I giovani, abbandonati dall'incapacità di capire e di investire
Le nuove generazioni, in balia degli avvenimenti internazionali, sono cadute nel precariato. Servirebbe una risposta lungimirante, ma le scelte del sistema politico non sanno guardare al lungo periodo.
Non c’è stato rispetto per la sostenibilità in quello che è stato fatto negli ultimi 20 anni, per incapacità di diagnosi e per superficialità.
Il tema è davvero importante, perché riguarda i giovani di oggi e di domani. Non ci si rende conto dei guai che si sono innescati - non certo per responsabilità dei giovani - e quindi non è stato avviato alcun rimedio. Ed è un problema molto importante, sia per la sostenibilità che per i giovani, non dimenticando che i giovani sono il futuro del Paese, e a maggior ragione su di loro andrebbe fatto il massimo investimento.
Purtroppo in tutto quello che si fa c’è solo tattica, e non strategia. La cultura che ci sta guidando è molto condizionata dalla logica innescata dalla finanza, che dà priorità soprattutto al breve periodo: tutti quelli che prendono decisioni sono condizionati da questa logica.
Circa i giovani, due sono i temi fondamentali dei quali si desidera parlare. Sono inquadrabili come:
- il "guaio continuativo” che accompagna da anni la vita sociale, senza che ci si renda conto delle conseguenze;
- il "guaio episodico” che si è innescato più recentemente, aggravando il primo.
Il guaio continuativo
È un evento che si è avviato - in realtà positivamente - circa 20 anni fa, consentendo di uscire per la prima volta nella storia da una totale paralisi culturale, ma che è incorso in un grave errore: si è interrotto prima di arrivare al completamento, creando problemi nuovi, che non si erano mai verificati. Il grande guaio è che sono problemi non diagnosticati, e quindi non sono pianificati rimedi. E i guai tendono ad aumentare a dismisura.
Fino a 20-25 anni fa la grande maggioranza degli italiani era in uno stadio culturale sostanzialmente azzerato. Non erano “individui”, ma “masse”, caratterizzate da totale assenza dei due requisiti fondamentali per dare protagonismo completo alla propria esistenza.
Il primo requisito è l’acquisizione della propria “individualità”. La condizione per riuscirci è completare almeno le scuole medio superiori. È la condizione base per scoprire se stessi, e per acquisire il senso critico: capire, saper giudicare. Questo è il primo pilastro della propria esistenza.
Arrivati a questo stadio, che è comunque primario e fondamentale, la centratura è però solo su se stessi. Verso gli altri c’è ancora estraneità: la percezione della loro indispensabilità, della relazionalità positiva per tutte le forme di vita, non c’è ancora.
Per raggiungere questo secondo stadio, che porta alla percezione dell’indispensabilità degli altri, e della relazionalità, bisogna acquisire l’etica, Il senso civico, il rispetto totale degli altri, capire che “gli altri” rappresentano l’ingrediente fondamentale per la propria esistenza. Ma questo è un traguardo che nella norma non si raggiunge a questo livello di studi: è necessario continuare a studiare, completare la formazione.
Che cosa è successo in questi 20-25 anni? Un fatto eccezionale: gli italiani che hanno completato le medie superiori sono passati dal 20% a oltre il 70%.
Ma ben pochi hanno proseguito gli studi. Ricordandoci anche che il completamento degli studi porta ad acquisire capacità di resilienza, di avere piena coscienza di sé, delle proprie capacità; costruisce in qualche senso la capacità di gestione della propria imprenditorialità.
I giovani non hanno avuto responsabilità per questa interruzione. Le risorse delle famiglie sono mancate, e il sistema politico non ha capito che questi giovani non potevano essere abbandonati: erano (e sono) l’unica vera ricchezza prospettica del Paese, e su di essi vanno pianificati i massimi investimenti.
La grande maggioranza dei giovani è entrata nell’adultità solo con uno dei due requisiti: l’aver trovato il “se stesso”, senza il completamento dell’acquisizione “degli altri”, dell’”etica”. Quindi gente totalmente centrata su se stessa, e senza la percezione del non completamento della formazione.
Quindi diversamente dalle precedenti generazioni, e per la prima volta, si è entrati nell’adultità con la convinzione di poter giocare il proprio protagonismo, di partecipare, di essere inclusi.
Ma ciò purtroppo non si è verificato: non solo non si avevano i requisiti completi per essere protagonisti, ma il periodo che si è attraversato è stato caratterizzato da eventi complessi a livello internazionale, che hanno avuto forti conseguenze anche in Italia: globalizzazione (con problemi per l’economia occidentale), crisi finanziarie del 2007 e del 2009.
In altri temini, questi giovani, in balia di questi avvenimenti, e senza una completa preparazione, sono caduti nel precariato. Le loro illusioni sono svanite. Ma non hanno accettato questa disavventura. La centratura su se stessi è rimasta alta, come pure la pretesa di partecipare e di essere difesi, di riuscire a mantenere le priorità che le illusioni avevano portato.
Tutto questo ha fatto nascere una nuova fenomenologia sociale: la centratura su se stessi, la contrapposizione sociale, il populismo. E una delle conseguenze più drammatiche della chiusura, e centratura su se stessi, è stato il progressivo disinteresse verso i problemi della società in generale, a cominciare da tutti i problemi della sostenibilità.
La sostenibilità, cioè l’assunzione di responsabilità anche per il benessere complessivo delle future generazioni, non appartiene alla loro cultura. Il loro obiettivo primario è il proprio benessere adesso, e non il futuro degli altri. Il distanziamento dalle problematiche sociali è crescente, come pure è crescente il loro disagio esistenziale. L’elastico sociale si sta tendendo in modo molto preoccupante.
Ma, si ribadisce, loro non ne hanno colpe. Erano masse non pensanti fino a 20-25 anni fa, come lo sono stati da sempre. A un certo punto è stata fatta prendere loro una sorta di “funivia per arrivare al belvedere della vita”. Ma poi è successo che la fune si è spezzata prima di arrivare, e loro sono precipitati.
Ma con quale colpa?
Il guaio episodico
L’acquisizione della relazionalità con gli altri è l’elemento essenziale della vita. Guai negarla, e guai interromperla. La vita è il “noi”: senza la relazione positiva tra parti complementari non nasce nulla (a cominciare dalla vita umana). La relazionalità è l’obiettivo primario del momento in cui si costruisce la vita, che è il momento dell’adolescenza e dell’ingresso nell’adultità. È quindi l’obiettivo sia del giovanissimi, che dei giovani-adulti. Guai ostacolarla, e a maggior ragione guai interromperla.
La pandemia esplosa nel 2020 è stata una fenomenologia non nuova nella storia, ma al di là dei farmaci nuovi (vaccini), è stata adottata anche una “terapia nuova”, che però non fa parte della nuova tecnologia acquisita: il lockdown.
Non si hanno certezze, ma è possibile che il lockdown abbia in qualche misura contribuito a limitare i danni. Tuttavia sono certi i guai mentali che il lockdown ha provocato. Le ricerche sociali lo dimostrano. L’isolamento relazionale – per un periodo particolarmente protratto - imposto con il lockdown ha creato problemi molto importanti, soprattutto nella parte giovanile.
Lo stato d’ansia e il senso di solitudine, il nervosismo, la tristezza, hanno colto in modo decisamente significativo i segmenti giovanili, presso i quali la relazionalità fisica è invece, un ingrediente basico della crescita e della stabilità emozionale. Un problema che ha lasciato segni forti, peraltro misurati, non di facile e rapida soluzione. E ciò soprattutto presso i segmenti in qualche modo «conduttori» dell’area giovanile, cioè la parte più protagonista. Le conseguenze sono state: isolamento, chiusura, centratura su di sé, attenzione solo al breve periodo, al proprio benessere il più possibile immediato: chiusura a una futura famiglia, no figli (segnali già molto evidenti ci sono).
Che prospettive hanno, dunque, i giovani, travolti contemporaneamente dal guaio continuativo, senza che nessuno l’abbia percepito e abbia programmato soluzioni, e da quello episodico, senza che nessuno lo abbia capito, né tanto meno misurato? Resta anche da chiedersi quali prospettive abbia il Paese, il cui futuro è affidato a questi giovani “abbandonati”, senza che nessuno con la capacità di capire la gravità di questo abbandono sia mai intervenuto.