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Nell’era del declino del petrolio si rafforzerà il potere degli Stati del Golfo

La produzione ha raggiunto un picco del 2023, ma le politiche climatiche, il miglioramento dell’efficienza energetica e le auto elettriche ne ridurranno la domanda a vantaggio di chi può produrlo con i costi più bassi.

mercoledì 27 marzo 2024
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All’inizio degli anni 2000 l’80% dell’energia prodotta proveniva dai combustibili fossili. Vent’anni dopo la situazione è quasi invariata: le fonti rinnovabili, per quanto siano sempre più diffuse, non riescono a soddisfare la crescente domanda di energia e il ruolo dei combustibili fossili rimane stabile. In una serie di articoli intitolata “The long goodbye”, il settimanale inglese The Economist riflette sull’evoluzione del settore dei combustibili fossili.

L’ingombrante ruolo delle industrie fossili

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) nel 2023 sono stati prodotti 108 milioni di barili di petrolio al giorno, contribuendo a 12,1 miliardi di tonnellate di CO2, pari al 32% di tutte le emissioni delle industrie. Per contenere l’aumento della temperatura al disotto dei 2°C rispetto al periodo preindustriale, come previsto dall’Accordo di Parigi, le emissioni causate dai combustibili fossili devono essere ridotte drasticamente.

“I Paesi produttori di petrolio hanno lavorato per ridurre le ambizioni delle conferenze annuali, note come Cop, tenute dalla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Unfccc) da quando sono cominciate le Cop nel 1995” scrive l’Economist. Un traguardo significativo, per quanto simbolico, è stato raggiunto alla Cop28 che si è svolta a fine 2023 negli Emirati Arabi Uniti: nella dichiarazione finale, per la prima volta, si è fatto riferimento alla necessità di “allontanarsi gradualmente dall’uso dei combustibili fossili per la produzione di energia, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio cruciale in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050”. Per riprendere le parole di Simon Stiell, segretario esecutivo dell’Unfccc, “a Dubai non si è conclusa l’era dei combustibili fossili, ma il risultato è l’inizio della fine”.

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Come cambia il settore petrolifero

Per capire gli impatti che le politiche climatiche, e la conseguente riduzione della domanda di petrolio, avranno sui Paesi dell’Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) e sull’Occidente, è importante osservare come il settore petrolifero sia cambiato negli ultimi cinquant’anni, diventando più resiliente.

A seguito dell’invasione russa in Ucraina nel 2022, il prezzo del petrolio è aumentato per la paura che le sanzioni alla Russia, il terzo Paese produttore di petrolio, mettessero a rischio gli approvvigionamenti a livello mondiale. La Iea l’ha definita “la prima vera crisi energetica globale, con impatti che si sentiranno per anni”: il precedente grande shock energetico, iniziato nel 1973, riguardava solo il petrolio e le conseguenze erano state avvertite soprattutto nei Paesi sviluppati.

Dal 2022 il mercato si è adattato alla crisi energetica: la Russia ha aumentato le esportazioni verso la Cina, l’India e la Turchia, mentre i Paesi europei hanno ridotto il consumo di energia e incrementato le importazioni di gas naturale liquefatto, in particolare dagli Stati Uniti. A pagarne le conseguenze sono stati soprattutto i Paesi a basso e medio reddito in difficoltà per l’aumento del costo dei combustibili fossili.

Come sottolinea l’Economist, un cambiamento significativo per il settore energetico e per le relazioni internazionali, è stata la diffusione del fracking, una tecnica per estrarre gas e petrolio dalle rocce di scisto presenti nel sottosuolo. Gli Stati Uniti hanno acquisito maggiore indipendenza energetica, mentre i Paesi del Golfo hanno iniziato a esportare petrolio ai grandi Paesi asiatici, come la Cina e l’India. A differenza degli Stati Uniti che per anni sono intervenuti, più o meno direttamente, per mantenere sicurezza e stabilità nella regione, India e Cina sembra interessate solo a stringere rapporti commerciali, senza interferire negli equilibri politici dell’area.

La lezione dello shock petrolifero del 1973

Le misure adottate per affrontare la crisi energetica del 1973 sono state principalmente due: diversificare le fonti di energia, come fecero Francia, Svezia e Giappone con l’energia nucleare o gli Stati Uniti con il carbone, e migliorare l’efficienza del carburante utilizzato. Tra il 1977 e il 1985 il consumo di petrolio negli Stati Uniti è diminuito del 17%, mentre il Prodotto interno lordo (Pil) statunitense è cresciuto del 27%. A partire dagli anni ’90, inoltre, a livello mondiale l’intensità petrolifera del Pil (oil intensity of Gdp), ovvero la quantità di petrolio necessaria per produrre un determinato risultato economico, è diminuita costantemente. “La diminuzione dell’intensità petrolifera dimostra che la crescita economica non è intrinsecamente legata all’utilizzo del petrolio, una prova importante per il principio della decarbonizzazione” sottolinea l’Economist.

Le previsioni future

Oltre al miglioramento dell’efficienza energetica, la diminuzione della domanda di petrolio potrebbe essere favorita anche dalla diffusione delle auto elettriche: nel 2016 il numero di auto elettriche vendute nel mondo era inferiore a un milione, mentre nel 2023 ha raggiunto i 14 milioni.

Secondo le stime del report “Net zero by 2050” dell’Agenza internazionale dell’energia pubblicato nel 2021, in uno scenario di misure radicali per ridurre le emissioni, la domanda di petrolio si ridurrà di un quarto entro il 2030 e di tre quarti entro il 2050. È uno scenario simile a quello ipotizzato da Bp e BloombergNef. Per altri osservatori, come l’Opec o la compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil, la domanda di petrolio continuerà a crescere nel 2030, per poi iniziare a diminuire lentamente.

Le imprese petrolifere e la fine del petrolio

Cosa succederà ora alle aziende petrolifere nazionali se la domanda continuerà a diminuire e le politiche climatiche si rafforzeranno? “Per gli Stati del Golfo le prospettive sono rosee. Producono molto petrolio a basso costo e hanno il capitale per produrne ancora di più. Secondo le previsioni gli approvvigionamenti futuri dipenderanno ancora di più da loro, e più il mondo si decarbonizza più aumenta il potere nelle loro mani” scrive l’Economist. Alcuni Paesi, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, stanno riducendo il consumo domestico di petrolio, aumentandone l’esportazione, e stanno investendo in energia nucleare e rinnovabile. Masdar, un’azienda di energia pulita degli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, ha in programma di installare 100 gw di capacità rinnovabile nel mondo entro il 2030. Altre aziende stanno investendo ancora nei combustibili fossili senza differenziare le proprie attività, come Bp e Shell, o nei sistemi di cattura e sequestro del carbonio, come ExxonMobil.