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Inerzia o cooperazione? Ecco i sei scenari possibili per il Mediterraneo

Lo studio Med 2050 analizza le sfide ambientali, sociali e demografiche della regione. Dal degrado dei territori alla svolta sostenibile, l’esito dipenderà da scelte collettive e politiche lungimiranti.

martedì 6 maggio 2025
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A meno di grandi cambi di rotta, nel 2050 il Mediterraneo si troverà in una situazione ben più allarmante di oggi, con trasformazioni profonde in tutti gli ecosistemi e un generale degrado delle condizioni di abitabilità. È quanto emerge dal Rapporto Med 2050, pubblicato dall’omonima rete internazionale, che ha coinvolto oltre cento esperti da una ventina di Paesi e diversi gruppi giovanili.

Il Mediterraneo è una regione già fragile, che si sta riscaldando più velocemente della media globale e, pur essendo ricca di biodiversità, presenta un forte deficit ecologico (differenza tra impronta ecologica e biocapacità). Secondo lo studio, tre fattori strutturali ne determineranno l’evoluzione entro metà secolo: l’aumento della temperatura media (fino a +2,3 °C), che intensificherà eventi estremi come siccità e ondate di calore; la “tropicalizzazione” dell’ecosistema marino, con impatti su specie, habitat e produttività; la crescita demografica (fino a 690 milioni di abitanti), che porrà nuove sfide di pianificazione e sostenibilità nei territori costieri.

Alla luce di queste tendenze, il Rapporto propone sei scenari, tre dei quali sono considerati auspicabili e tre da evitare. Ecco che cosa prevedono.

  1. Inerzia, marginalizzazione del Mediterraneo e pragmatismo (Business as usual)

Il Mediterraneo continua sulla traiettoria attuale, senza svolte significative nelle politiche ambientali o sociali. Le disuguaglianze aumentano, la crisi climatica accelera e la gestione delle risorse resta frammentata. Le priorità politiche si orientano su un ripiegamento nazionale e sull’autonomia, mentre le società civili oscillano tra pragmatismo, rassegnazione e spinte di rivolta.

  1. Shock dovuti alle crisi e adattamenti forzati

L'accumularsi di crisi e shock costringe i Paesi e le società ad adattarsi a una condizione di urgenza permanente. Gli Stati si chiudono in logiche di competizione economica e geopolitica, mentre la regione diventa sempre più frammentata, con conflitti latenti e forte stress ambientale. Tuttavia, a livello locale, emergono forme di solidarietà e auto-organizzazione capaci di rafforzare la resilienza sociale.

  1. Crescita a tutti i costi in un Mediterraneo esploso

La priorità è la crescita economica e la creazione di occupazione, guidate però da interessi nazionali e logiche di potenza, in un contesto di forte competizione globale. La cooperazione è limitata e instabile, mentre prevalgono strategie economiche che puntano al profitto a breve termine. L’estrazione intensiva di risorse terrestri e marine accelera la perdita di biodiversità e degrada gli ecosistemi, alimentando instabilità e frammentazione nella regione.

  1. Un partenariato euro-mediterraneo per una transizione blu e verde

L’Unione europea e i Paesi mediterranei stringono un partenariato forte, puntando sulla neutralità carbonica entro il 2050 e sull’integrazione economica regionale. Dopo una fase di crisi ambientali e sociali, la cooperazione multilaterale si rafforza grazie a investimenti comuni e a un approccio basato su tecnologia, incentivi economici e innovazione. Nasce un mercato regionale sostenibile, capace di attrarre capitali globali e diventare modello per altre macroregioni.

  1. Un altro modello di sviluppo sostenibile specificamente mediterraneo

Sulla spinta di esigenze ambientali, attenzione all’equità Nord-Sud e partecipazione civica crescente, si fa strada la transizione verso un modello di eco-sviluppo radicato nei territori. Si punta su “sostenibilità forte”, giustizia sociale e rispetto delle diversità culturali, con forme di governance inclusive e locali. La deglobalizzazione apre la strada a una crescita endogena e a una cooperazione sud-sud più solida, riducendo le vulnerabilità climatiche e le dipendenze esterne.

  1. Il Mar Mediterraneo: un bene comune globale

Di fronte a un degrado ambientale drammatico, la comunità internazionale ha una forte reazione, riconoscendo il Mediterraneo come “bene comune globale” e avviando un grande programma di ripristino. Nasce un’istituzione dedicata, sostenuta da risorse pubbliche e private, che coordina la cooperazione tra territori, società civile e Stati. La gestione condivisa del ciclo dell’acqua e degli ecosistemi simbolizza un nuovo patto ecologico e collettivo, costruito con e per la natura.

Anche se restano ostacoli importanti, tutti gli scenari di sviluppo sostenibile sono, secondo gli esperti, ancora raggiungibili. A patto di allontanare “l’attendismo e la politica dei piccoli passi”.

Copertina: Samuele Bertoli/unsplash