Entro il 2050 il clima estremo renderà inabitabili interi campi profughi
L’allarme dell’Unhcr: alcune regioni africane potrebbero superare i 200 giorni l’anno di stress termico. Nel mondo tre rifugiati o sfollati su quattro vivono in Paesi esposti a calore, alluvioni e tempeste.
Le tempeste sono arrivate con l’arrivo del freddo, aggiungendo nuova urgenza alle preoccupazioni umanitarie per i due milioni di residenti nella Striscia. A Gaza le piogge autunnali sono un dramma: l’acqua sta devastando le tende dove vivono migliaia di sfollati e civili, costretti a spazzare via i detriti che si accumulano intorno a letti e vestiti. Una crisi aggravata dal crollo dei sistemi idrici e fognari, messi a dura prova da due anni di attacchi israeliani.
Sempre più spesso gli sfollati sono intrappolati in un circolo vizioso di conflitti e condizioni climatiche estreme. Secondo il rapporto “No Escape II” dell’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati (Unchr), negli ultimi dieci anni i disastri climatici hanno causato lo sfollamento interno di 250 milioni di persone, pari a circa 70mila al giorno. Tre persone su quattro tra coloro che sono stati costretti a fuggire risiedono oggi in Paesi altamente esposti a rischi climatici. In queste aree, l’impatto combinato di siccità, alluvioni, ondate di calore e degrado del suolo sta aggravando le condizioni delle comunità già fragili. Più di 117 milioni di persone risultano oggi in fuga da conflitti, violenze o persecuzioni.
Figura 1. Previsioni di giorni di caldo estremo al 2050
Il clima amplifica l’instabilità
Fenomeni climatici sempre più intensi stanno colpendo soprattutto Stati con capacità istituzionali limitate. In Sud Sudan, Brasile, Kenya, Pakistan, Ciad, Etiopia, gli eventi estremi stanno erodendo mezzi di sussistenza, accesso all’acqua e sicurezza alimentare. Il risultato è una situazione di vulnerabilità che spinge molte famiglie a fuggire, anche più volte. Il degrado del suolo in Africa è uno degli elementi più preoccupanti: il 75% delle terre del continente è in deterioramento. Più della metà degli insediamenti di rifugiati si trova in aree ad alto stress ambientale, con un impatto diretto su acqua, cibo e attività economiche locali. In alcune regioni del Sahel questa pressione ambientale favorisce l’instabilità e aumenta il rischio di reclutamento da parte di gruppi armati.
Nuove frontiere del rischio
L’aumento delle temperature sta cambiando radicalmente il profilo del rischio nei campi profughi. Il Rapporto stima che entro il 2050 i quindici campi più esposti, situati in Gambia, Eritrea, Etiopia, Senegal e Mali, potrebbero affrontare quasi 200 giorni l’anno di stress termico pericoloso. In aree già colpite da crisi idriche, come il Ciad, la capacità di risposta è limitata. In alcune zone alluvionate, spiega l’Unhcr, i nuovi arrivati dal conflitto in Sudan ricevono meno di 10 litri d’acqua al giorno, molto al di sotto degli standard di emergenza. Il progressivo aumento del caldo estremo, combinato con l’umidità, renderà alcuni insediamenti non abitabili, con conseguenze dirette sul rischio sanitario e sulla futura mobilità delle popolazioni.
Figura 2. Rapporto tra Paesi esposti a confliti e finanziamenti ricevuti
Disuguaglianze nei finanziamenti
Un tratto comune alle aree più colpite è la carenza di risorse: i Paesi fragili che ospitano rifugiati, continua il rapporto, ricevono solo un quarto dei finanziamenti climatici necessari, mentre la maggior parte dei fondi internazionali non raggiunge né gli sfollati né le comunità ospitanti. La carenza di investimenti non è solo un limite operativo: rappresenta un freno strutturale alla capacità dei Paesi ad alto rischio di prepararsi a un clima più instabile. Senza risorse dedicate, sistemi idrici, sanità, alloggi e reti di protezione sociale non sono in grado di assorbire gli shock. Il Rapporto proietta un aumento dei rischi globali: da 3 a 65 Paesi potrebbero trovarsi in condizioni di esposizione climatica estrema entro il 2040. Si tratta di un cambiamento di scala che ridefinisce il futuro delle politiche migratorie e climatiche.
Una sfida per il prossimo decennio
Senza un flusso stabile e prevedibile di finanziamenti, conclude il documento, l’integrazione tra politiche climatiche e migratorie resterà incompleta. Per l’Unhcr rendere efficaci gli interventi significa spostare l’attenzione dai meccanismi reattivi a quelli preventivi, con investimenti in infrastrutture resilienti, sistemi di allerta, gestione idrica e protezione delle comunità a maggior rischio. Il passaggio chiave riguarda la distribuzione dei fondi: affinché l’adattamento eviti nuovi spostamenti su larga scala, il supporto deve raggiungere direttamente gli insediamenti che già oggi si trovano “sul bordo del collasso”, come li definisce l’Alto Commissario uscente Filippo Grandi.
Copertina: Salah Darwish/unsplash