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In Corea del Sud “invecchiare è una colpa”: la denuncia di Human rights watch

Tagli salariali dopo i 55 anni, lavori precari post pensionamento per sopravvivere: nel Paese diventato potenza economica, il 40% degli anziani vive sotto la soglia di povertà.

giovedì 10 luglio 2025
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A Gimje, città di circa115mila anime nella provincia sudcoreana del Nord Jeolla, il tasso di popolazione anziana è del 35,5%. Una quota enorme, in crescita anno dopo anno. Ma gli over 65 non risultano un peso, anzi: sono al centro della vita della comunità. Il sindaco ha istituito un Comitato per i servizi agli anziani, ha promosso villaggi solidali, ristoranti comunitari a basso costo riservati a loro, programmi di assistenza medica integrata e un piano triennale per fare della città una “Age-friendly city” certificata dall’Oms.

Eppure, nel Paese guidato dal neopresidente Lee Jae-myung, la piccola Gimje appare come un’eccezione. Perché in Corea del Sud, una delle economie più sviluppate del mondo e, allo stesso tempo, tra quelle con il tasso di invecchiamento più rapido, il 40% degli over 65 vive sotto la soglia di povertà. E come denuncia Human rights watch (Hrw) nel recente rapporto “Punished for getting older: South Korea's age-based policies and older workers rights”, diventare anziani significa spesso continuare a lavorare duramente, con salari ridotti, pochi diritti e scarsa protezione. Il Paese applica ancora meccanismi di penalizzazione legati all’età: tagli salariali obbligatori prima della pensione, espulsione dal lavoro a 60 anni, e un mercato del lavoro secondario povero e instabile.

Nel corso dell’indagine, Human rights watch ha intervistato 34 lavoratori tra i 42 e i 72 anni in luoghi di lavoro pubblici e privati ​​a Seul, tra febbraio e settembre 2024. Ha inoltre consultato una quarantina tra ricercatori, attivisti sindacali, giornalisti e membri di Ong, per analizzare leggi e politiche sull’occupazione. Il quadro che emerge è a tinte fosche: “Il governo dovrebbe smettere di discriminare i lavoratori a causa della loro età”, ha affermato Bridget Sleep, ricercatrice senior dell’organizzazione.

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La Corea del Sud utilizza il sistema del “peak wage” che prevede una riduzione progressiva dei salari a partire dai 55–57 anni, con tagli fino al 50% prima della pensione. Un meccanismo pensato per incentivare il ricambio generazionale ma che, secondo Hrw, causa gravi danni economici e psicologici e si basa su stereotipi discriminatori legati all'età. A peggiorare la situazione, circa il 95 % delle aziende con oltre 300 dipendenti impone il pensionamento a 60 anni, con conseguente calo automatico del salario. Un modello che, secondo molti esperti, non ha mai prodotto un reale incremento dell’occupazione giovanile, ma ha solo penalizzato gli anziani. Di conseguenza, oltre il 70 % degli over 60 continua a lavorare in forme precarie, spesso part-time o con contratti a tempo determinato. Si tratta di impeghi mal retribuiti che i giovani sudcoreani tendono a evitare, come guardie giurate, portieri e assistenti infermieristici.

Diversi lavoratori intervistati da Human rights watch hanno anche raccontato di essere stati umiliati quando colleghi o clienti più giovani usavano nei loro confronti un linguaggio dispregiativo: per esempio quando veniva chiamati ajumma (아줌마, donna sposata o di mezza età), o noin (노인, persona anziana) a scopo offensivo.

Human rights watch chiede che il governo introduca una legge quadro “che vieti ogni forma di discriminazione, inclusa quella basata sull’età”. Ma la questione non è così semplice: sebbene il diritto internazionale proibisca la discriminazione fondata sull’età, ai sensi della legge sudcoreana sull’occupazione le età pensionabili obbligatorie sono esentate da qualsiasi verifica di legittimità. In pratica, anche se un lavoratore viene costretto ad andare in pensione solo per via dell’età, non può appellarsi né alla giustizia ordinaria né a norme antidiscriminatorie.

In parallelo, l’organizzazione sollecita un rafforzamento delle misure di welfare, inclusa la revisione della pensione di base, per assicurare a tutti gli anziani un reddito dignitoso. Nel Paese le fragilità sociali degli anziani rappresentano un’emergenza crescente. Ma, come ricorda il rapporto, “invecchiare non può essere un peccato”.

Copertina: Clyde He/unsplash