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Randstad: crisi dell’offerta di lavoro al 2030 e al 2050, intervenire sull’inattività

Il tasso di occupazione italiano è più basso della media europea, perché un'ampia fascia della popolazione è esclusa dall’attività produttiva. Occorre puntare su formazione, riduzione del lavoro in nero e invecchiamento attivo.

di Flavio Natale

Come indirizzare (o reindirizzare) l’inattività lavorativa del presente e del futuro? Il rapporto dell’agenzia per il lavoro Randstad research Italia, pubblicato il 19 aprile, dal titolo “gli inattivi: il lavoro non dichiarato, l’invecchiamento attivo, la sostenibilità al 2030 e al 2050” prova a rispondere a questa complessa ed eterogenea questione, spesso di difficile inquadramento. Sotto il cappello dell’inattività lavorativa rientrano infatti due differenti tipi di inattività. Quella “positiva” che riguarda lo studio e la formazione, il tempo dedicato al supporto della famiglia, al volontariato, alle attività di sport e cultura, alla vita sociale e al benessere in generale. E quella “negativa” che riguarda gli ostacoli nella transizione dallo studio al lavoro, l’esclusione o l’uscita forzata dal mondo dell’occupazione, il delicato passaggio al periodo di pensionamento (particolarmente difficile per chi preferirebbe continuare a lavorare), le varie forme di disabilità e fragilità, lo scarso desiderio di contribuire attivamente alla società. Saper gestire e veicolare verso migliori lidi questo genere di inattività è uno snodo cruciale per il mercato lavorativo dei prossimi anni, sia dal punto di vista economico che di coesione sociale. Per questo Randstad ha elaborato una serie di scenari, desiderabili o meno, tra inattività e attività lavorativa, da qui al 2030 e 2050. 

Occupazione

Partiamo dal tema più caldo: l’occupazione. Secondo Randstad, lo scenario più temuto è quello che riguarda il “futuro collo di bottiglia sul mercato del lavoro a causa del calo demografico”. Con una previsione al 2030, se in Italia i tassi di occupazione resteranno invariati l’offerta di lavoro diminuirà del 5,4%; se invece i tassi di occupazione convergeranno verso la media europea l’Italia non subirà un calo, ma anzi un aumento, sempre al 2030, del 10,3%. Per non parlare del +23,5% che il nostro Paese raggiungerebbe qualora convergesse verso i livelli di occupazione tedeschi (o del +29,2% se si orientasse verso quelli svedesi).

Lo scenario al 2050 per un’Italia con tassi di occupazione invariati è ancora più drammatico: si parla di un calo dell’occupazione del 21,2%, con un miglioramento solo in caso di allineamento con le realtà europee più virtuose. Questo calo andrebbe in particolare a colpire le fasce d’età comprese tra 35 e 55 anni. “Sono esercizi del tutto teorici”, dicono da Randstad, “ma che indicano come l’ignorare i nodi dell’inattività abbia un costo prospettico molto elevato”.

Il lavoro non dichiarato

Altro tasto dolente del nostro Paese riguarda il lavoro in nero. A oggi sono 2.600mila le lavoratrici e i lavoratori non dichiarati in Italia: un livello che, se non supera di molto la media europea, è di gran lunga superiore a quello di Germania, Francia e Spagna. Si tratta di un dato molto rilevante, non solo per la dimensione del lavoro in nero, ma anche perché il recupero dell’evasione fiscale e contributiva potrebbe portare maggiori investimenti nella situazione occupazionale, nel sistema previdenziale e nella formazione di nuove competenze.

Secondo Randstad, la chiave per uscire dal “circolo vizioso di bassa crescita e bassa produttività” in cui si è impantanata l’Italia negli ultimi trent’anni sta proprio nella promozione della relazione tra innovazione e nuove professioni. Anche per questa ragione bisognerebbe “invertire radicalmente la tendenza a tagliare le spese per l’istruzione”, rilanciando la formazione permanente, rivolta tanto agli attivi quanto agli inattivi.

Longevità, problema o soluzione

Altro tema attuale, e che diventerà sempre più centrale in futuro, riguarda l’aumento prospettico del numero degli anziani nel nostro Paese. Gli ultrasettantenni italiani sono destinati ad aumentare da qui al 2030 e al 2050 (oggi sono 10,5 milioni, saranno 11,5 milioni nel 2030 e 15,4 milioni nel 2050). Secondo Randstad bisogna quindi prevedere forme di invecchiamento “attivo” che non si limitino a fornire una pensione, ma che coinvolgano gli anziani, come già accade in altri Paesi, in forme di partecipazione e coesione sociale utili alla comunità.

Questo “invecchiamento attivo” si sviluppa però con disparità tra uomini e donne. Secondo i dati forniti da Randstad, in quasi tutte le regioni italiane le donne hanno un indice di invecchiamento attivo peggiore di quello degli uomini: il gender gap più elevato si registra in Calabria (7,8 punti tra uomini e donne), così come in Puglia (7) e in Abruzzo (6,9). I gap di genere minori li ritroviamo invece in Valle d’Aosta (con un gap pari a 0), nella provincia di Bolzano (1,8) e in Liguria (2).

Per migliorare la condizione degli inattivi non bastano quindi gli investimenti e gli incentivi, ma bisogna capire come si entra (ed esce) dagli stati di inattività, quali sono le ragioni sociali, economiche, politiche dietro questo fenomeno, per guardare al futuro con un occhio meno impreparato.

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lunedì 24 aprile 2023