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Alec Ross al Next generation labour: “Il codice del computer è l’alfabeto del futuro”

Si è svolto il 12 e 13 novembre il Next generation labour, uno dei tre appuntamenti dell’European FeltrinelliCamp. Al centro del dibattito la rivoluzione digitale e gli effetti sul mercato del lavoro.

di Flavio Natale

“Se non gestita adeguatamente, la tecnologia può produrre bolle sociali e accelerare processi di dualizzazione del mercato del lavoro o di esclusione dallo stesso”. Questo si legge nel documento di presentazione del Next generation labour, parte del ciclo di incontri organizzato dalla Fondazione Feltrinelli sui trend economici e sociali che caratterizzeranno il prossimo futuro. La tecnologia, infatti, rischia di produrre “enormi fortune per una piccola manciata di grandi società”, generando asimmetrie pericolose per la stabilità della democrazia e per la coesione sociale. “Al contrario, la gestione della rivoluzione tecnologica dovrebbe, da un lato, prendere in considerazione politiche attive di lavoro; dall’altro, progettare nuove forme di protezione per tutte le parti sociali che non possono accedervi”. Lo scopo di questi incontri è stato proprio quello di elaborare e approfondire proposte per ripensare le politiche attive del lavoro, favorendo l’incontro tra domanda e offerta attraverso un mercato meno polarizzato e più inclusivo.

“Il codice del computer è l’alfabeto in cui sarà scritto gran parte del futuro”. Alec Ross, autore del best seller I furiosi anni venti, professore presso la Bologna business school e Feltrinelli Chair 2021, ha aperto così il suo intervento durante una delle sessioni del convegno. “Chi non sarà in grado di usare questo linguaggio, sarà costretto a vivere su un’isola, scollegata dal resto del mondo”. Ross espone nel suo intervento alcuni dati: secondo il professore, infatti, nel 2016 esistevano 17 miliardi di dispositivi connessi, mentre oggi se ne contano 37 miliardi, e in quattro anni questo numero raddoppierà di nuovo. “Cosa significa? Che la base dell’economia è cambiata: da industriale a digitale. Stiamo trasformando un numero sempre maggiore di settori”. Ross sottolinea poi un altro dato importante, che riguarda il rapporto tra automazione e lavoro. Secondo il professore, nel 2018 il 71% del lavoro era eseguito dagli esseri umani, mentre il 29% dalle macchine. “Dalla fine del prossimo anno questa percentuale cambierà”, avverte Ross. “Il lavoro umano scenderà dal 71% al 58%, mentre quello delle macchine salirà al 42%”. Il 2025, secondo Ross, sarà il primo anno in cui le macchine lavoreranno più degli umani, in un rapporto che sarà probabilmente 48% - 52%. “Il gap tecnologico sarà una questione fondamentale per capire se un Paese come l’Italia avanzerà o arretrerà nel prossimo decennio”.

“L’evoluzione si svolgerà sui terreni della connessione, della robotica e dell’automazione”, ha sottolineato Alberto Baban, presidente di Venetwork. “Siamo passati dall’internet of things all’internet of everything, e quando si dice ‘internet di qualsiasi cosa’ vuol dire che siamo già passati dall’altra parte, e che il fenomeno è molto difficile da definire”. Per questa ragione, secondo Baban, bisogna vivere la relazione di velocità con il futuro “con una certa contemporaneità”, non concentrandosi su infruttuosi paragoni con il passato, ma andando a studiare quelle zone del mondo più reattive al mutamento tecnologico, vero campo di gioco su cui si testerà la forza delle economie emergenti. “E poi c’è un fenomeno molto importante: quello dello shortage delle materie prime”, ha dichiarato Baban. “Questa scarsità definirà una geografia economica molto diversa nei prossimi anni”. Baban ha infine focalizzato l’attenzione su due dinamiche divergenti riguardo alla transizione digitale: una conservativa, che resiste al cambiamento, e una propositiva, che lo favorisce. Questo approccio, per il presidente di Venetwork, ha una relazione diretta con il trend demografico nazionale. “È abbastanza normale pensare che Paesi demograficamente vecchi siano più conservativi, mentre quelli più giovani desiderino sperimentare di più. Bisogna capire qual è la nuova dimensione in cui agire: perché la cosa peggiore, in questa economia così veloce, è diventare dei follower”.

Cinzia Maiolini, responsabile ufficio lavoro 4.0 della Cgil, risponde però che “il punto non è se, come Paese, vogliamo essere vincenti o follower. Non dobbiamo più ragionare in termini di nazionalità, ma di globalità, soprattutto quando si tratta di diritti delle cittadine e dei cittadini”. Maiolini fa ad esempio notare che il sindacato italiano si sta interrogando da tempo su come “contrattare l’algoritmo”, ovvero comprendere i bisogni per cui si promuove la digitalizzazione, gestendone le possibili conseguenze. “Il nostro Paese, in Europa, è tra quelli che dovranno fare gli investimenti più ampi”, ha sottolineato Maiolini. “Ma bisogna provare ad avere dei percorsi partecipati di trasformazione. Si tratta di un grande cambio di paradigma, sociale e produttivo”. Secondo Maiolini, infatti, la digitalizzazione può portare a una “sperequazione ulteriore”, o invece affinare i diritti e metodi di lavoro, con il supporto anche della realtà virtuale o aumentata. “La trasformazione del lavoro non deve però significare meno posti, ma un diverso modo di lavorare e diverse occupazioni”. Per raggiungere questo obiettivo, è importante ridurre il gap della formazione. A oggi, secondo Maiolini, 13 milioni di cittadini italiani hanno livelli di istruzione bassi: “Bisogna dare a tutti gli strumenti per mantenere, e implementare, gli attuali standard di occupazione. Il percorso di formazione è un elemento su cui il nostro Paese deve fortemente investire”.

di Flavio Natale

mercoledì 17 novembre 2021