Dall’Artico alla California, come procedono le nuove tecniche di geoingegneria
Mentre alcuni esperimenti prendono forma e altri vengono bloccati dalle amministrazioni locali, un gruppo ambientalista statunitense ha annunciato finanziamenti per studiarne l’impatto sulle precipitazioni e le correnti oceaniche.
Da qualche anno la geoingegneria sta cercando soluzioni per contrastare i cambiamenti climatici e mitigarne gli effetti. Alcune di queste sperimentazioni, come abbiamo visto, si stanno concentrando nell’Artico, un’area che si sta scaldando quattro volte più velocemente rispetto alla media del Pianeta. Un’attività significativa in corso è quella della startup olandese Arctic reflections, recentemente scelta per guidare il progetto di ripristino del ghiaccio artico nell’ambito dell’Onu ocean decade. Come spiega Futurism, il team di scienziati sta studiando il modo di rendere più spesso il ghiaccio artico. L’idea è pompare acqua sulla superficie dove ghiaccerà e formerà uno strato protettivo. Artic ice project, un’organizzazione statunitense non profit, ha invece proposto di ricoprire alcune aree dell’Artico particolarmente vulnerabili con un sottile strato di polvere di vetro che rifletta i raggi solari.
“Il fatto che si stia prendendo seriamente in considerazione questi esperimenti significa che gli sforzi collettivi di mitigazione non sono sufficienti” scrive Futurism, ricordando che l’anno scorso è stato il secondo più caldo per l’Artico.
Altri studi si stanno concentrando sulle tecniche per raffreddare artificialmente il Pianeta, alcune delle quali prevedono di iniettare particelle di aerosol nella stratosfera o di rendere le nuvole più luminose e riflettenti. È il caso dell’esperimento che avrebbe dovuto essere condotto nella città di Alameda, in California, e che è stato bloccato dal Consiglio comunale per timori legati alla sicurezza. Il city manager, un organo delle amministrazioni municipali statunitensi, aveva precedentemente considerato il progetto sicuro.
Il test, come spiega il New York Times, prevedeva di spruzzare piccole particelle di sale marino sul ponte di volo di una portaerei fuori servizio ormeggiata nella baia di San Francisco e di studiare gli effetti in condizioni atmosferiche diverse. Dopo una fase di sperimentazione la tecnologia sarebbe stata utilizzata per rendere le nuvole più brillanti così da aumentare la loro capacità di riflettere i raggi solari.
Il dilemma della geoingegneria: mitigazione o “hackeraggio” del clima?
Con le temperature in aumento, i centri di ricerca sperimentano tecnologie per ridurre gli effetti del surriscaldamento globale: ombrelloni spaziali, nuvole artificiali e soluzioni alcaline. Ma i rischi sono troppi e non prevedibili.
Alcuni ambientalisti sono però preoccupati delle possibili conseguenze legate all’utilizzo della geoingegneria e temono che le ricerche in questo campo sottraggano risorse e attenzione agli impegni per ridurre l’uso dei combustibili fossili, offrendo l’illusione di soluzioni rapide contro il cambiamento climatico.
Qualcosa sta cambiando. Il gruppo ambientalista statunitense Environmental defense fund (Edf) ha annunciato che finanzierà ricerche per stimare gli effetti delle tecnologie per il raffreddamento artificiale in diverse parti del mondo. Lo scopo non è incentivare l’adozione di soluzioni di geoingegneria, ma informare e fornire conoscenze basate sulla scienza. “Il gruppo finanzierà quella che viene chiamata modifica delle radiazioni solari o geoingegneria solare che consiste nel riflettere l’energia solare nello spazio” ha raccontato il New York Times, cercando di capire se queste tecniche avranno un impatto sulle precipitazioni o sulle correnti oceaniche.
Copertina: Xavier Balderas Cejudo/unsplash