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Last chance tourism: che cos’è e perché secondo alcuni dovrebbe essere fermato

Visitare i territori minacciati dal cambiamento climatico prima che scompaiano: questo è il mantra del “turismo dell’ultima possibilità”. Ma il rischio è di danneggiare i luoghi che si vorrebbero proteggere.

martedì 9 aprile 2024
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“Per migliaia di anni, gli esseri umani hanno gareggiato per essere i primi a scalare una vetta, attraversare una frontiera o documentare una nuova specie o paesaggio. Ora, in alcuni casi, stiamo correndo per essere gli ultimi”.

A dirlo è la giornalista Paige McClanahan, che in un articolo pubblicato sul New York Times racconta il fenomeno del “turismo dell’ultima possibilità” o “last chance tourism”, che vede i viaggiatori pagare cifre considerevoli per visitare i luoghi minacciati dal cambiamento climatico (barriere coralline, ghiacciai, isole) prima che sia troppo tardi.

Tra gli esempi di questo pellegrinaggio dell’apocalisse c’è il Mer de Glace, il ghiacciaio più grande delle Alpi francesi che, come molti altri, si sta sciogliendo a ritmi vertiginosi (uno studio pubblicato su Science l’anno scorso dice che la metà dei ghiacciai nel mondo si scioglierà entro il 2100, anche se le nazioni dovessero raggiungere gli Obiettivi dell’Accordo di Parigi).

Questo tipo di turismo è, per alcuni, una cosa buona, perché potrebbe rendere le persone più consapevoli dell’impatto che esercitano sul pianeta. Secondo un sondaggio del 2020 tra i visitatori del Mer de Glace, l’80% ha dichiarato che vorrebbe saperne di più su come proteggere l’ambiente e il 77% che si ritiene disposto a ridurre il proprio consumo giornaliero di acqua ed energia.

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Altri, invece, sono molto scettici: sottoporre questi territori a ondate turistiche frequenti vorrebbe dire sommare inquinamento ad altro inquinamento, favorendo la scomparsa di ciò che si vorrebbe preservare. “Alcune persone viaggiano in Antartide perché temono che venga distrutta”, ha commentato la giornalista Sara Clemence in un articolo su The Atlantic, “ma viaggiare lì richiede molto carburante, e c’è anche il rischio che i visitatori portino malattie o danneggino la fauna selvatica”.

“C’è un paradosso etico nel turismo dell’ultima possibilità”, ha commentato al New York Times Karla Boluk, professoressa dell’Università di Waterloo, “e include una questione morale: se i viaggiatori riconoscono e rispondono al danno che generano”.

Un “paradosso etico” che non colpisce solo il Mer de Glace. Pond Inlet, un villaggio di circa 1.600 abitanti (per lo più Inuit) situato nell’Artico canadese, ha accolto nel 2023 circa 3mila turisti, che hanno pagato 15mila dollari a testa per viaggiare su una delle 25 navi da crociera che permettono di assistere agli ultimi anni di vita dei ghiacci nordici.

Anche qui, la popolazione si divide: “Alcuni sostengono la necessità di fermare temporaneamente il fenomeno, ma altri, che fanno affidamento su questo reddito in estate, non sono d’accordo”, ha detto al Guardian Michael Milton, che lavora per Ikaarvik, un'organizzazione che promuove la collaborazione tra comunità locale e ricercatori del Sud per l’elaborazione dei dati ambientali. Gli oppositori del last chance tourism denunciano anche in questo caso un circolo vizioso: i turisti spaventano la fauna selvatica che vengono a visitare, causando una riduzione degli animali da cacciare e incrementando così la dipendenza dei residenti di Pond Inlet dal turismo.

Altro caso di “turismo dell’apocalisse” nell’estate 2023, quando frotte di visitatori hanno invaso la Death Valley per celebrare il raggiungimento della temperatura record di 56 gradi. Il centro visite della Valley, per l’occasione, aveva anche installato un termometro gigante, per permettere ai turisti di scattare una foto.  

Qualcuno, fortunatamente, ha protestato, mettendo in mostra due cartelli che recitavano: “Questa è la crisi climatica, happy death day”.

Copertina: Leila Azevedo/unsplash