Visioni sul domani a confronto al più grande incontro mondiale di futuristi
Dalla ”Biblioteca del futuro” all’intelligenza artificiale nei Cda, dalle soluzioni climatiche alle megacittà: il racconto della tre giorni al Museo del Futuro di Dubai.
di Luca Miggiano, senior expert ASviS e responsabile Ecosistema Futuro
Si è concluso pochi giorni fa il Future Forum di Dubai, il principale evento al mondo per chi – con gli strumenti del foresight - guarda al futuro di lungo-termine delle nostre società. Quali sono i trend più evidenti per i prossimi 10, 50, 100 anni? Quali le novità che già stanno emergendo? Quali i temi e le incertezze da governare? E come farlo? Il Forum si è tenuto nell’avveniristico Museo del Futuro, un’opera architettonica di grande impatto che esprime quanto il giovane emirato arabo guardi intenzionalmente al futuro.
Sette segnali per il prossimo anno
L’evento è stato aperto da Khalfan Belhol, presidente della Dubai Future Foundation che ha descritto quelli che, secondo la Fondazione, sono i segnali più probabili e più significativi che accadranno nei prossimi dodici mesi:
Questi sono i segnali con cui si è dato inizio ai lavori, e che riprendono un’analisi più approfondita presentata quest’anno dalla Fondazione nel rapporto Global 50, che descrive altrettante opportunità per accrescere prosperità e benessere diffuso nei prossimi decenni.
La biblioteca del futuro
L’evento si è articolato in una tre giorni di panel che spaziavano dall’arte al clima, dall’AI alla governance, dal futuro delle città e degli spazi alla mobilità. In tutti, una domanda di fondo trasversale: come possiamo immaginare ed esplorare i futuri davanti a noi? Cosa portiamo con noi, in termini di conoscenze, valori, visioni del mondo, emozioni in questo viaggio? Tra gli esempi più brillanti quello della Future Library alle porte di Oslo, la Biblioteca del futuro, un progetto di arte pubblica ideato da Katie Person che ha piantato mille alberi per ricreare un bosco naturale, e prevede che ogni anno uno scrittore o una scrittrice lasci un manoscritto in dono alla biblioteca. Tra le partecipanti anche Margaret Atwood e Han Kang. La particolarità è che il manoscritto consegnato verrà reso pubblico e stampato – con la carta degli alberi del bosco – solo nel 2114. L’opera d’arte ci interroga: riusciremo ad essere buoni antenati per le future generazioni? Riusciremo a superare il nostro ego per creare qualcosa che non potremo vedere? È, come ha spiegato la curatrice, un messaggio di speranza per cambiare il presente, e coinvolgere il visitatore a fare qualcosa oggi, gratuitamente, per le future generazioni. Vuole essere la celebrazione della capacità della nostra specie di prendersi del tempo, ascoltare, riconnettersi alla natura, pensare oltre sé stessa.
La grande riunione di Katowice conferma la piattaforma come movimento comunitario che non ha eguali sul web. Migliora l’attendibilità delle fonti, ma resta il problema di una maggiore diffusione nei Paesi in via di sviluppo. Nuovi modelli per le enciclopedie cartacee.
Sorpresa: Wikipedia funziona sempre meglio ed è anche un esempio virtuoso
Parole chiave
La tre giorni si può ripercorrere attraverso alcune parole chiave. Nel suo intervento, il politologo indiano Parag Khanna ha illustrato la trasformazione della “geografia del mondo” soffermandosi sul ruolo crescente di mega-città e hub, descrivendo anche l’impatto che avrà il cambiamento climatico sulle migrazioni interne e internazionali verso quei centri che possono adattarsi meglio, per condizioni naturali o investimenti, con l’abbandono delle aree che invece diventeranno inospitali. E poi, descrivendo le curve globali demografiche attese – con il picco previsto attorno al 2050 – ha parlato di come la Gen Z, i nati tra il 1996 e il 2010, sarà la generazione più popolosa della storia dell’umanità, in termini assoluti, sia nel passato che nelfuturo. La domanda è quindi quale potere abbia oggi la Gen Z di plasmare questo futuro.
Molte le sessioni sul tema della “future generazioni” e su come proteggere oggi gli interessi e i diritti di chi non è ancora nato, quali metriche si possono usare per valutare la giustizia intergenerazionale, quali strumenti di governance da mettere in piedi. Tra gli altri, Sophie Howe, la prima Commissaria per le Future generazioni del Galles, ha illustrato le opportunità apertesi con l’approvazione da parte delle Nazioni unite della Dichiarazione sulle Future generazioni e la prossima nomina di un Inviato speciale su questo tema. Tra le varie esperienze locali di cui si è parlato, in termini di pensiero di lungo-termine, è spiccata quella di Toscana 2050, il progetto che vuole immaginare il futuro della regione Toscana come hub di innovazione per tutta Europa.
Molti interventi hanno richiamato il concetto di “cathedral thinking”, spesso citando ad esempio l’arte e il Rinascimento italiano: ossia avere la capacità di iniziare un progetto – come le cattedrali rinascimentali – che altri continueranno e disegneranno, e di cui non vedremo noi la fine. Immaginare qualcosa di cui non abbiamo forse neanche ancora la tecnologia necessaria per realizzarlo. Molto si è discusso anche di metodologie e strumenti per coinvolgere esperti e cittadini in una conversazione sul futuro. Si è parlato di sfide e opportunità dell’intelligenza artificiale generale, di salute e personalizzazione delle cure, di futuro del cibo e degli apprendimenti, di quali sono le competenze essenziali per il futuro, di come costruire una mobilità diversa. Una mostra sui “prototipi del futuro” ha illustrato alcune delle innovazioni più promettenti in campo di ingegneria e fisica.
Si è parlato molto ovviamente di cambiamento climatico, ma meno di biodiversità e natura, spesso digitalizzate o riprodotteartificialmente, piuttosto che curate, rigenerate e preservate. Si è dibattuto molto di talento e di uguaglianza di genere, ma meno di diseguaglianze, diritti umani e guerre, anche se Oxfam ha illustrato in un intervento efficace in plenaria i dati dell’ultimo rapporto sulle diseguaglianze globali, e quello sull’impatto di queste sulla crisi climatica (Carbon Inequality Kills). Parole significative in un Paese, gli Emirati Arabi Uniti, che vive ancora contraddizioni profonde in termini di distribuzione di ricchezza, diritti essenziali e del lavoro.
Si è parlato di immaginazione elastica, ossia la capacità di immaginare scenari diversi e alternativi, mettendo in discussione i presupposti e bias cognitivi e culturali che portiamo con noi, e che riducono per esempio l’efficacia a lungo termine delle decisioni politiche. Si è discusso molto di arte e di cultura come veicoli per mobilitare le persone a partecipare a una conversazione collettiva e allo stesso tempo personale sul futuro. Il futuro, è stato detto più volte, non è prevedibile ed è “emergente”, imprevedibile.
Quale futuro vogliamo costruire?
Mentre – nella concretezza, ma anche nella lentezza della politica quotidiana – in Brasile i Paesi del G20 si occupavano di pace e architettura finanziaria, e a Baku i negoziati sul clima erano bloccati, a Dubai si è parlato quindi di un pezzetto di futuro. Spesso è risuonata la domanda – tipica di chi fa questo tipo di studi – “what if?”, che in italiano suona come “E se?”. Una domanda che vuole aprire la mente, liberare l’immaginazione. Per chi come noi lavora all’intersezione tra sviluppo sostenibile e futuro, la domanda è quella di come immaginare e costruire un futuro diverso, sostenibile. E poi, riusciremo – o, stiamo riuscendo - a trasformare questa visione in azioni concrete globali, nazionali, locali? Riusciremo a governare le incertezze dei megatrend che attraversano, e a volte sconvolgono, le nostre società, per migliorare il benessere per tutte e tutti, rispettando i diritti umani, proteggendo il pianeta?
Vedendo da vicino il Museo del Futuro di Dubai non si può non pensare a come sarebbe questo tipo di conversazione in Italia, in quale luogo potrebbe farsi, c’è da domandarsi, quali le persone e gli esperti da coinvolgere, quale idea di città, di territorio, di sviluppo umano, di cultura, di educazione, di partecipazione, di tecnologia e di innovazione portiamo avanti? Ci stiamo, insomma, interrogando abbastanza su queste grandi domande, ragionando sul lungo periodo – come altri stanno facendo? Ci stiamo prendendo il tempo necessario – collettivamente - per immaginare diversi futuri possibili, e scegliere con convinzione un futuro sostenibile?