Rapporto Gimbe: come fermare il degrado della sanità italiana
Finora la spesa pubblica nel settore è stata considerata un “costo” anziché un “investimento”, con tagli progressivi che mettono a rischio il diritto costituzionale alla salute. Il piano di rilancio del Ssn proposto dalla Fondazione.
di Antonella Zisa
I principi fondanti del Servizio sanitario nazionale (Ssn) — universalità, uguaglianza, equità —sono stati traditi. Tagli e investimenti inadeguati, da parte di tutti i governi che si sono avvicendati in oltre 15 anni, hanno progressivamente indebolito la sanità pubblica, portando l’Italia dall’avere un “Servizio” sanitario nazionale a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato, che alimentano l’impoverimento delle famiglie e la rinuncia alle cure, nonché la frattura strutturale tra Nord e Sud che sta per essere legittimata dall’autonomia differenziata. In sintesi, questo è lo scenario della sanità pubblica descritto da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, nel corso della presentazione del sesto Rapporto Gimbe sul Servizio sanitario nazionale avvenuta il 10 ottobre presso il Senato della Repubblica.
Il documento analizza le criticità, da cui muove il Piano di rilancio del Ssn, ossia una serie di proposte attraverso cui la Fondazione Gimbe invoca un “patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, rilanci quel modello di sanità pubblica, equa e universalistica, pilastro fondante della nostra democrazia, conquista sociale irrinunciabile e grande leva per lo sviluppo economico del Paese”.
Cala la spesa sanitaria, cresce il divario con i Paesi Ocse
Nel periodo 2010-2019 la sanità pubblica ha subito tagli per oltre 37 miliardi di euro, per poi vedere un aumento del fabbisogno di 11,6 miliardi di euro nel biennio 2020-2022, che tuttavia non ha consentito rafforzamenti strutturali del Ssn poiché le risorse sono state assorbite dalla pandemia di Covid-19. Per gli anni 2023, 2024 e 2025 la Legge di bilancio 2023 ha incrementato il fabbisogno per un totale di 7.050 milioni di euro. Ma secondo le stime Nadef il rapporto tra spesa sanitaria e Prodotto interno lordo (Pil) subirà un progressivo calo dal 6,6% del 2023 fino al 6,1% del 2026, un valore al di sotto di quello pre-pandemia (6,4% nel 2019), pertanto l’incremento della spesa sanitaria in termini assoluti sarà di appena l’1,1% nel biennio 2024-2026.
Come mostrato dal grafico, l’Italia registra un crescente divario con i Paesi Ocse nell’erogazione di risorse pubbliche per l’assistenza sanitaria ai cittadini. Nel 2022 la spesa pubblica pro-capite presenta un gap con la media dei Paesi europei Ocse pari a 829 euro (48,8 miliardi di euro). Attualmente la nostra spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,8% del Pil, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media Ocse che europea.
Per quanto riguarda la spesa sanitaria privata totale, nel 2022 è di poco inferiore alla media Ocse, e corrisponde a circa il 24% della spesa sanitaria totale. In massima parte sono le famiglie a farsene carico (out of pocket), e il resto è intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (2,7%).
Assistenza e forza lavoro, tra migrazione sanitaria e carenze
Dal monitoraggio dell’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) a livello regionale, emerge che nel periodo 2010-2019 nessuna regione meridionale si posiziona tra le prime dieci adempienti, nel 2020 è solo la Puglia a garantire i Lea al Sud, e nel 2021 su 14 regioni adempienti solo tre sono meridionali. Ciò ha alimentato un imponente flusso di cittadini con bisogni di cure dal Sud al Nord, un fenomeno che con l’autonomia differenziata richiesta dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e attrattive non potrà che aumentare, secondo il Rapporto. Per questo motivo la Fondazione Gimbe ha chiesto di rimuovere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono chiedere maggiori autonomie.
Sul fronte della forza lavoro, la carenza di personale registra rilevanti differenze regionali, con una media di 2,11 medici e 5,06 infermieri ogni 1000 abitanti, collocando l’Italia ben al di sotto della media europea nel rapporto infermieri/medici (1,5 contro 2,7Ocse).
Nel prendere in esame l’attuazione della Missione 6 “Salute” del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che mira alla riforma dell’assistenza territoriale realizzando una rete di strutture, il Rapporto segnala che al 30 giugno 2023 sono funzionalmente attive solo 187 su 1.430 Case di comunità, 77 su 611 Centrali operative territoriali e 76 su 434 Ospedali di comunità. E il Sud si distingue per i forti ritardi nei progressi. A ciò vanno aggiunte le proposte di tagli nel numero di strutture e la rimodulazione dei tempi entro cui realizzarle, presentate a luglio alla Commissione europea e in attesa di approvazione.
Il Piano di rilancio del Servizio sanitario nazionale
La Fondazione Gimbe propone una serie di azioni orientate all’articolo 32 della Costituzione che tutela la salute di tutte e tutti, riducendo disuguaglianze e sprechi di risorse pubbliche. In sintesi, secondo il Rapporto per salvare un Ssn al “capolinea” occorre:
- mettere la salute al centro di tutte le politiche e attuare l’approccio One health secondo cui la salute delle persone, degli animali e dell’ambiente sono strettamente connesse;
- allineare il finanziamento pubblico per la sanità con la media europea entro il 2030; destinare alla ricerca clinica indipendente e sui servizi sanitari almeno il 2% del fabbisogno sanitario nazionale;
- rafforzare la capacità di verifica dello Stato sulle regioni, monitorandone l’effettiva erogazione dei Livelli essenziali di assistenza;
- programmare adeguatamente il fabbisogno di personale sanitario in funzione delle esigenze e investire sulla formazione e valutazione dei professionisti; programmare, organizzare e integrare i servizi sanitari e sociali in base alle esigenze dei cittadini;
- disciplinare l’integrazione pubblico-privato secondo i reali bisogni di salute e la libera professione e avviare un riordino della sanità integrativa; rimodulare i ticket e le detrazioni fiscali per le spese sanitarie;
- diffondere la cultura digitale e promuovere le competenze tecniche tra professionisti sanitari e cittadinanza;
- fornire informazioni istituzionali basate sulle migliori evidenze scientifiche per promuovere stili di vita più sani e ridurre il consumismo sanitario; aumentare l’alfabetizzazione sanitaria.