Pubblica amministrazione: troppo poche le donne ai vertici
Mentre il governo attua tra molte polemiche lo spoil system, ci si interroga su come favorire le carriere femminili.
di Annamaria Vicini
La Pubblica amministrazione è donna ma non lo è la sua dirigenza: se infatti il personale è per il 58% di genere femminile, solo il 36% sono le dirigenti donne e ancor meno (il 27%) quelle che ricoprono l’incarico di direttore generale.
Se ne parla in un momento in cui montano le polemiche per lo spoil system che il governo in carica sta cominciando ad attuare: diverse le teste cadute, da quella del dirigente dell’Aifa Nicola Magrini, a quella del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini (un avvicendamento questo che non rientra tecnicamente nella legge Bassanini), alla sostituzione di Alessandro Rivera con Riccardo Barbieri Hermitte al vertice del ministero dell’Economia. E se quest’ultima era, com’è ovvio, la nomina più attesa, il grosso però deve ancora venire: sono alcune decine le poltrone ancora in bilico, anche se non si escludono possibili riconferme come è avvenuto con Biagio Mazzotta nel ruolo di Ragioniere generale dello Stato.
In questo contesto Fortune Italia ha organizzato un dibattito molto interessante sul rapporto tra donne e Pubblica amministrazione, con l’obiettivo di capire come ovviare a quel gap così sbilanciato tra base e vertice della piramide.
Per Patrizia Ravaioli, che ricopre l’incarico di direttore generale Formez ed è presidente dell’Associazione donne leader in sanità, “occorre garantire percorsi di carriera alle lavoratrici di sesso femminile”, mettendole in condizione di superare le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia.
E come? Nel mirino, soprattutto da parte dell’unico uomo partecipante al dibattito, Antonio Naddeo, presidente dell’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni), l’organizzazione del lavoro che renderebbe difficile proprio quella conciliazione con orari di lavoro prolungati all’inverosimile e riunioni in orari serali quando non addirittura notturni.
Viene da chiedersi perché dovrebbero essere solo le donne a dover conciliare i carichi di lavoro con gli impegni familiari, ma purtroppo va preso atto che ancora oggi la realtà è di una non equa suddivisione dei compiti tra i coniugi dovuta sia a fattori culturali che a differenze salariali a vantaggio del lavoro maschile.
Superare questi ostacoli non è solo “un problema di equità, ma anche di convenienza”, ha sottolineato Raffaella Saporito, Associate Professor presso SDA Bocconi. Non solo perché ricerche internazionali hanno dimostrato come il Pil nazionale cresca al crescere di una maggiore e più qualificata partecipazione femminile al mondo del lavoro, ma anche perché “quando le donne ricoprono ruoli di responsabilità portano un punto di vista complementare, rivelando una maggior sensibilità su temi quali salute, benessere, istruzione”.
Non di sola organizzazione però si tratta. C’è anche un tema di potere e di difficoltà per le donne ad accedervi, secondo Daniela Carlà, dirigente di prima fascia presso il ministero del Lavoro. Perché se è vero che ai livelli dirigenziali più bassi si accede solitamente per concorso e quindi è più facile giocarsela alla pari con i colleghi, per i livelli più alti è necessario “frequentare quella specie di zona grigia che fa da cerniera tra Pubblica amministrazione e politica”, attività a cui la componente femminile è poco assuefatta.
Ma la Pubblica amministrazione non è amica nemmeno delle giovani generazioni: la palla è stata lanciata nell’arena dalla conduttrice del dibattito, Patty Torchia di Fortune Italia. Perché se è vero che occorrerebbero più donne ai piani alti, sarebbe anche molto utile una maggior presenza maschile in quelli inferiori. Un esempio per tutti è la femminilizzazione dell’insegnamento soprattutto nella scuola dell’infanzia e nella primaria, che certo non giova a un’educazione equilibrata dei bambini e nuoce al prestigio di un lavoro così importante per la società.
E qui si evidenzia un problema nella comunicazione, come ha sottolineato Raffaella Saporito, perché servirebbe “una diversa narrazione, che presentasse la Pubblica amministrazione come l’insieme dei servizi che producono benessere per la collettività”, tema a cui le giovani generazioni di entrambi i sessi sono particolarmente sensibili.
La great resignation, la “grande fuga” dal lavoro dipendente soprattutto nelle aziende di maggiori dimensioni, ha mostrato quanto i giovani siano alla ricerca di un lavoro che non serva solo a produrre valore economico ma anche un significato per la propria esistenza, mentre il successo del fenomeno startup ha evidenziato il desiderio di un’attività in cui essere protagonisti.
Insomma un dibattito con tanta carne al fuoco e qualche proposta di miglioramento: oltre a modificare l’organizzazione rendendola più compatibile con i carichi familiari, si potrebbe rendere le procedure concorsuali più trasparenti e maggiormente premiali delle competenze o, nel caso delle nomine “politiche”, inserire l’obbligo di motivazione della scelta con riferimento al curriculum.
L’importante, ha esortato Daniela Carlà, è “partire dai risultati acquisiti, perché con le urgenze attuali non ci si può permettere di ricominciare sempre da zero”.