COP26: il futuro del clima si gioca sulle politiche net zero, da attuarsi subito
La conferenza di Glasgow segna alcuni buoni risultati, ma le promesse oltre il 2030 restano “vaghe e poco trasparenti”. Per concretizzare gli impegni, servono azioni strutturate sul breve periodo e consistenti investimenti nelle tecnologie pulite.
di Flavio Natale
Dalla COP26, la Conferenza delle Parti dell'Unfccc tenutasi a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre, sono emersi segnali più o meno soddisfacenti, ampiamente approfonditi in questo articolo e nel corso di un dibattito strutturato sul tema, andato in onda sul programma Alta Sostenibilità, curato dall’ASviS su Radio radicale. Questi risultati, però, quando vengono proiettati verso il futuro – al 2050, 2060, 2070, 2100 – iniziano a perdere di concretezza, ed è come se venissero avvolti da un’impalpabile nebbia. Questo aspetto, parzialmente comprensibile quando ci si proietta molto avanti in questo secolo, lo è molto di meno quando si pensa che le politiche climatiche, più di molte altre, dovrebbero essere in grado di anticipare gli eventi, proporre programmi capaci di sopravvivere nel lungo periodo, individuare, in poche parole, il futuro che ci attende.
Partiamo da qualche dato. Secondo Carbon Brief, “le politiche attualmente in atto porteranno a un riscaldamento di circa 2,6°C - 2,7°C entro il 2100 (con un intervallo di incertezza compreso tra 2°C e 3,6 °C)”. Se i Paesi rispetteranno invece i Contributi determinati a livello nazionale (NDCs) al 2030 (rivisti durante la COP26), il riscaldamento previsto entro il 2100 scenderà a 2,4°C (con un’oscillazione tra 1,8°C e 3,3°C). Infine, se i Paesi manterranno le promesse net zero dichiarate durante la COP26, il riscaldamento globale raggiungerà una media di 1,8 °C (in una finestra da 1,4°C a 2,6°C) entro il 2100, anche se le temperature toccheranno probabilmente un picco di circa 1,9 °C a metà del secolo, per poi diminuire.
Proprio la questione net zero emissions è stata al centro di molte dichiarazioni e negoziati della COP26 (ed è particolarmente importante per le proiezioni al futuro). Questo obiettivo, di avere emissioni nette uguale a zero, non coincide con la fine delle emissioni, ma implica che, al netto della produzione, le emissioni e la loro compensazione (attraverso una pluralità di strumenti) sarà uguale a zero.
Sulle net zero emissions, gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sono impegnati per il 2050, la Cina per il 2060 e l’India per il 2070. Quest’impegno è stato perseguito, in totale, da 140 diversi governi, coprendo il 90% delle emissioni globali. Ma secondo Climate Action Tracker, solo una manciata di questi ha veramente dei piani per raggiungere gli obiettivi. “Se non si hanno progetti per arrivarci, questi impegni sono solo parole”, ha dichiarato alla Bbc Bill Hare, amministratore delegato di Climate Analytics (uno dei gruppi parte del Climate Action Tracker), che ha aggiunto: “Il mondo si dirige verso un riscaldamento di 2,4°C, nonostante questo vertice sul clima”.
Sugli impegni net zero si apre infatti un “divario di credibilità molto grande”, secondo Carbon Brief. Questi impegni prevedono molte ambiguità, in termini di ciò che viene incluso o escluso (emissioni di CO2 derivanti da fonti fossili, tutte le emissioni di CO2 oppure tutte le emissioni di gas serra), rendendone difficile la definizione e la comprensione.
Inger Andersen, direttrice esecutiva dell'Unep, ha commentato a questo proposito, durante la COP26: “Non è bello vedere che le promesse net zero siano vaghe e poco trasparenti. Sono difficili da calcolare, e molte prenderanno il via dopo il 2030; ma sappiamo che dobbiamo già dimezzare le nostre emissioni nei prossimi dieci anni, per essere sulla buona strada”.
Secondo il grafico elaborato da Carbon Brief (qui sotto), che riunisce le proiezioni di quattro grandi agenzie – il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (Unep), il Climate Action Tracker (Cat), l'Agenzia internazionale per l'energia (Iea) e il Climate Resource (Cr) –, questi impegni net zero sono infatti essenziali, se ci si vuole avvicinare a quello che è stato promesso negli Accordi di Parigi.
“Il Rapporto Ipcc, uscito ad agosto 2021, afferma che in qualsiasi scenario, anche quello più virtuoso, raggiungeremo nel 2040 +1,5°C di aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali (oggi siamo a circa 1,1°C). La discussione di Glasgow sul fatto di restare entro gli 1,5°C è surreale”, ha dichiarato Carlo Carraro, professore ordinario dell’Università Ca’ Foscari Venezia e vice chair dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), nel corso dell’incontro “Cambiamento climatico: quanto tempo abbiamo?”, tenutosi durante il Festival del Futuro 2021 e promosso anche da FUTURAnetwork.
“Sebbene tutti questi diversi scenari siano lontani dal limitare il riscaldamento a meno di 1,5°C entro il 2100, sono stati compiuti alcuni progressi”, si legge su Carbon Brief. “Mentre solo sette anni fa sembrava abbastanza plausibile che il mondo fosse sulla buona strada per un riscaldamento di circa 4°C entro il 2100, una combinazione di politiche climatiche e diminuzione dei costi dell'energia pulita ha appiattito la curva delle emissioni future. Tuttavia, l'attuale politica mondiale di riscaldamento di 2,6 °C o 2,7°C è ancora caratterizzata da impatti potenzialmente catastrofici sui sistemi umani e naturali”.
Come si vede dal grafico, dunque, la commistione delle net zero policies con gli impegni al 2030 condurrebbe a un aumento di 1,8°C entro la fine del secolo. “Questo è un momento fondamentale”, si legge sul sito dell’Iea. “È la prima volta che i governi si fanno avanti con obiettivi ambiziosi per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C”. La stessa Agenzia avverte però che, nonostante accolga con favore questo progresso, “siamo ancora al di sopra dell'obiettivo dell'Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e perseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C”. C’è bisogno, da questo punto di vista, di progressi rapidi per la riduzione delle emissioni: “Ma tutti gli impegni climatici assunti a livello globale a partire da oggi lasciano un divario troppo grande nella riduzione delle emissioni al 2030. I governi stanno facendo promesse coraggiose per i decenni futuri, ma l'azione a breve termine è insufficiente”.
Da questo punto di vista, su richiesta della Presidenza della COP26 del Regno Unito, l’Iea guiderà il monitoraggio dei progressi globali rispetto ai Glasgow Breakthroughs, con cinque obiettivi volti a ridurre i costi delle tecnologie pulite. Questi consistono in:
- Aggiunte annuali di capacità di energia pulita (in rete e distribuita) alla quota della generazione totale di elettricità globale;
- Investimenti in ricerca, sviluppo, dimostrazione e implementazione di energie pulite;
- Creazione di sistemi energetici che possano garantire energia rinnovabile in diverse aree geografiche e climi, pur mantenendosi efficienti, economici, sicuri e resilienti;
- Potenziamento dell'efficienza energetica;
- Miglioramento del costo relativo e dall’accessibilità alle tecnologie pulite.
“Raggiungere questi obiettivi sarà essenziale per consentire il mantenimento degli impegni net zero a lungo termine”.
Alla difficoltà delle previsioni delle politiche net zero si aggiunge l’incertezza sul comportamento del clima, durante i prossimi anni. “Mentre si prevede che le politiche attuali comporteranno un riscaldamento di circa 2,6°C-2,7°C, la Terra potrebbe finire con una temperatura compresa tra i 2°C e i 3,6°C, a seconda di come il sistema climatico risponderà alle emissioni”, si legge su Carbon Brief. “Queste incertezze sono motivo di cautela e aumentano l'urgenza di ridurre le emissioni”. In secondo luogo, “il mondo non finisce nel 2100”, anche se molte simulazioni di modelli climatici applicano questo come limite delle proiezioni. La Terra continuerà infatti a riscaldarsi fino a quando le emissioni globali di CO2 non raggiungeranno lo zero netto e, anche allora, la temperatura non si abbasserà per molti secoli a venire, a meno di un diffuso dispiegamento di sistemi di cattura della CO2 dall’atmosfera, per raggiungere emissioni nette negative.
Prevedere il futuro, dunque, per le politiche climatiche, è particolarmente difficile, un po’ per una mancanza di chiarezza, un po’ per l’aleatorietà degli effetti a cui potremmo andare incontro andando avanti con gli anni. Definire con maggior rigore le ambizioni net zero sul lungo periodo, sostanziandole con stringenti impegni a breve termine, potrebbe risolvere almeno il primo di questi due problemi.
di Flavio Natale