JP Morgan scommette 200 milioni di dollari sulla rimozione della CO2 dall’atmosfera
La più grande banca americana sta investendo su tecnologie che non hanno ancora una dimensione economica. Obiettivo: diventare leader del settore, stimolando la crescita di domanda, infrastrutture e capitale umano.
di Flavio Natale
Jp Morgan Chase & Co., la più grande banca degli Stati uniti e una delle più importanti al mondo, ha annunciato a maggio un investimento da 200 milioni di dollari nelle tecnologie per la rimozione del carbonio dall’atmosfera. La notizia ha fatto scalpore: infatti, sebbene si tratti di una somma relativamente contenuta per una banca delle dimensioni di Jp Morgan, è un endorsement che potrebbe convincere altri colossi dell’economia a investire nel settore. Già Microsoft, Stripe e Spotify hanno scommesso sulle tecnologie per la rimozione del carbonio, ma l’obiettivo di Jp Morgan è quello di diventare “leader finanziario” del settore.
Una sfida tutt’altro che semplice, secondo Brian DiMarino, direttore amministrativo e responsabile della sostenibilità operativa di Jp Morgan (e vera mente dietro l’operazione), intervistato da Bloomberg Green. L’industria di rimozione del carbonio infatti si avvale in gran parte di tecnologie “lontane dalla commercializzazione di massa” e potenzialmente non redditizie, che potrebbero disincentivare molte imprese da un investimento.
“Siamo nel bel mezzo di una crisi climatica”, ha spiegato DiMarino. “Agire dovrebbe costituire una priorità per tutti. Siamo molto concentrati sulla riduzione delle emissioni, ma le compensazioni e la rimozione del carbonio sono una parte estremamente importante del puzzle, perché dobbiamo gestire ciò che è stato emesso e si trova già nell'atmosfera. Queste tecnologie ci permettono di farlo, quindi dobbiamo investire, aiutarle a crescere e dimostrare che sono preziose. Uno dei modi in cui lo facciamo è mettere il nome di Jp Morgan ed essere disposti a scommettere su questo spazio”.
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DiMarino prosegue poi sull’operatività e gli ostacoli del settore. Tra i nodi più difficili da sciogliere, la domanda ancora troppo bassa: “Parliamo sempre di un mercato con limiti di offerta, ma è solo perché queste tecnologie stanno ancora cercando di entrare in un’economia di scala (aumento della produzione e conseguente diminuzione del costo del servizio, ndr)”. Ma, fa notare il manager, “se la domanda non c'è gli investitori non si presenteranno mai e le società non raggiungeranno mai una dimensione economica. Abbiamo bisogno che la domanda e l'offerta aumentino insieme”. Anche il flusso di capitali, sottolinea DiMarino, è molto importante: finché non si investono grosse somme (come ha fatto la banca statunitense) il settore faticherà a partire.
Infine, DiMarino identifica tra gli altri ostacoli una carenza di infrastrutture e capitale umano, in particolare per quanto riguarda gli aspetti tecnici della costruzione degli impianti. “Non si tratta di assumere qualcuno seduto a un computer per digitare un codice, ma di costruire condutture”, ha detto DiMarino, che ha poi esteso il discorso anche alle risorse rinnovabili: “Vuoi elettrizzare il mondo. Dove sono tutti gli elettricisti? Vuoi costruire un impianto eolico offshore? Dove sono tutti i sommozzatori?”
Ma DiMarino resta comunque fiducioso verso il futuro: “Se svolgiamo bene il nostro lavoro”, tra molti anni “non ci sarà bisogno di altri investimenti e di altre operazioni di rimozione del carbonio”.