Le quattro biforcazioni
Possiamo influire sul nostro destino. Senza arroganza, ma anche senza ignavia. 14/07/20
di Fabrizio Barca
Dopo l’esperienza del lock-down e l’avvio della ripresa delle attività, possiamo guardare avanti. Ma occorre partire da alcune domande: Che cosa è successo? Che conseguenze avrà lo shock che abbiamo vissuto? Che cosa possiamo fare? Non è tutto predeterminato: quali sono le grandi biforcazioni che abbiamo davanti? Con il Forum Disuguaglianze e Diversità, un’alleanza insolita di saperi della ricerca e della cittadinanza attiva, abbiamo costruito una risposta nel volume appena uscito “Un futuro più giusto” che ho curato con Patrizia Luongo per Il Mulino. Eccone il succo.
Che cosa è successo
Quello che è avvenuto è visibile solo guardando sotto la quiete apparente che viviamo in questi giorni. I traumi per ora non percepibili faranno vedere i loro effetti in autunno. Lo rivelano alcuni numeri. Un quinto della popolazione non ha risparmi che consentano di sopravvivere per più di due o tre settimane. Attorno a un quarto delle piccole e medie imprese, già assai vulnerabili prima, è assai dificile che possano sopravvivere, dovranno ripensarsi. Sei milioni e mezzo di persone precarie pagano di essere tagliate fuori dai circuiti di accesso alla conoscenza e di essere state costrette a condizioni precarie da malnate politiche del lavoro. Intanto lo sviluppo del vaccino è rallentato dai mancati investimenti passati: non conveniva alle big pharma! Un capitalismo distorto ha creato e alimentato queste faglie e diseguaglianze sociali e territoriali, lungo cui ora corre la crisi.
Gli effetti dello shock, inoltre, sono stati amplificati da politiche sanitarie contrarie a un approccio universale alla salute. Lo shock è stato maggiore nelle regioni dove ci si è concentrati solo sugli investimenti negli ospedali privati, si è ridotto lo spazio della sanità pubblica, si è ridotto il presidio della salute inteso come elemento del welfare. Come controprova, in quelle aree interne dove si è operato con una strategia sanitaria a 360° che ha mirato a ridurre l’ospedalizzazione evitabile - per malattie come l’asma e il diabete - il territorio ha dimostrato una tenuta migliore. Anche tutto questo è il prodotto di uno squilibrio fra capitalismo e democrazia.
E adesso? Qualunque ipotesi di azione che si limiti a proporre il ritorno alla normalità non tiene conto del fatto che quella che c’era prima non era normalità. Piuttosto era un’ingiusta e ingiustificabile anormalità.
Che cosa ne viene fuori
Possiamo cambiare il sistema. Per renderlo anti-fragile come direbbe Nassim Taleb. Un sistema che ammette le proprie fragilità e che cambia per rafforzarsi.
Abbiamo di fronte almeno quattro biforcazioni.
1. La crisi ha attivato un bisogno di intervento pubblico come non si avvertiva da tempo. E qui siamo di fronte a un trivio nell’interpretare l’intervento pubblico. Da una parte, la degenerazione dell’intervento pubblico in una deriva statalistico-autoritaria. Da un’altra, la sua mortificazione neo-liberista in flussi di risorse pubbliche per compensare le storture di un capitalismo degenere: sussidi alle persone e alle imprese, senza indirizzo pubblico. E infine la strada che vorremmo: l’attivazione di uno sperimentalismo democratico, un modo moderno di fare azione pubblica fondato su processi partecipativi e conoscenza diffusa.
2. Il lavoro a distanza è aumentato. E ha continuato ad aumentare anche all’uscita dal lock-down. Segno che suggerisce soluzioni desiderabili. Ma i pro e i contro emergenti di questo modo di lavorare suggeriscono una seconda biforcazione. Da un lato, il lavoro a distanza minaccia la qualità della vita e l’organizzazione della famiglia e può accentuare la frammentazione e la parcellizzazione delle relazioni tra i lavoratori. Nello stesso tempo, esso riduce il pendolarismo e la perdita di vita che in passato si destinava agli spostamenti quotidiani. E può spingere a riorganizzare il lavoro per alimentare gli spazi della sua libertà creativa. Due interpretazioni del lavoro sottendono questa biforcazione: tra l’efficienza e la qualità.
3. La terza biforcazione riguarda l’accelerazione della trasformazione digitale, che non è soltanto lavoro a distanza. C’è stato uno straripamento digitale, con piattaforme private sempre più ricche e concentrate, piene di informazioni, con profitti immensi. Ma si può costruire un’alternativa, puntando su piattaforme digitali collettive, sviluppando mutualismo in rete. E anche su questo occorre prendere decisioni.
4. Il quarto fronte di cambiamento riguarda la voglia di prossimità e qui la biforcazione è fra cambiamento e conservazione. Le aree interne hanno ripreso a interessare. C’è la sensazione che dipendere da una filiera locale del cibo o da energia auto-prodotta sia più sicuro. La riscoperta del turismo locale. L’attenzione alla propria persona, alla cura degli altri, alla sostenibilità. La consapevolezza dell’importanza delle esperienze formative per i figli. Il valore dell’economia circolare. La domanda di forme diverse di intrattenimento e cultura. Le economie “labor intensive” e I mestieri di qualità. Ma sono fenomeni fragili, pronti a rientrare a essere riassorbiti dalla standardizzazione dei prodotti, dalle preferenze manipolate da lontano, se non sono colti e valorizzati sul piano culturale e politico.
Che cosa possiamo fare
Una sola certezza. Se lasciamo andare le cose senza intervenire vincono i cattivi e si perdono le occasioni. C’è bisogno di un salto nell’organizzazione della vita, nella distribuzione dell’accesso alla conoscenza. C’è bisogno di una grande scelta sui temi del clima e del digitale. La massa di risorse finanziarie pubbliche, nazionali e europee, che potremo spendere non va infilata nelle vecchie filiere: opere, bandi di progetti, sussidi, formazione inutile. Al centro devono essere invece messe le persone, stabilendo indirizzi strategici nazionali e poi lasciando che i territori li declinino a loro misura, attraverso un forte confronto pubblico.
Per farlo – lo articoliamo nel libro con proposte dettagliate da mettere a terra…domattina – servono interventiu su due assi: sapere e potere. Primo: innalzare l’accesso ai saperi, con investimenti consistenti nella scuola, nell’università, nelle imprese pubbliche portatrici di idee e cultura, e al tempo stesso liberare i saperi diffusi nei mestieri, nei consumatori, nei cittadini attivi, l’altra forza dell’Italia, creativa, rugosa, diversa, imprenditoriale. Secondo: un deciso riequilibrio dei poteri, in due direzioni. A favore del lavoro, perché esso conti impresa per impresa e dialoghi con gli interessi ambientali, e concorra a usare i saperi per la giustizia sociale e ambientale. A favore dei giovani, specie delle giovani donne, per affrontare una crisi generazionale di proporzioni enormi, e l’arretratezza insopportabile del paese sul terreno del ruolo delle donne. Un futuro più giusto è possibile. Ma per raggiungerlo occorre impegnarsi. E lottare.
di Fabrizio Barca, Forum Disuguaglianze e Diversità.