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Come integriamo l’intelligenza artificiale nella nostra vita?

Mentre l’AI viene sviluppata, c’è chi si occupa di diffondere le novità tra gli utenti. Dall’assistenza personale al pair programming, la collaborazione tra essere umano e macchina è sempre più serrata. Ma potrebbe creare problemi di privacy.

martedì 11 giugno 2024
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Mentre lasciamo ai tecnici più bravi il compito di sviluppare ulteriormente l’intelligenza artificiale, un secondo gruppo di tecnici ha il compito di integrarla nella vita degli utenti. In parte, questo deve essere fatto in maniera invisibile. In parte, offrendo nuove possibilità agli utenti. In parte educando gli stessi alle opportunità che hanno. E questi nuovi passaggi sono il centro degli annunci di Microsoft.

A dicembre, ormai sei mesi fa, scrissi di come presto avremmo visto i primi sistemi operativi intelligenti. Ora stiamo iniziando a vedere i tentativi, ancora imperfetti, di implementazione.

Nella previsione che avevo fatto l’AI locale sarebbe stata in grado di leggere tutti i documenti del nostro computer. Per poi rispondere a domande su di essi ed estrapolare informazioni. Non siamo ancora a questo punto. Ma ci stiamo avvicinando.

Il sistema operativo intelligente

L'avvento dei sistemi operativi intelligenti promette di trasformare i nostri dispositivi in assistenti personali, sollevando importanti questioni di privacy.

 

Il primo passaggio è permettere all’utente di condividere il file su cui sta lavorando con l’AI. Prima in maniera consapevole, poi in automatico. Il passaggio successivo è permettere all’AI di vedere e sentire quello che vediamo e sentiamo noi. Aprire gli occhi e le orecchie dell’AI su quello che stiamo facendo. Per poi darci suggerimenti.

Ricordiamoci che non tutti i documenti sono nel nostro computer. Una buona parte sono sul cloud, nella nuvola: Dropbox, Google Drive, Microsoft OneDrive. E questi rappresentano forse quelli più facilmente raggiungibili. Soprattutto Google Drive per Google Gemini e Microsoft OneDrive per Microsoft (per ora nessuno ha ancora integrato Dropbox). Ci sono però problemi di privacy nel leggere tutti i documenti degli utenti. Per cui per ora nessuna intelligenza artificiale lo ha ancora fatto. Tra l’altro che cosa dovrebbe fare un’intelligenza artificiale che venisse a conoscenza di crimini commessi dal cliente? Per ora è più sicuro che l’AI legga solo quello che l’utente gli propone.

Quella che propongo qui sotto è una tabella della situazione al momento. Ma è tutto in veloce divenire. Per esempio OpenAI aveva la possibilità di scaricare direttamente i documenti da Google Drive solo qualche giorno fa. E adesso Alphabet (cioè l’azienda di Google e Gemini) ha negato questo permesso. Mentre si sta svolgendo (10-14 giugno) l’Apple Worldwide Developers Conference, l’evento in cui Apple annuncia le novità dell’anno (ne parleremo dopo).

Se la condivisione dei documenti è il primo passo, non è certo l’ultimo. Il passaggio successivo è condividere lo schermo. Vedere quello che vede l’utente. E qui le intelligenze artificiali possono davvero diventare molto utili. Come un collaboratore che legge da sopra la spalla quello che facciamo, e a cui possiamo fare domande. Sia che stiamo giocando a un videogioco, sia che stiamo programmando o scrivendo un documento. Quando lavoriamo spesso abbiamo più finestre aperte. La situazione cambia in maniera fluida, continuamente. Condividere solo un documento non è sufficiente. Aggiungiamo a questo che uno dei sistemi migliori per programmare si chiama “pair programming”, ovvero programmare in coppia – una persona programma, e un’altra osserva e controlla che la prima non faccia errori. Ovviamente per le aziende è costoso. Ci vogliono il doppio dei programmatori al lavoro, ma se fanno meno errori quello che spendiamo in più da un punto di vista dei costi lo recuperiamo nel periodo di debugging (cioè correzione errori). Le app e i computer combinate con le intelligenze artificiali permettono di fatto tutto questo. E non è poco. Per esempio, sembra che la nuova app di OpenAI lo permetta. Dico “sembra” perché richiede un computer più moderno del mio, per cui non l’ho ancora potuta provare.

Ma se condividere lo schermo che stiamo guardando è un ottimo strumento e accettabile, il passaggio successivo rischia di diventare invadente. I nuovi laptop di Microsoft e Google fanno uno screenshot dello schermo ogni manciata di secondi. Poi leggono e traducono quello che vedono in una descrizione di quello che accade. E questo dà una visione temporale sul nostro lavoro. Cosa abbiamo fatto prima e cosa dopo. Un tale strumento è utilissimo. Ma è anche inquietante. Vuol dire avere un “essere” intelligente nel proprio computer che vede tutto quello che facciamo. Altro che keylogger!

Se prima ci preoccupavamo delle potenzialità di essere ricattati da hacker online, adesso basta che l’hacker abbia accesso a questi documenti per rintracciare carte di credito, password, ma anche cripto wallet. Oltre a tutto quello che facciamo. Non è solo un problema di privacy spicciola (oddio e se il computer vede le mie visite su youporn? Oppure che ho pagato in nero l’elettricista), ma proprio un problema psicologico. Ci comportiamo diversamente quando siamo in compagnia o da soli. Questo è ben noto e studiato. Ed è utile e necessario avere periodi di privacy in cui essere se stessi. Man mano che la tecnologia entra nella nostra vita questi periodi si restringono sempre di più. E questo è solo l’ultimo gradino di questa scala.

Tra l’altro dobbiamo capire veramente che cosa vuol dire avere un’intelligenza artificiale addestrata sui nostri contenuti. Vuol dire che “unisce i puntini”, si fa un’idea di noi e, qui sta il pericolo, può rispondere a delle domande su quello che ha visto. Domande nostre, poco male. Ma potenzialmente domande di un hacker, dell’azienda che ha prodotto questo software o della polizia. Segnalo sull’argomento il video di Matteo Flora nel suo canale “Ciao Internet”.

Essere sul proprio laptop diventerebbe non più un luogo privato, ma un luogo pubblico.

Va notato che a seguito delle numerosissime proteste degli utenti, Microsoft ha modificato il sistema rendendolo più trasparente. Rendendolo non attivo di default (deve essere una scelta accenderlo e non una scelta spegnerlo) e permettendo agli utenti di controllare tutto il materiale memorizzato, cancellando quello che non vogliono che venga usato. Questo migliora leggermente la situazione, ma il pericolo, a causa di una semplice distrazione, resta.

Però l’idea di avere un assistente personale nel PC è davvero utile. Costosa, ma utile.

Infine c’è Apple, che finora ha ignorato l’argomento intelligenza artificiale. Per capire la sua posizione dobbiamo fare un passo indietro. Correva l’anno del Signore 2001, le dot com si erano sgonfiate da quattro anni, YouTube non esisteva ancora, Amazon vendeva solo libri – e neanche quelli usati. Quando il professor Michael Dertouzos scrisse il suo ultimo libro (morì sei mesi dopo), The Unfinished Revolution. In questo testo spiegava come la tecnologia che stava esplodendo non era ancora pronta. Si passava ore a cercare di far parlare una stampante con un elaboratore elettronico (computer, per i più giovani). Fu in quel momento che Apple cominciò ad avere un successo tra gli utenti perché “semplicemente funziona”. Un comune punto di vista, non uno slogan che era “Think Different” – in un’epoca in cui ancora tutti usavano Windows. Ciò che permetteva a Apple di funzionare era un’interfaccia semplice, intuitiva. Che nascondeva la complessità agli utenti. Tra l’altro Windows era un sistema operativo che girava su tante macchine differenti, cosa che complicava il dialogo tra i pezzi di hardware. La Apple produceva i propri software e girava su uno specifico hardware. Aspetto che eliminava una grande percentuale di fonti di errori e problemi.

Anche adesso con l’intelligenza artificiale stiamo affrontando una situazione molto complessa. C’è un’esplosione di nuove tecnologie e a volte non sappiamo come usarle. A volte lo sappiamo ma si rifiutano di funzionare. Siamo come apprendisti stregoni. E la Apple ha lasciato ancora correre tutti, per poi presentarsi con un prodotto finito che (nella speranza dei costruttori) “semplicemente funziona”: la Apple Intelligence. Per ora lo hanno annunciato, e dovrebbe cominciare ad apparire per l’autunno di quest’anno. Avremo tutto il tempo di parlarne.