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Il difficile cammino delle donne in politica

La storica frattura tra mondo femminile e partiti pesa sull’emergere di nomi per la candidatura al Quirinale. Il silenzio assordante delle donne impegnate e l’appello di Emma Bonino alle giovani.

di Annamaria Vicini

Non è dato sapere, al momento in cui scriviamo, se l’Italia avrà un o una Presidente della Repubblica.

Tuttavia il tormentone per “una donna al Quirinale” (una qualsiasi?), che ha tenuto banco in queste ultime settimane sui media e nei dibattiti pubblici e privati, ha rivelato l’esistenza di un problema di leadership femminile in ambito politico-istituzionale. Non perché non ci siano donne all’altezza del ruolo, ma per la difficoltà di trovare candidate con le necessarie competenze e con possibilità numericamente concrete di essere elette, oltre che possibilmente riconosciute come leader portatrici di interessi dell’universo femminile.

La carenza di leadership rimanda a un problema più generale che riguarda le candidature e il numero di elette. A questo proposito una conferma era venuta dai risultati delle ultime elezioni amministrative: solo 18 candidate su 73 nei capoluoghi di regione, 30 su 162 considerando anche gli altri capoluoghi di provincia. E le elette? Prima della consultazione erano 10 i comuni capoluoghi di provincia con una donna alla guida, pari al 9,26%, percentuale ridottasi ulteriormente al 5,56% dopo le votazioni.

Un arretramento preoccupante, considerando anche che l’ambito amministrativo è forse quello che le donne sentono come più congeniale e più affine alla propria sensibilità, in quanto maggiormente a contatto con i problemi quotidiani delle persone e gratificato da una più facile e immediata constatazione degli obiettivi raggiunti. Ancor più preoccupante, poi, se consideriamo che in ambito parlamentare si era verificato negli ultimi anni un incremento che aveva fatto ben sperare, pur restando l’Italia al di sotto della media europea.

Sono diversi i fattori che ostacolano la carriera delle donne in politica: da quelli legati agli impegni di cura in ambito familiare, alla minore disponibilità di fondi per le campagne elettorali, all’educazione meno competitiva e scarsamente proattiva riservata alle bambine rispetto ai coetanei maschi, agli stereotipi culturali che vedono l’impegno pubblico come un tratto poco consono rispetto alle caratteristiche tradizionali del femminino.

E paradossalmente gli ostacoli sembrano maggiori proprio in quell’area, identificata come Centrosinistra, che si dichiara a favore della parità di genere in tutti i campi. Del resto basta sfogliare il volume pubblicato di recente da Marsilio per la Fondazione Gramsci con le foto dell’Album dei comunisti italiani per rendersi conto di quanto la presenza femminile nel partito che fu di Togliatti e Berlinguer fosse numericamente residuale in confronto alla massiccia presenza maschile; anche l’immagine scelta per la copertina – una madre con un bimbo in braccio – la dice lunga sul ruolo della donna nell’immaginario dei militanti di quella formazione politica.

Illuminante anche la lettura del libro Le altre, edito da Manifestolibri, che riporta le conversazioni tenute a Radiotre alla fine degli anni Settanta da Rossana Rossanda con alcune esponenti del femminismo e della politica. Dai dialoghi risulta evidente come per le donne fosse particolarmente difficile conciliare gli impegni familiari con i tempi della vita pubblica, ma anche accettare modalità verticistiche considerate tipicamente maschili.

“Cominciamo col dire come i partiti fanno politica attraverso gli orari: riunioni che finiscono a tarda sera o alle tre di notte sono riunioni alle quali le donne non possono stare, perché devono anche solo occuparsi di nutrire i bambini. Già questo le respinge. E le respingono le lunghe chiacchiere per non concludere niente, la necessità per ogni argomento di ripartire da Adamo ed Eva. E infine, salvo alcune, le donne sentono estraneo un modo di far politica estremamente competitivo e verticistico e gerarchico; sentono estranee le manovre di corrente…”. (Anna Maria Magnani Noja).

Si era nel 1979, ma è probabile che la situazione prevalente sia ancora questa. E il lavoro di cura, che si tratti di figli o di genitori anziani, grava ancora oggi in maggior parte sulle donne.

Ancora più radicale appare poi nelle conversazioni la scissione da parte del mondo più propriamente femminista.

A Rossanda, che perorava la causa dell’importanza dell’impegno politico e chiedeva che cosa impedisse alle donne di sceglierlo, Manuela Fraire rispondeva che le donne si erano rese conto che “nel mondo moderno la politica non è un mezzo ma un fine” e che “la politica oggi è davvero ridotta ai minimi termini, a pura gestione dello scontro”.

Sono passati quarant’anni, ma potrebbero sembrare parole di oggi. Non sarebbe ora di dare una svolta?

Per superare la frattura con il mondo femminista sarebbe importante che le donne impegnate in politica parlassero, si facessero sentire, mentre sono immerse in un assordante silenzio.

Come vivono il loro impegno? Qualcosa, e se sì cosa, è cambiato rispetto al 1979?

Anche perché il loro tacere non incoraggia certo le più giovani ad attivarsi e questo rischia di perpetuare il distacco, negativo non solo per le donne ma per tutta la società, che appare arcaica ancora in molti suoi aspetti. Fa eccezione, e anche per questo è importante, l’appello di Emma Bonino, colei che già vent’anni fa era pronta per diventare Presidente della Repubblica ma non fu candidata:

“Voglio solo sperare che tutto questo dibattito sul ‘presidente donna’ serva a motivare e a convincere le ragazze e le donne italiane a impegnarsi in Politica. Fatelo per le idee che avete, fatelo per lottare per quello in cui credete, fatelo non perché donne ma affinché a nessuna donna possa mai più esser detto di non poterlo fare”.

E a Roberto Saviano che ne ha riproposto il nome per l’elezione al Quirinale la leader di +Europa ha detto che vent’anni fa “il Paese era pronto, ma i partiti no”. Sarà così anche questa volta?

di Annamaria Vicini

lunedì 24 gennaio 2022