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Eleonora Barbieri Masini: la studiosa che rese i Futures studies una scienza sociale

Interpretare i segnali, promuovere l’uguaglianza, creare i migliori futuri possibili: questo il lascito di una delle più grandi esperte del settore.

di Carolina Facioni

Non è semplice dire in poche parole chi sia stata Eleonora Barbieri Masini, la grande sociologa italiana scomparsa a giugno scorso. È difficile perché l’eccezionalità della sua vita e del suo contributo intellettuale furono da lei, per così dire, “interpretati” con eleganza, senso della misura, autorevolezza non gridata. Un understatement che mal si concilia con la necessità di visibilità a tutti i costi che caratterizza la “web society” contemporanea – anche, a volte, nei contesti scientifici. Per chi, come me, l’ha conosciuta negli ultimi anni della sua vita (il nostro primo incontro risale al 2009, quando la intervistai per la mia tesi di dottorato; un incontro che cambiò il mio modo di vedere la vita), il contrasto tra il suo aspetto delicato e la coscienza di quello che aveva rappresentato il suo lavoro nel mondo fu illuminante. Fu infatti lei a contribuire in modo sostanziale a trasformare i Futures studies in una disciplina organica, a chiarirne il piano teorico, a definirne gli obiettivi, come pure a sottolinearne i limiti; fu lei a contribuire alla creazione di organizzazioni di livello internazionale mirate allo studio dei futuri; fu lei a dirigere ricerche di fondamentale importanza. Per capire il peso di Eleonora Barbieri Masini nella disciplina basterebbe considerare le date di altri importanti manuali dedicati ai Futures studies: i due (fondamentali) volumi di Wendell Bell risalgono ai primi anni 2000, mentre il suo “Why Futures studies?” pubblicato in inglese – e del quale una traduzione italiana, a cura dell’Italian institute for the future, vedrà finalmente la luce a dicembre prossimo - è del 1993. Non solo: già nel 1986 Eleonora Barbieri Masini aveva pubblicato “La previsione umana e sociale” per la Pontificia università gregoriana. Quindi, il fatto che nella comunità internazionale la si indicasse come la madre dei Futures studies - così la definì Magda Cordell McHale, un’altra delle scienziate che hanno contribuito a dar vita a una disciplina che alle donne, evidentemente, deve molto - non andava considerato un puro artificio retorico, o un semplice omaggio al suo contributo: si trattava di una constatazione di fatto.

Fu lei a mettere insieme le due anime, la teorica e la tecnica, dei Futures studies in una sintesi coerente, applicabile in modo scientificamente fondato nella ricerca sul campo. Gli studi di previsione erano infatti nati subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel clima della Guerra Fredda. Da un lato, c’era il Research and Development degli Usa. Il think tank della Rand corporation ideò lì le prime tecniche dedicate alla previsione, molte delle quali sono in uso ancora oggi: tra le più note, gli scenari (ideati da Herman Kahn) e il Delphi method (sviluppato da Norman Dalkey e Olaf Helmer). In Europa, negli stessi anni, veniva elaborato un piano filosofico rivolto ai futuri possibili. Tra i molti protagonisti di questa riflessione dobbiamo senz’altro citare Bertrand De Jouvenel, Gaston Berger, Robert Jungk, Michel Godet, ma un ruolo in questa nuova apertura verso l’azione, parlando del contesto italiano, potrebbe averlo anche la concezione dell’Esistenzialismo positivo elaborata da Nicola Abbagnano nel decennio 1940-1950. Un discorso a parte merita, invece, la concezione “soggettivistica” della probabilità elaborata da Bruno de Finetti già negli anni ’30, per la sua importante ricaduta (anche) nel contesto della ricerca sul campo sui futuri possibili. Moltissimo succede negli anni successivi, tra queste fasi iniziali e gli scritti di Eleonora Barbieri Masini: ma è grazie alla sua visione complessiva che i Futures studies trovano una sintesi tra teoria, tecniche e lavoro sul campo; è grazie a lei ed alla sua instancabile attività che si costituiscono organizzazioni come la World Futures studies federation (di seguito Wfsf) – che negli anni ’70 del secolo scorso vede il suo primo convegno organizzato proprio da lei all’Irades di Roma e a Villa Falconeri a Frascati.

Si può affermare che la vita di Eleonora Barbieri Masini sia stata interamente guidata dalla sua passione scientifica, dalla sua necessità di ricerca. Nell’intervista del 2009, mi spiegò come la sua necessità di comprendere il mutamento abbia guidato le sue scelte di formazione. Iniziò infatti il suo percorso come giurista, specializzandosi in Diritto comparato, per poi laurearsi, alla fine degli anni ’60, in Sociologia. Le sue domande sul mutamento sociale continuavano a restare insoddisfatte, quando intuì – forse anche grazie al fondamentale incontro con Aurelio Peccei, co-fondatore del Club di Roma, di cui Barbieri Masini fu una delle prime donne a far parte – di dover spostare il suo focus intellettuale dallo studio del passato e del presente a quello del tempo delle cose ancora non avvenute, il futuro. È il futuro il luogo dove il mutamento si realizza, l’unico spazio aperto e multiplo di azione per l’umanità. Non esiste infatti un solo futuro, ma tanti futuri possibili: è, tale pluralità, tra i principi alla base dei Futures studies. Mantenere intatta tale pluralità, pur agendo nel presente sul futuro ha fortissime ripercussioni a livello etico, evidentemente. L’esigenza di non colonizzare i futuri è una raccomandazione che ricorre in moltissimi dei suoi scritti – e forse andrebbe seguita di più anche nello stesso contesto disciplinare che Barbieri Masini contribuì più di ogni altra a creare. Grazie a questo principio, i Futures studies non ricercano la pianificazione a senso unico, ma percorrono strade più difficili, per mantenere il rispetto delle società, delle culture, delle persone. Soprattutto, nel rispetto delle persone che domani raccoglieranno quanto seminato nel tempo presente.

Il carico di responsabilità che tale lavoro richiede fa sì che nei Futures studies siano favoriti i processi partecipativi, la discussione collettiva, proprio per ridurre la probabilità di analizzare l’oggetto di ricerca sotto un profilo unilaterale o parziale, di ascoltare solo alcuni rappresentanti del contesto in studio, accettandone le istanze e lasciandone fuori altre. È evidente, a questo punto, l’estrema difficoltà dei Futures studies “sul campo”: qualcosa di simile, sotto molti aspetti, alla ricerca-intervento sociologica, ma con uno sguardo che va ben oltre il limite temporale del presente. Eleonora Barbieri Masini pensava ai Futures studies come a uno strumento di promozione umana, e in tal senso portò avanti fondamentali progetti di ricerca, il cui peso ancora oggi è evidente. Ad esempio, dobbiamo molto a lei quando nel mondo si parla di empowerment femminile nei Paesi in via di sviluppo. Ad aprire la strada a questo principio fu infatti una ricerca (patrocinata dall’Università delle Nazioni unite), che lei coordinò tra il 1981 e il 1991 allo scopo di analizzare e migliorare la condizione femminile nel contesto di alcuni Paesi allora in via di sviluppo (Colombia, Brasile, Cile, Sri Lanka, Kenya, Cina).  Dai risultati di tale ricerca nascono, probabilmente, tutti i successivi progetti che sostengono l’imprenditoria femminile nei Paesi più poveri.

Certamente, una vocazione scientifica come la sua, che la portava fuori dallo stretto confine della realtà nazionale, mettendo insieme l’Est e l’Ovest del mondo nel complicato contesto geopolitico dell’Italia negli anni ’70 non poteva non crearle difficoltà. Ne è testimonianza la chiusura dell’Istituto che Barbieri Masini dirigeva nel contesto dell’Irades all’indomani del Convegno della Wfsf, così come il successivo smantellamento della biblioteca che aveva organizzato in quel contesto. Fortunatamente, grazie alla Pontificia università gregoriana, la studiosa poté proseguire la sua attività: in un Ateneo, si noti bene, sito in territorio Vaticano, non italiano. Dalla Gregoriana, anche in tarda età, ormai professoressa emerita, continuò, praticamente quasi fino alla fine, a portare avanti il suo discorso di promozione umana e sociale, consigliando chiunque volesse affinare la propria capacità di ascoltare i segnali, i “semi di futuro”, come lei li chiamava, e desiderasse lavorare nel migliore dei modi per contribuire a migliorare i futuri possibili. A giugno se ne è andata una studiosa – e una persona – di immensa grandezza. Tutti dobbiamo ricordarla con riconoscenza.

di Carolina Facioni

 

Testi citati nell’articolo

Barbieri Masini E. (1986), La previsione umana e sociale, Pontificia Università Gregoriana, Roma

Barbieri Masini E. (1993), Why Futures Studies? Grey Seal, Londra

Barbieri Masini E., Stratigos S. (1994, a cura di), Donne e famiglia nei processi di sviluppo, ISEDI, Torino, 1994 – prima edizione in inglese, 1991

Bell W. (2003), Foundations of Futures Studies Volume 1: History, Purposes, and Knowledge, Routledge, Londra

Bell W. (2004), Foundations of Futures Studies Volume 2: Values, Objectivity, and the Good Society, Routledge, Londra

De Jouvenel B. (1964), L'art de la conjecture. Editions du Rocher, Parigi

Per ulteriori approfondimenti, si può consultare il sito della Wfsf

venerdì 2 dicembre 2022