Oltre la morte: la scienza ridefinisce i confini della vita
Dopo i test sui maiali, le tecniche per la rianimazione delle funzioni cerebrali saranno usate sugli umani. Si aprono nuove opportunità di cura, ma c’è chi invita a non superare il limite.
Tecniche avanzate utilizzate con successo sugli animali potrebbero, in condizioni opportune, “rianimare” l’attività cerebrale degli esseri umani morti. Zvonimir Vrselja, neuroscienziato della Yale school of medicine, e il suo team hanno dimostrato cinque anni fa che il cervello di un maiale poteva recuperare alcune funzioni neuronali (ma non le attività associate alla percezione e alla coscienza) quattro ore dopo la sua morte. I ricercatori hanno raggiunto questo risultato utilizzando una macchina da perfusione appositamente sviluppata, BrainEx, che ha pompato uno speciale cocktail di farmaci nei vasi sanguigni dell’animale, agendo da sostituti del sangue e prevenendo al contempo i danni da mancanza di ossigeno. Ciò prova, secondo gli scienziati, che il cervello ha una capacità di ripristino cellulare superiore a quanto ritenuto.
Come riportato pochi giorni fa da New Scientist, Vrselja e i suoi stanno ora applicando la tecnica ai cervelli umani. Un tentativo che, inutile dirlo, potrebbe sollevare complesse implicazioni etiche, anche se i ricercatori hanno specificato che il loro scopo è testare trattamenti contro malattie neurologiche come l’Alzheimer e il Parkinson.
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Altri esperimenti con organi umani e animali stanno continuando a sfidare il confine tra la vita e la morte. In uno studio del 2023 Jimo Borjigin, neuroscienziato dell’Università del Michigan, ha monitorato l'attività cerebrale in pazienti a cui era stato interrotto il supporto vitale, scoprendo che le onde gamma ad alta frequenza, segno distintivo di coscienza, potevano essere rilevate per diversi minuti dopo la cessazione del battito cardiaco. Il cervello “sembrava essere in fiamme”, ha dichiarato Borjigin alla rivista inglese, aggiungendo: “Se riuscissimo a capire meglio cosa sta succedendo in quel momento, credo che potremmo rianimarlo”.
Sam Parnia, direttore della divisione di ricerca infettiva della New York University, ha lavorato sul prolungamento del tempo utile per la rianimazione dopo un arresto cardiaco. In uno studio su 53 persone in arresto cardiaco, il 40% avrebbe mostrato attività cerebrale spontanea, e il 20% avrebbe riportato esperienze coscienti durante il fermo cardiaco. Nel corso di diverse interviste Parnia, autore di Erasing death (Cancellare la morte), si è detto convinto che la morte non sia realmente una condizione “definitiva”.
Peter Rhee, chirurgo americano, ha sviluppato invece tecniche di “sospensione animata” per interventi chirurgici di emergenza, raffreddando drasticamente la temperatura dei pazienti per prolungare il tempo necessario alle operazioni salvavita.
Nel frattempo, i progressi nelle tecniche riperfusive (nate per indurre un ritorno del flusso ematico in un distretto dove si sia verificata un’ischemia) stanno già aiutando a salvare vite, anche nei pazienti colpiti da infarto. Friedhelm Beyersdorf, cardiochirurgo dell’Università di Friburgo, e la società tecnologica tedesca Resuscitec hanno sviluppato il sistema Carl (Controlled automated reperfusion of the whole body), una tecnologia avanzata che somministra un cocktail chimico simile all’ossigenazione extracorporea a membrana (Ecmo) per proteggere organi e cervello dopo un arresto cardiaco. I risultati sono promettenti, con il 42% di sopravvivenza con normale funzione cognitiva in alcuni casi.
I ricercatori come Vrselja sono consapevoli delle preoccupazioni etiche legate a tecnologie che spingono oltre i confini della vita e della morte, sottolineando la necessità di cautela e collaborazione con gli esperti di bioetica. Vrselja non esclude che qualcuno potrebbe applicare tecniche simili per inseguire l’immortalità. Come riferito da New Scientist, esperti come Lance Becker, del Feinstein institutes for medical research, prevedono un “cambiamento fondamentale nel modo in cui definiamo la morte”.
Copertina: 123rf