Decidiamo oggi per un domani sostenibile

Dalle cupole di terra ai termitai, le nuove tecniche di raffreddamento in Africa

Soluzioni naturali per far fluire l’aria, attingendo alla geologia e al clima locale. Gli architetti africani puntano sempre più su strategie low tech e sostenibili.

martedì 10 giugno 2025
Tempo di lettura: min

Mantenere freschi gli ambienti senza usare energia elettrica né impianti come condizionatori e ventilatori. Grazie a progetti sostenibili, eleganti e in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici. Molte di queste soluzioni arrivano dall’Africa, un continente che sopporta un peso sproporzionato nel riscaldamento globale: secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, perde ogni anno dal 2 al 5% del proprio Pil a causa degli shock climatici. Nel frattempo, gli eventi estremi aumentano, e con loro anche i costi: solo in Africa subsahariana, le spese per l’adattamento climatico potrebbero toccare i 50 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Che fare, allora? Invocare maggiori risorse internazionali, certo. Ma anche sviluppare soluzioni architettoniche e urbanistiche efficaci e radicate a livello locale. Lo racconta un numero recente dell’Economist, che accende i fari sul lavoro di una nuova generazione di architetti africani.

Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, da qualche settimana ha un nuovo mausoleo: è stato realizzato da Diébédo Francis Kéré e combina cupole in laterite, ventilazione naturale e nessun intonaco. Il materiale locale trattiene il fresco, mentre la forma dell’edificio garantisce ombra e flusso d’aria. Un esempio riuscito di architettura low-tech, in simbiosi con il territorio.

Ha aperto i battenti pochi mesi fa, invece, il John Randle Centre di Lagos, in Nigeria: è immersivo, multisensoriale e interamente dedicato alla valorizzazione della cultura Yoruba, etnia tra le principali in Nigeria. L’architetto Seun Oduwole si è ispirato proprio all’intonaco di fango utilizzato per secoli dagli Yoruba per dare all’edificio un caratteristico effetto rustico, in armonia “con la natura e l’ambiente fisico”. Per Oduwole, infatti, troppi nuovi edifici a Lagos sono “scatole bianche separate dall'ambiente circostante”.

Silicon Africa: la rivoluzione tecnologica del continente parte dal Ruanda

Il sogno di un settore tech “Made in Africa” si regge anche sul dinamismo di Sudafrica, Nigeria e Marocco. È la risposta all’ondata d’innovazione di Usa e Cina. Il dossier di Jeune Afrique.

Sumayya Vally progetta strutture che imitano i termitai africani, capaci di mantenere temperature interne costanti grazie a canali d’aria sotterranei e fori di ventilazione. Trasformare un principio naturale in un linguaggio architettonico, dunque: è la stessa linea seguita anche da Mariam Issoufou, architetta partita dalla struttura delle capanne “palava”, tipiche dell’Africa occidentale, per progettare un centro presidenziale in Niger che devia le piogge e protegge dal calore. Le coperture ampie e oblique garantiscono, inoltre, ventilazione e resilienza agli eventi climatici.

Ancora a Lagos, Kunlé Adeyemi affronta l’emergenza dell’innalzamento del livello del mare con insediamenti su piattaforme galleggianti. “Dobbiamo imparare a convivere con l’acqua, non a combatterla”, ha detto in un’intervista. Nel 2016 la sua Makoko Floating School, una scuola flottante realizzata quasi interamente in legno, aveva ricevuto il Leone d’argento alla Biennale di Venezia. Solo pochi mesi dopo, però, è crollata sotto il peso delle piogge torrenziali che avevano squassato Lagos. I villaggi sull’acqua, adattivi e modulari, restano comunque un’idea visionaria a cui si ispirano diversi architetti internazionali.

Le innovazioni architettoniche sperimentate in Africa, infatti, stanno prendendo piede anche altrove. Ad esempio, le tecniche di “raffreddamento passivo” come quelle utilizzate nel mausoleo di Ouagadougou sono sempre più diffuse nei Paesi caldi di tutto il mondo. Adattate ai luoghi, ai materiali e alle esigenze delle comunità locali.

Copertina: The Artboard/unsplash