Come si sconfigge l’inverno demografico? Ce lo dice l’Istat
Secondo le ricerche occorre più occupazione stabile, un’equa suddivisione del lavoro domestico e un cambio di paradigma nella narrazione.
L’Italia è uno dei Paesi con il minor tasso di natalità in Europa, e questo è ormai assodato. Ma sul “che fare” per porre rimedio all’inverno demografico, preludio a un inevitabile declino socio-economico, ci si sta ancora interrogando.
Un convegno organizzato dall’Istat il 6 ottobre dal titolo “Un nuovo inizio? Fecondità e dinamiche familiari in Italia” ha dato voce a ricercatori delle Università degli studi di Firenze, Bari, Milano-Bocconi e Padova, che grazie a un protocollo di ricerca con l’Istituto hanno realizzato lavori che forniscono nuove chiavi di lettura di questo importante fenomeno.
Innanzitutto le ricerche hanno confermato un dato che scardina una visione tradizionale del problema secondo cui le donne casalinghe sarebbero più propense ad avere figli. È vero invece esattamente il contrario: laddove l’occupazione femminile è più alta, maggiore è la realizzazione del desiderio di maternità.
Ma anche il lavoro precario tende a deprimere la propensione a procreare, ritardando la decisione a oltre la soglia dei 41 anni, considerata una deadline per la componente femminile della coppia: avere un lavoro e che questo lavoro sia stabile sembra quindi una pre-condizione per la fecondità, intesa come predisposizione individuale a procreare.
Un altro elemento importante e che va a incidere negativamente è la squilibrata distribuzione del carico di lavoro domestico. Diversi studi hanno dimostrato che nel nostro Paese permane una resistenza maschile a farsi carico in modo paritario con la propria partner delle mansioni quotidiane, quali fare le pulizie, la spesa, preparare i pasti, fare il bucato con la lavatrice e stirare.
Un’indagine del Censis rileva che mentre il 23,9% delle donne del campione afferma di svolgere lavoro domestico per più di 24 ore alla settimana, la percentuale degli uomini si ferma invece all’11,5%.
In base alle ricerche presentate durante il convegno questo aspetto sembra incidere più sulla decisione di avere il primo figlio, meno invece per chi ne ha già uno.
Un aspetto interessante emerso e che ci sembra finora poco trattato è l’influsso della narrazione, soprattutto per quanto riguarda le notizie economiche: a incidere sulla fecondità non sarebbero solo i dati oggettivi quali disoccupazione o lavoro precario, a cui potrebbe aggiungersi l’elevato costo della vita che soprattutto di questi tempi ostacola la formazione e l’allargamento dei nuclei familiari, ma anche la percezione determinata dal tono con cui l’informazione è veicolata dai mass media.
Considerata l’importanza del tema per invertire una rotta molto pericolosa e foriera di gravi squilibri economici e sociali, accogliamo con particolare entusiasmo l’assegnazione del Nobel per l’Economia a Claudia Goldin, una studiosa che ha dedicato le sue ricerche all’uguaglianza/disuguaglianza di genere nel mondo del lavoro. Nel suo ultimo libro, Career & Family, l’economista statunitense mette in luce le difficoltà per le donne nel conciliare carriera lavorativa e carichi familiari, sia per l’organizzazione del lavoro che tende a premiare la maggiore disponibilità a restare in ufficio anche oltre l’orario stabilito e nel weekend, sia per la squilibrata divisione dei compiti domestici all’interno della coppia.
Nella ricerca condotta insieme all’economista Cecilia Elena Rouse, ha anche dimostrato come le donne siano penalizzate nell’accesso al lavoro da pregiudizi sulle loro capacità in quanto appartenenti al genere femminile.
Significativo a questo proposito l’esperimento condotto dalle due studiose per l’assunzione di candidati nelle orchestre sinfoniche: utilizzando uno schermo che impediva ai selezionatori di identificare il genere di appartenenza focalizzando quindi l’attenzione solo sulla prestazione, hanno dimostrato che aumentava la percentuale di donne assunte.
Se il titolo del convegno ci era sembrato un po’ troppo ottimistico, dopo l’assegnazione del Nobel a Claudia Goldin la percezione è un po’ cambiata: che sia davvero l’inizio di una nuova consapevolezza della necessità sempre più urgente di superare il gender gap?
Fonte dell'immagine di copertina: Christian Bowen/unsplash