La parola dell’anno scelta dall’Economist getta un’ombra sul futuro
Un termine, insieme antico e moderno, sembra descrivere bene lo spirito degli ultimi 12 mesi segnati in primo luogo dalla rielezione di Trump: è kakistocracy, il “governo dei peggiori”.
“Governo affidato alle persone meno adatte, abili o esperte di uno Stato o di un Paese”: questa è la definizione che il Cambridge dictionary dà del termine kakistocracy. Da kakos, in greco antico “cattivo” o “inetto” e crazia “potere”, il termine si pone come opposto di “aristocrazia”, che invece vuol dire “governo dei migliori”. Secondo l’Economist, kakistocracy è la parola che meglio rappresenta e riassume l’anno che sta per concludersi, segnato in maniera significativa dal ritorno di Donald Trump, la cui rielezione negli Stati Uniti “ha conseguenze non solo per il Paese più potente del mondo, ma anche per i suoi vicini e per tutto il resto”.
Molte redazioni, infatti, hanno l’abitudine di scegliere una “parola dell’anno”: può trattarsi di un termine coniato di recente, di un vocabolo costantemente presente sui giornali o in cima alle classifiche delle ricerche online, o di una parola che riesce a racchiudere lo spirito dell’anno trascorso. L’Economist ha selezionato kakistocracy seguendo quest’ultimo criterio, ma, sottolinea nella sua newsletter culturale, un solo termine non può rappresentare tutto ciò che accade nel mondo in un anno intero. Altre, segnalate nella rubrica “Parole della settimana”, potrebbero essere le parole del 2024: alcune nuove come kidulting (nostalgia dell’infanzia), o altre con nuove connotazioni, come brat e demure, due modalità estetiche contrapposte amplificate poi dai social media. In ogni caso, secondo il settimanale inglese, kakistocracy è il termine più rappresentativo dell’anno 2024, che meglio descrive il ritorno di Trump, del suo movimento Maga (Make America Great again) e le tensioni politiche che hanno segnato questi 12 mesi. “È una parola che parla di potere”, scrive l’Economist, “fatta di suoni duri e rabbiosi, che in qualche modo sembrava adatta al momento di tensione che il mondo sta attraversando”.
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Il termine non è nuovo: il primo uso è attestato in lingua inglese nel 1644, quando Paul Gosnold, sostenitore di Carlo I, attaccava in un sermone gli “spiriti irrequieti” (parlamentari e presbiteriani), accusandoli di voler cambiare “la nostra monarchia ben temperata in un qualche folle tipo di kakistocrazia”. In italiano invece, l’espressione compare in un epigramma di Vittorio Alfieri, nella raccolta “Rime” del 1789, come parodia di “aristocrazia”, in riferimento alla fine della Repubblica di Venezia, invasa dall’esercito di Napoleone.
Le ricerche di kakistocracy hanno però avuto recentemente un’impennata significativa su Google Trends dopo la rielezione di Trump, a seguito delle elezioni del 5 novembre, e una seconda ondata con le nomine dei nuovi ministri, molti dei quali possono sicuramente essere definiti i “peggiori”: accusati di reati sessuali e di droga, complottisti e associati a movimenti di estrema destra.
“La kakistocrazia”, conclude l’Economist,“ha il suono secco e duro del vetro che si rompe. Se questo sia un bene o un male dipende dal fatto che si pensi che il vetro se lo sia meritato. Ma l'incapsulamento rapido di kakistocracy delle paure di mezza America e di gran parte del mondo la rende la nostra parola dell'anno”.
Copertina: Ansa