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Come l’Ai sta cambiando il mondo del lavoro: tra competenze, questione di genere e sostituzione

Tre studi Ocse per capire il mercato del lavoro futuro. Quasi triplicati gli impiegati nel settore Ai nell’ultimo decennio. Il Pil globale potrebbe aumentare di dieci volte. Ma l’intelligenza artificiale resta ancora una questione per “giovani, maschi e istruiti”.

di Flavio Natale

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il mondo del lavoro, e questo è ormai un dato di fatto, di cui abbiamo recentemente parlato anche qui. Alcuni nuovi studi dell’Ocse, però, cercano di fare un passo in più: capire, nel mercato del lavoro, dove l’Ai influirà maggiormente e con quali conseguenze.

Le competenze

Secondo l’Ocse, i lavoratori con competenze statistiche, informatiche e attinenti all’apprendimento automatico (in grado sviluppare e manutenere sistemi di intelligenza artificiale) sono quasi triplicati tra il 2011 e il 2019 (nei Paesi Ocse), a causa di un aumento della richiesta di queste mansioni nelle professioni più diverse, dall’ingegneria meccanica al product management, dalle traduzioni alla comunicazione. Gli incrementi più significativi si sono registrati nel Regno Unito, in Svezia, Estonia e Islanda, mentre la Grecia (e ancora al di sotto l’Italia, la Spagna e il Portogallo) sono il fanalino di coda.

Queste nuove competenze, però, richiedono “capacità cognitive di alto livello”, quindi meno “attività di routine” e più “risoluzioni creative dei problemi” e strumenti tecnici. Secondo l’Ocse, questo slittamento delle richieste influirà profondamente sulla domanda di lavoro in futuro, veicolando anche le scelte di formazione in età scolare.

Una questione di genere

Né i lavoratori impiegati nel campo dell’Ai né coloro che la utilizzano da semplici utenti sono uniformemente distribuiti: secondo questo approfondimento pubblicato sul sito dell’Ocse dedicato all’Ai, “è più probabile che coloro che usufruiscono dell’intelligenza artificiale siano giovani, maschi e istruiti” (e a pensarci bene, in base alle mie ultime chiacchierate sul tema al di fuori del lavoro, è vero), mentre le donne hanno meno della metà delle probabilità degli uomini di sviluppare competenze sull’Ai e sulla programmazione (un aspetto dovuto anche al disequilibrio di genere nelle lauree Stem).

I sistemi di intelligenza artificiale riflettono il mondo in cui viviamo e le istituzioni in cui vengono implementati. Non è un caso che, a oggi, la maggior parte delle aziende di intelligenza artificiale all'avanguardia siano guidate da uomini, e l’Ai rischi quindi di replicare dinamiche desuete. Per l’Ocse, i politici dovrebbero garantire che l'Ia venga utilizzata “per sostenere, non danneggiare, l'emancipazione economica delle donne”, favorendo lo sviluppo delle competenze digitali e garantendo che stereotipi e pregiudizi di genere siano tenuti sotto controllo. 

Stesso discorso vale per altre minoranze o persone con disabilità. Sebbene l'intelligenza artificiale offra opportunità per promuovere l'inclusione delle persone con disabilità tramite dispositivi di assistenza basati sull'intelligenza artificiale, potrebbe anche rafforzare l'esclusione attraverso innovazioni non accessibili a tutti o algoritmi distorti.

Sostituzione

Infine, l’intelligenza artificiale sta automatizzando molte attività che i lavoratori erano soliti svolgere, e anche questo è un dato di fatto. Sebbene l'Ai porterà, per l’Ocse, a un aumento del Pil pari a dieci volte quello attuale, e a un miglioramento del benessere globale, c’è da considerare anche il rischio legato alla perdita di posti di lavoro. Per questo motivo l’Ocse ha deciso di chiedere ai datori di lavoro e agli impiegati del settore manifatturiero e finanziario – due aree scelte per la grande diffusione (attuale e futura) dell’Ai – se vedessero l’introduzione dell’intelligenza artificiale come un rischio o un’opportunità. La risposta è stata generalmente positiva, anche se con alcune differenze.

I lavoratori e le lavoratrici sono infatti meno ottimisti dei loro dirigenti su ciò che l'intelligenza artificiale può offrire loro (perché, comprensibilmente, il loro posto può essere rimpiazzato con più facilità rispetto a quello dei dirigenti) e sono preoccupati per la perdita di posti di lavoro e le pressioni al ribasso sui salari. Per questo, secondo l’Ocse, c’è bisogno di un grosso processo di coinvolgimento. Quando i lavoratori sentono di non avere il controllo sulle tecnologie, è meno probabile che si fidino delle decisioni dei datori o si sentano sicuri riguardo ai salari. 

Portare i lavoratori al tavolo delle trattative aiuterebbe anche a migliorare l'efficacia delle innovazioni, data la profonda comprensione che gli impiegati hanno della loro professione, delle inefficienze e dei punti di forza. E questo è un altro aspetto da tenere in considerazione. 

fonte dell'immagine di copertina: Christopher Burns/unsplash

mercoledì 12 aprile 2023