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Gli incentivi economici per la natalità non invertiranno il calo demografico

Sono dispendiosi e poco efficaci. La soluzione è adattarsi a un mondo con meno giovani e più persone anziane. L’Economist riflette sulle sfide demografiche che tutto il mondo dovrà affrontare.

mercoledì 29 maggio 2024
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Tutti i Paesi più ricchi, ad eccezione di Israele, hanno un tasso di fecondità inferiore a quello di sostituzione, pari a 2,1 figli per donna, che permette alla popolazione di rimanere stabile. In media una donna in un Paese ad alto reddito avrà 1,6 figli nel corso della sua vita. Questo significa che, senza immigrazione, ogni generazione si ridurrà di un quarto rispetto alla precedente.

Alcuni Paesi stanno cercando di invertire il calo demografico attraverso lo stanziamento di sussidi economici: la Francia, ad esempio, spende ogni anno il 3,5%-4% del proprio Prodotto interno lordo (Pil) in politiche famigliari, mentre la Corea del Sud sta valutando l’ipotesi di garantire sussidi pari $70mila per ogni bambino. “Queste misure probabilmente falliranno perché sono basate su un equivoco” spiega il settimanale inglese The Economist nel numero pubblicato il 25 maggio. Si pensa, infatti, che il calo della natalità dipenda dalla scelta delle donne in carriera di rimandare il momento in cui avere figli. Molte politiche si concentrano quindi su vantaggi fiscali e su aiuti per la cura dei figli. “In questo modo, si dice, le donne non devono scegliere tra la famiglia e la carriera” scrive l’Economist.

C’è però un altro aspetto da considerare: nei Paesi ad alto reddito la natalità è diminuita soprattutto tra le donne più giovani e più povere. Negli Stati Uniti, ad esempio, oltre il 50% della riduzione del tasso di fecondità dal 1990 a oggi è causato dal calo delle nascite tra le donne di età inferiore ai 19 anni, sia perché più ragazze frequentano l’università sia perché anche le donne non laureate scelgono di avere figli più tardi. Alcuni Paesi, racconta l’Economist, hanno iniziato ad adottare misure rivolte alle donne più giovani: in Russia le donne che hanno figli prima dei 25 anni saranno presto esentate dal pagare le imposte sul reddito, mentre in una provincia orientale della Cina le giovani coppie sposate ricevono una somma di denaro se la sposa ha meno di 25 anni.

Queste iniziative, tuttavia, rischiano di “riportare indietro di decenni gli sforzi fatti per ridurre le gravidanze indesiderate nelle adolescenti e per incoraggiare le donne a studiare e lavorare” sottolinea l’Economist. I sussidi economici, inoltre, non sembrano realmente efficaci: la Svezia, ad esempio, offre numerosi servizi di assistenza, ma il tasso di fecondità è rimasto pari a 1,7 figli per donna; la Corea del Sud, invece, dal 2006 spende annualmente oltre l’1% del Pil per incentivare le nascite, ma il tasso di fecondità, il più basso al mondo, è pari a 0,7 figli per donna.

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Il calo demografico non riguarda solo i Paesi ad alto reddito: secondo le previsioni il 2064 sarà l’anno in cui a livello globale il numero di nascite sarà inferiore a quello delle morti. Entro il 2100 il tasso di fecondità a livello mondiale scenderà a 1,7 figli per donna (nel 2021 era pari a 2,3) e solo due isole del Pacifico e quattro Paesi africani continueranno ad avere un tasso superiore a quello di sostituzione. Calo della natalità significa meno innovazione, meno forza lavoro, meno entrate fiscali e più spese. “Secondo le stime del Fondo monetario internazionale i Paesi ricchi dovranno spendere ogni anno il 21% del proprio Pil per le persone anziane, in aumento rispetto al 16% del 2015” riporta l’Economist. Un quarto di queste spese sarà destinato alle pensioni, il resto ai servizi di assistenza sociosanitaria

Cosa fare, quindi? L’Economist suggerisce un mix di misure che includano l’immigrazione di persone qualificate, l’adozione di nuove tecnologie, l’allungamento dell’età lavorativa e il taglio delle pensioni. “Queste riforme sarebbero impopolari ora. Chi vorrebbe essere il politico che comunica a milioni di burocrati, soldati e insegnanti pensionati che le loro pensioni verranno ridotte per prendersi cura delle future generazioni?” si domanda però l’Economist.

Copertina: Natalie Bond/pexels