Festival del Futuro 2021: “La sostenibilità deve essere una rivoluzione culturale”
Per scongiurare gli effetti peggiori del cambiamento climatico bisogna compiere passi importanti: impegni al 2030, blended finance e una nuova mentalità. Il video dell'evento, moderato da Speroni, con Carraro, Sangiorgio, Bologna. In chiusura del Festival, l’intervento del ministro Giovannini.
di Redazione
Quanto tempo abbiamo per reindirizzare il nostro percorso ed evitare una crisi climatica di conseguenze catastrofiche? La questione del tempo, alla luce anche della recente COP26 tenutasi a Glasgow, è un tema (forse il tema) più rilevante, quando si parla di cambiamento climatico. Definire un percorso vuol dire infatti scegliere scadenze, selezionare i mezzi e gli strumenti necessari a rispettarle, strutturare azioni che possano dare alle intenzioni un corso. Di questo e di altro si è discusso durante l’incontro “Cambiamento climatico: quanto tempo abbiamo?”, tenutosi durante il Festival del Futuro 2021, la tre giorni promossa da Harvard business review Italia, Eccellenze d’Impresa e Gruppo Athesis, riguardante i grandi temi che caratterizzeranno il nostro futuro.
“Io non parlerei di bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto”, ha dichiarato a proposito della COP26 Donato Speroni, membro del Segretariato dell’ASviS e Responsabile del progetto FuturaNetwork, chiamato a moderare l’incontro. “Dal punto di vista della cooperazione multilaterale, Glasgow ha dato tutto quello che poteva dare”. Poi, aggiunge Speroni, esiste un altro bicchiere: “Quello della mobilitazione della società civile e delle imprese. Abbiamo assistito a una presa di coscienza importante, a cui dobbiamo dare sostanza. Quello che mi chiedo, però, è: Glasgow ha veramente cambiato la traiettoria?”.
A questa domanda ha risposto Carlo Carraro, professore ordinario dell’Università Ca’ Foscari Venezia e vice chair dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc): “Il Rapporto Ipcc, uscito ad agosto 2021, afferma che in qualsiasi scenario, anche quello più virtuoso, raggiungeremo nel 2040 +1,5°C di aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali (oggi siamo a circa 1,1°C). La discussione di Glasgow sul fatto di restare entro gli 1,5°C è surreale”. Carraro ha inoltre aggiunto che, a parte l’Europa, non c’è quasi nessun Paese che si trovi sulla traiettoria giusta per un futuro sostenibile. “Spostare gli obiettivi al 2050 vuol dire spostare l’attenzione; gli impegni decisivi devono essere quelli di breve periodo, al 2030. Glasgow sembra non tenere conto di questa conclusione”. Per raggiungere le ambizioni che ci siamo posti, dice Carraro, la preservazione economica non può più essere l’argomento rilevante: “La priorità ora è diventata la salvaguardia della specie umana”.
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All’intervento di Carraro ha seguito quello di Rosa Sangiorgio, a capo degli Investimenti responsabili per Pictet Wealth Management: Sangiorgio ha evidenziato la lentezza di alcuni processi decisionali e organizzativi, come la ricezione dei finanziamenti del Green Climate Fund – “22 mesi perché un progetto venga finanziato”. In un mondo che si muove a questi ritmi, naturalmente, è una voragine di tempo che nessun Paese si può permettere. Se il settore pubblico arranca, quello privato potrebbe inserirsi e sostituirlo: però, “investire nei Paesi in via di sviluppo vuol dire correre un rischio elevato, e richiede compensazioni adeguate”. Per questa ragione, Sangiorgio propone l’utilizzo di meccanismi di blended finance, un mix tra finanziamento pubblico e/o filantropico – che dovrebbe inserirsi nella fase iniziale dell’investimento, quella più rischiosa – facendo seguire un significativo investimento privato.
Di diverso tenore l’intervento di Gianfranco Bologna, presidente onorario della Comunità scientifica del Wwf Italia, che vede, nel prossimo futuro, una duplicità di problemi: da un lato, lo “svuotamento del significato di sostenibilità” che, nella sua accezione più cristallina, vuol dire “vivere in maniera equa all’interno dei limiti del Pianeta”. In seconda battuta, Bologna ha sottolineato, richiamando l’importanza della consegna del premio Nobel per la Fisica a Giorgio Parisi, Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann, che la sostenibilità è un “sistema complesso”, e implica la formazione di persone capaci di sviluppare visioni d’insieme. Il presidente onorario ha inoltre ricordato che più si andrà avanti e più questi problemi diventeranno di difficile gestione, soprattutto dal punto di vista demografico. “La variante media della crescita della popolazione al 2050 è di 9,7 miliardi di persone. Vi pongo una domanda: ritenete che oggi siamo in grado di avere un’autentica sostenibilità con otto miliardi di persone? Non credo. Pensate di poterci riuscire con 9,7 miliardi nel 2050? La vedo dura”. Per cercare di invertire la rotta bisogna, dunque, compiere un passo in più: “Ricalibrare cerebralmente le basi dell’economia. La sostenibilità non deve essere un bagno di sangue, come dice il ministro Cingolani, ma una rivoluzione culturale”. Questa rivoluzione può partire da alcune dimensioni, che sono sempre state parte del mondo della sostenibilità: l’efficienza (fare più con meno) e la sufficienza, molto meno condivisa della prima. “Arrivare tutti al nostro stile di vita vorrebbe dire sfruttare ancora di più il nostro Pianeta”, ha concluso Bologna.
I prossimi anni, dunque, si giocheranno sul filo di azioni innovative e mutamenti di mentalità, in una battaglia contro il tempo. Questa, come ricorda Enrico Giovannini – ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili nel suo intervento a chiusura del Festival del Futuro 2021 – potrebbe iniziare a essere combattuta modificando la Costituzione: “Sarebbe bello iniziare questo futuro con una Costituzione cambiata. Se tutto va come deve andare, l’ultimo voto, spero favorevole, della Camera, ci consegnerà una nuova carta costituzionale. Siamo a un passo dall’introdurre il principio di giustizia intergenerazionale”.
di Redazione