Come preservare il 30% degli oceani entro il 2030, secondo Enric Sala
L’ecologo marino spiega durante un Ted le basi della sua proposta, già supportata da numerose nazioni, tra cui l’Italia. Serve un equilibrio tra biodiversità, pesca e cattura del carbonio per attivare il rewilding della Terra.
di Flavio Natale
“Dobbiamo lasciare alla natura lo spazio di cui ha bisogno, in modo che possa continuare a sostenere la nostra esistenza”. Enric Sala, ecologo marino, ha raccontato durante un Ted l’importanza delle attività di rewilding, ossia degli sforzi volti a ripristinare e proteggere i processi naturali e le aree selvagge. “Ho visto paesaggi oceanici un tempo lussureggianti ridotti a deserti sottomarini”, ha detto Sala, ricordando però anche che, grazie alle riserve naturali, ha assistito “al potere dell’oceano di ringiovanirsi, rigenerando ecosistemi che avevano perso le loro qualità essenziali”.
Sala ha quindi esposto il suo progetto, “30x30”, nato nel 2018 e supportato dal National Geographic e della Wyss Campaign for Nature (organizzazione che riunisce investimenti per 1,5 miliardi di dollari, volti ad aiutare le comunità, i popoli indigeni e le nazioni a riportare il 30% della superficie del pianeta, entro il 2030, al suo stato naturale). “30X30” è, dunque, un piano globale per proteggere il 30% della superficie terrestre e dei fondali oceanici entro il 2030: l’obiettivo è condiviso da molte nazioni (tra cui l’Italia), ed è stato sostenuto anche durante la COP15, tenutasi in ottobre a Kunming. “Per progettare quest’iniziativa ho lavorato con un team di scienziati ed esperti”, ha detto l’ecologo, “e ci siamo concentrati su tre settori: biodiversità, pesca e cattura del carbonio”. Se questi obiettivi vengono isolati, ha spiegato Sala, si incorre in trade-off negativi (concentrandosi esclusivamente sulla biodiversità, ad esempio, si andrebbe a danneggiare il mercato della pesca). “Per risolvere questo problema, abbiamo ipotizzato di assegnare lo stesso peso a questi tre settori: il risultato? Potremmo proteggere il 45% della superficie oceanica e terrestre, massimizzando i benefit”. I ricercatori hanno poi dichiarato che, anche se non si riuscisse a raggiungere questa percentuale, c’è una soglia da cui partire: il 30% del pianeta, “l’area minima che dovremmo proteggere per preservare i nostri ecosistemi”.
Sala ha continuato sottolineando che “solo con questa percentuale potremmo essere capaci di catturare il carbonio necessario a contenere l’aumento della temperatura”. Gli alberi, le praterie, le mangrovie e oceani in salute costituiscono infatti “la migliore e più efficiente tecnologia per rimuovere la CO2 dall’atmosfera”.
Naturalmente, queste azioni devono essere coadiuvate da un uso più razionale e sostenibile delle risorse. “30x30” vuole a questo proposito coinvolgere, oltre alle nazioni, le comunità locali e le popolazioni indigene, “che si sono dimostrate capaci, negli anni, di prevenire la perdita di biodiversità molto più efficacemente dei metodi che usiamo convenzionalmente”. In questo modo, si favorirebbe anche la crescita e la preservazione di popoli indigeni locali.
“Uno studio ha detto che per proteggere il 30% del nostro Pianeta sarebbero necessari 140 miliardi di dollari all’anno, ma questa è solo una frazione del denaro che i governi investono per attività che inquinano il nostro pianeta”, ha concluso Sala. “Dobbiamo invertire il flusso dei soldi, spostandoli dai progetti che finanziano la distruzione dell’ecosistema a quelli che lo preservano”.
di Flavio Natale