la storia si muove su due piani intrecciati: il rapporto tra i personaggi e quello con il mondo che li circonda. Immergersi in un gioco/serie tv di questo tipo vuol dire quindi fare esperienza (anche) della vita di quell’universo, simulando le scelte che potremmo compiere in un futuro ipotetico dominato da un evento catastrofico.
Videogiochi e cambiamento climatico
Sul tema simulazioni e videogame è stato recentemente intervistato Sam Alfred, lead designer dello studio Free Lives con sede a Città del Capo, in occasione della prossima uscita (28 marzo) del suo Terra Nil, un gioco per telefono e computer in cui, a partire da un arido deserto, spetta al giocatore ricreare un paesaggio fiorente, utilizzando tecnologie innovative e tecniche naturali, dagli impianti eolici agli alveari. Alfred ha detto che l’ispirazione per Terra Nil gli è venuta dalla terribile siccità che ha colpito nel 2018 Città del Capo: “Quel periodo mi ha fatto capire come, nonostante tutta la raffinatezza della società moderna, dipendiamo ancora dall'acqua che cade dal cielo”.
Terra Nil non è però l’unico esempio presente sul mercato. Niantic, società di sviluppo di Pokémon Go, ha utilizzato la realtà aumentata per promuovere un'iniziativa a favore della riforestazione. Ubisoft ha organizzato una marcia per il clima all'interno del videogioco per PlayStation e Xbox Riders republic, e sta pianificando di simulare, sempre su Riders republic, un incendio boschivo virtuale per dimostrare gli effetti devastanti dei disastri ambientali. Negli ultimi anni anche le Nazioni unite si sono mosse su questo terreno, in particolare con il Green game jam, evento internazionale online a cadenza annuale rivolto agli studi di produzione videoludica “per migliorare la loro capacità di sensibilizzare i giocatori sui temi ambientali”. Questa iniziativa è inserita all’interno della più ampia “Playing for the planet alliance”, alleanza lanciata nel 2019 dall’Onu e promossa dall’Unep con lo scopo di riunire aziende di settore, stimolandole a inserire tematiche ecologiche nei loro videogiochi, ridurre le emissioni e sostenere l’agenda ambientale globale. Deborah Mensah-Bonsu, fondatrice dell'organizzazione Games for good e organizzatrice della Green game jam, ritiene che i videogiochi siano nella posizione ideale per incoraggiare cambiamenti di mentalità e comportamento: "L'idea di agency dei giocatori è un tassello davvero importante. Altri strumenti prevedono un’esperienza passiva. Mentre con i giochi entri a far parte di una storia: hai voce in capitolo sul suo esito”.
Ed è quello che accade, ad esempio, anche con Climate game, il gioco online prodotto dal Financial Times che affida agli utenti le decisioni sul futuro del pianeta, per salvare il mondo dagli effetti del cambiamento climatico. Durante il gioco, gli utenti sperimentano l'impatto delle loro decisioni, avanzando attraverso domande a scelta multipla e osservando le conseguenze di ciascuna scelta sulle emissioni globali.
Il lato oscuro dei videogiochi
Tuttavia, c'è una contraddizione connaturata alla produzione dei videogame di maggiore successo: ogni console, scheda grafica e processore all'avanguardia è il prodotto di processi ad alta intensità di carbonio, inclusa l'estrazione di minerali delle terre rare.
Per questa ragione, quando Sony si è impegnata, durante la Green game jam 2022, a piantare un albero per ogni trofeo "Reached the daunt" guadagnato dagli utenti durante il videogioco Horizon: forbidden west, in molti hanno richiamato lo spettro del greenwashing. Sony ha infatti annunciato di voler accelerare sugli impegni per diventare net zero entro i prossimi 10 anni, ma a conti fatti le emissioni del 2020 derivanti dall’uso dei televisori e delle console targate Sony sono state le più alte registrate dal 2016.
Per decarbonizzare il settore servono dunque idee radicali. Kara Stone, game designer e assistente presso l'Alberta University of the arts, sta lavorando a un server web alimentato a energia solare per ospitare “videogiochi a basse emissioni”. Il primo di questi si chiama Known mysteries, ed è ambientato in un futuro prossimo in cui il Canada è tenuto sotto scacco dalle compagnie petrolifere. Stone dice che questo gioco è in parte ispirato alla città dove vive, Calgary, considerata la “capitale petrolifera del Canada”. Il videogame in questione contiene immagini “riciclate” da alcuni film e documentari degli anni ’70, compresse e riutilizzate per adattarle al server. La proposta di Stone sfida l'idea che la grafica ad alta risoluzione, particolarmente energivora, costituisca l’unica alternativa per il futuro del settore. Il server creato da Stone, alimentato a energia solare, non assicurerebbe nemmeno una disponibilità sette giorni su sette. Ma anche questo non la preoccupa: “Non tutto deve essere accessibile a tutti in ogni singolo momento. L'accesso completo a ogni utente è una mentalità così capitalistica”.
La domanda è se tutte queste iniziative siano in gradi di influire effettivamente sul comportamento degli utenti: secondo una ricerca di Playing for the planet la risposta è sì. Il 78,6% degli intervistati ritiene infatti che i videogiochi potrebbero aiutare a conoscere meglio l'ambiente che ci circonda e il 35,4% desidera vedere più contenuti ecologici nei videogame. Quasi due terzi degli intervistati (61,1%) ha affermato che sarebbe motivato a pagare per “aggiornamenti su tematiche ambientali”, in particolare se servissero a sostenere una buona causa o fornissero informazioni utili al giocatore.
Videogiochi e conflitti
Ma i videogame non vengono usati soltanto per stimolare gli utenti sui temi ecologici. L’esercito degli Stati uniti è stato accusato varie volte di finanziare streamers e tornei di Call of Duty per reclutare giovani soldati. Inoltre, sempre nel campo videoludico, ha creato America’s Army, un videogioco abbastanza longevo (vent’anni di attività, chiuso nel 2022) prodotto per raccogliere dati sul comportamento dei giocatori e istruire gli utenti per l’addestramento nell’esercito. Questi sparatutto, oltre a essere molto diffusi e particolarmente redditizi, sono uno sponsor vivente del modello bellico americano: “In genere esaltano il soldato solitario, che risolve i problemi del mondo con il suo fucile d’assalto e gettano una luce favorevole anche sulle attività militari più sospette”, si legge su Jacobin Italia. “Con centinaia di milioni di giocatori in tutto il mondo, sono una costante pubblicità della potenza militare statunitense”. Altri videogiochi come Full Spectrum Warrior e Virtual Battle Space 3 sono stati a lungo usati dall’esercito americano (e il secondo anche da quello italiano) per simulazioni interattive di combattimento. Alle console sono negli ultimi anni però subentrati i visori di realtà aumentata: la Us Army ha ad esempio stipulato un accordo da 22,8 miliardi di dollari con la Microsoft per la fornitura di 120mila Hololens. Questi visori rientrano all’interno del programma Integrated visual augumentation system, nato con lo scopo di addestrare i soldati americani, immergendoli nelle simulazioni di scenari di conflitto.
Ma l’esercito americano non è il solo a utilizzare le potenzialità del gaming. Politico ha pubblicato a fine febbraio un reportage sui piloti di droni ucraini: tra questi, sono stati assoldati alcuni streamer e blogger che, data la loro esperienza videoludica, sono allenati nell’utilizzo dei joystick. Uno tra questi, "Pubblico", è diventato pilota dell'intelligence nella regione del Donbass: “Senza i droni è quasi impossibile notare in anticipo l'equipaggiamento e le postazioni di tiro dei nemici”, ha dichiarato a Politico. “Un drone a volte può salvare dozzine di vite con un volo”.
Accademie per piloti di droni e organizzazioni non governative stanno addestrando in tutta l’Ucraina migliaia di civili. Dronarium, società che prima della guerra era specializzata nella produzione di filmati commerciali e di proteste politiche, offre oggi sessioni intensive di addestramento a soldati e civili: nell’ultimo anno ha sfornato circa 4.500 piloti. “Le squadre di ricognizione dei droni lavorano in coppia, come i cecchini”, ha detto a Politico l’istruttore “Prometheus”. “Un soldato fa volare un drone usando una tastiera; il collega guarda la mappa e calcola le coordinate. Poi trasferisce le immagini dal campo di battaglia ai server e allo Stato maggiore. Grazie a noi, l’esercito vede cosa stanno facendo i nemici e questo li aiuta a centrare l'obiettivo”.
Attualmente, le aziende ucraine producono solo il 10% dei droni di cui il Paese avrebbe bisogno. Molti piloti li acquistano direttamente dall’estero, in particolare dal produttore cinese Dji – fino a quando Dji non ha dichiarato l’interruzione delle vendite, sia verso Kiev che verso Mosca. In risposta, l’Ucraina ha allentato i controlli sulle importazioni ed esportazioni, e compra massicce quantità di droni anche grazie al supporto di progetti come United24’s "Army of Drones", di cui l’attore Mark Hamill (Luke Skywalker in Star Wars) è ambasciatore. "Army of Drones" prevede l'approvvigionamento e la manutenzione dei droni, nonché l'addestramento di piloti per il monitoraggio delle linee di difesa ucraine.
Ultima piccola curiosità: Mark Hamill ha registrato un audio per avvertire i piloti ucraini della fine dell’allerta antiaerea. Gli appassionati di Star Wars avranno già capito. Per i meno appassionati basti sapere che si tratta di un breve messaggio, un messaggio che è un monito ma anche, in qualche modo e ancora una volta, un gioco:
“Attention. The air alert is over. May the force be with you”.
fonte dell'immagine di copertina: IgnItalia