L’Onu ci dice che non siamo né troppi né troppo pochi
Il rapporto dell’Unfpa sfata i miti legati alla sovrappopolazione e al declino demografico. Monitorare gli andamenti demografici è importante, ma per risolvere le crisi occorrerà concentrarsi sulle cause reali.
di Maddalena Binda
A novembre del 2022 la popolazione mondiale ha superato otto miliardi di persone. Un “traguardo fondamentale da festeggiare” secondo il Rapporto “Otto miliardi di vite, infinite possibilità”, pubblicato dal Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (Unfpa), in quanto “rappresenta progressi storici per l’umanità nella medicina, nella scienza, nella salute, nell’agricoltura e nell’educazione”.
Il Rapporto prende in considerazione le due reazioni principali ai cambiamenti demografici: da un lato la paura per un mondo sovrappopolato, in lotta per risorse sempre più scarse; dall’altro la preoccupazione per le conseguenze socio-economiche del calo delle nascite e dell’invecchiamento della popolazione. Concentrandosi solo sull’andamento demografico si rischia di individuare le politiche di controllo o incentivo delle nascite, con conseguenti pressione sulle ragazze e sulle donne, come la soluzione alle crisi di natura sociale, economica e ambientale.
“I cambiamenti demografici sono normali e il numero non è di per sé positivo o negativo; quello che è necessario è un sistema resiliente che risponda ai bisogni della popolazione, al di là della dimensione” sottolinea il Rapporto, che analizza i miti intorno alle idee del “siamo troppi” o siamo troppi pochi”.
Siamo troppi?
Negli ultimi 50 anni la popolazione è raddoppiata ed entro la metà del secolo potrebbe raggiungere i dieci miliardi di persone. Una popolazione così numerosa potrà vivere in un pianeta in cui le risorse sono sempre più scarse? E che impatto avrà sulla crisi climatica?
Un legame tra crescita demografica e cambiamenti climatici esiste. Il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni unite (Ipcc) ha individuato l’aumento della popolazione e del Pil pro capite come una delle cause dell’incremento dell’utilizzo di combustibili fossili. Tuttavia, come sottolinea il Rapporto, due terzi della popolazione vivono con meno di dieci dollari al giorno e non contribuiscono in maniera significativa alle emissioni di gas serra.
Focalizzandosi sulla sovrappopolazione e individuandola come causa si rischia di ritenere responsabili i Paesi a basso reddito, che presentano maggiori tassi di crescita demografica e di fecondità, e di non attuare le politiche necessarie per risolvere le crisi economiche, sociali e ambientali, avverte il Rapporto.
La crescita della popolazione è un risultato da accogliere positivamente, prova dei progressi raggiunti per la salute umana: a livello globale l’aspettativa di vita ha raggiunto 72,8 anni nel 2019, un aumento di quasi nove anni dal 1990, e potrebbe raggiungere i 77,2 anni entro il 2050.
Il Rapporto ricorda, inoltre, che a livello globale il tasso di crescita della popolazione è diminuito, attestandosi a meno dell’1% nel 2020, e che due terzi della popolazione mondiale vivono in Paesi in cui il tasso di fecondità è inferiore a 2,1 figli per donna, considerato il “livello di sostituzione” per garantire un ricambio generazionale.
O troppo pochi?
Ci sono preoccupazioni legate anche al calo demografico e all’invecchiamento della popolazione che si sta verificando in alcuni Paesi, in particolare in quelli ad alto reddito. L’Europa, ad esempio, vedrà la propria popolazione diminuire del 7% tra il 2030 e il 2050, risultato del calo del tasso di fecondità iniziato negli anni ’70. Oltre al calo delle nascite preoccupa anche l’invecchiamento della popolazione: un Paese con poche persone giovani e tante anziane può garantire una crescita economica e la sostenibilità del sistema di welfare?
Molti Paesi scelgono quindi di adottare politiche per incentivare le nascite. La preoccupazione per il calo demografico non può giustificare l’adozione di politiche che riducano l’accesso ai contraccettivi o all’aborto, avverte il Rapporto.
Un contributo importante alla stabilità demografica di un Paese potrebbe essere dato dall’immigrazione, che spesso genera preoccupazioni legate alla perdita di posti di lavoro o all’aumento della criminalità, arrivando alle teorie su una possibile “sostituzione etnica”.
Il Rapporto propone quindi di adottare politiche per supportare la genitorialità, creare ambienti lavorativi più inclusivi per donne e migranti e coinvolgere le persone anziane nella vita sociale.