Violenza sulle donne: senza prevenzione non se ne esce
Molto diffusi, anche tra i giovani, gli stereotipi di genere. E se ci sono dei figli le donne non denunciano per salvaguardare la famiglia.
“Siamo riusciti a uscire da una pandemia realizzando in pochi mesi un vaccino, ma non riusciamo a uscire da quest’altra pandemia che è la violenza contro le donne. Perché?”
La domanda arriva come un pugno nello stomaco da parte di una delle relatrici dell’interessante convegno che l’Istat ha organizzato in vista della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre) e verrebbe da pensare che una risposta stia in quell’immagine postata sui social dell’aula del Senato semivuota durante la discussione del Ddl Roccella.
Ma già la stessa relatrice, che di nome fa Maria Giuseppina Muratore, una risposta l’aveva data: la violenza contro le donne è considerata come qualcosa di normale. Probabilmente non quando raggiunge l’apice del femminicidio che, soprattutto se consumato ai danni di una giovane ragazza, per qualche giorno dilaga sui mezzi di comunicazione e nelle conversazioni private.
Ma quella consumata quotidianamente da parte di mariti, fidanzati, compagni ed ex partner, quella forse sì non fa notizia e non scuote le coscienze. Anche perché a volte sono le stesse vittime a occultarla, soprattutto quando ci sono di mezzo dei figli e la famiglia, si sa, va salvaguardata a ogni costo.
Il convegno dell’Istat quest’anno ha avuto come focus la prevenzione ed è proprio questa che soprattutto manca. Perché di leggi ne abbiamo in abbondanza: sono 26 e hanno un carattere prevalentemente penalistico, ha detto in un intervento appassionato e critico l’avvocata Maria Virgilio, che ha anche sottolineato come le normative esistenti siano spesso sottoposte a revisione (vedi quella del Codice Rosso ora diventata Codice Rosso rafforzato) “perché evidentemente non funzionano”. In effetti, qualcuno ha fatto notare, gli organismi internazionali ci promuovono sulla produzione legislativa, meno sull’applicazione delle norme. E infatti il ministero della Giustizia ha attivato da circa un anno un Osservatorio permanente per capire quali siano le criticità.
Parliamo di prevenzione, quindi. Ma come la si fa? In questi giorni i fari sono puntati sulla scuola, istituzione su cui si scaricano regolarmente oneri e responsabilità per qualsivoglia problema. Indubbiamente l’istituzione scolastica può fare molto, per esempio per colmare il divario di genere nelle materie scientifiche (oggi spesso citate con l’acronimo Stem), divario che incide parecchio sulle future carriere lavorative e sulle condizioni pensionistiche delle donne. E sappiamo che la mancanza di indipendenza economica è spesso un fattore determinante nel non sporgere denuncia contro mariti e compagni violenti.
Ma un aspetto importante, sottolineato da più parti, è quello della formazione degli operatori: dei magistrati stessi, ma anche degli agenti delle forze dell’ordine, degli assistenti sociali, dei volontari che operano nei Centri antiviolenza, insomma di tutte quelle figure a diverso titolo coinvolte in un possibile approccio con le vittime.
Ci sono poi degli strumenti che aiutano a valutare gli eventuali rischi: uno di questi è il cosiddetto S.A.R.A Screaning, un metodo messo a punto in Canada e poi adattato alla realtà italiana, utile soprattutto per individuare il rischio di recidiva, o l’Isa (Increasing self awareness), un test di autovalutazione con cui le donne possono capire se la relazione con il proprio partner presenta elementi di pericolo.
Abbattere gli stereotipi di genere è molto importante, ma anche parecchio complicato. Bisognerebbe partire dalla più tenera infanzia e questo sarebbe compito soprattutto dei genitori, che però spesso sono essi stessi impregnati di cultura sessista. Indicativi i risultati di un’indagine Istat su “Stereotipi, ruoli di genere e immagine sociale della violenza”, che certifica come percentuali ancora significative di uomini ritengano che il genere maschile sia meno adatto a svolgere le faccende domestiche e che spetta al maschio provvedere alle necessità economiche della famiglia. Quanto alla violenza sessuale i numeri sono ancora più rilevanti: il 39,3% degli uomini pensa che se una donna non vuole avere un rapporto riesce a evitarlo, mentre il 19,7% ritiene che l’aggressione può essere provocata da un certo tipo di abbigliamento femminile.
Un discorso specifico va fatto per gli adolescenti che, com’è noto, utilizzano le tecnologie in modo compulsivo: uno su tre ritiene normale che la propria partner venga geolocalizzata quando non si è insieme, così come si considera normale controllare il suo cellulare.
Critiche sono state rivolte alla moda, fortunatamente in declino, del lucchetto come simbolo dell’amore (il Ponte Vecchio a Firenze viene per questo motivo addirittura pubblicizzato sui siti dedicati al turismo); o all’utilizzo del termine Revenge porn per indicare l’invio e la messa in rete di immagini a contenuto sessuale della propria partner, perché mistifica il fatto che non di pornografia si tratta ma di un vero e proprio abuso.
Secondo i dati del ministero dell’Interno i femminicidi, da inizio anno, sono stati 106. C’è da augurarsi che, anche grazie al Piano che il governo sta mettendo a punto per il prossimo triennio, diminuiscano.
Importanti, ha sottolineato Stefano Pizzicannella coordinatore dell’Ufficio Politiche delle Pari opportunità presso la presidenza del Consiglio dei ministri, anche i servizi sul territorio come i Centri antiviolenza e le case-rifugio per i quali sono stati stanziati 40 milioni da ripartire tra le Regioni.
Ma niente avviene per caso. La conoscenza del fenomeno, di cui i dati sono una parte importante, è la base. Poi però serve un’assunzione di responsabilità da parte di tutti, a partire dagli eletti che hanno il dovere di essere presenti nei luoghi in cui le leggi vengono discusse e approvate.
Perché l’esempio, anche nel caso della violenza contro le donne, è importante e deve innanzitutto venire dall’alto.
Fonte dell'immagine di copertina: Verne Ho/unsplash