Salcerini: “Automazione e sostenibilità cambieranno la logistica. Sul lavoro niente allarmismi”
Intervista all’ad di Toyota Material Handling Italia: la richiesta di nuove competenze, il modello Società 5.0 con Woven City, il futuro dell’auto tra litio e idrogeno. E una nota personale sulla responsabilità verso le generazioni future.
“La logistica è un settore fondamentale, ha un’incidenza economica altissima su qualunque merce. Ma l’intralogistica, quella che movimenta le merci dentro i siti produttivi o logistici, nella maggior parte dei casi viene ancora svolta come qualche decennio fa, un carrello elevatore e un carrellista che lo guida. Qualcosa però sta cambiando”, dice Leonardo Salcerini, amministratore delegato di Toyota Material Handling Italia, la divisione del Gruppo dedicata alla movimentazione merci e alla logistica avanzata.
Che cosa?
Il primo segnale positivo è la riduzione dei mezzi diesel. In Italia ormai rappresentano meno del 5% del totale carrelli nuovi, un declino irreversibile. Il secondo è l’automazione. Siamo indietro rispetto ad altri Paesi, pensiamo ad Amazon e a tutte le grandi multinazionali che hanno sistemi di logistica molto avanzati, prevalentemente automatizzati. Ma i segnali sono incoraggianti. C’è un aumento notevole di investimenti, dovuto anche alle politiche industriali 4.0 e 5.0, ma non solo. La sensibilità degli imprenditori sta aumentando notevolmente. Le aziende cominciano a capire che l’automazione riduce errori e sprechi, aumenta la sicurezza e ottimizza le movimentazioni. E soprattutto incide sulla competitività.
Quando vede questa trasformazione?
Io la vedo nel breve periodo, non nel 2050. Molte aziende stanno cominciando a lavorare seriamente sull’automazione, Toyota è una di queste, e stanno crescendo in maniera importante. Quando sul mercato arrivano tante imprese che investono, significa che il mercato è effervescente. Certo, molto dipenderà dagli incentivi fiscali, che incidono parecchio. Ma io sono ottimista, anche per un fattore di competitività. Abbiamo fatto analisi in vari settori, soprattutto nel food and beverage, e rileviamo che oggi l’incidenza della produzione sul costo del prodotto è inferiore al 10%, mentre quella della logistica oscilla tra il 20 e il 25. È inevitabile: per restare competitivo devi investire in questa direzione. Per questo sono convinto che nei prossimi cinque anni vedremo trasformazioni importanti.
E il lavoro? L’automazione e l’AI, come nel caso dei tagli annunciati da Amazon, rischiano di ridurre strutturalmente l’occupazione nella logistica?
Parliamo di una manodopera poco qualificata. Fare il carrellista o il facchinaggio non richiede grossa qualificazione. Quindi sì, l’automazione porterà a una riduzione della manodopera. Ma non la vivrei come un dramma. Primo, in Italia già oggi facciamo fatica a trovare personale disponibile a fare questi lavori. Secondo, il calo demografico è reale. La Società 5.0 in Giappone è stata pensata proprio per due motivi, meno forza lavoro disponibile e più anziani che hanno bisogno di servizi. Noi non siamo diversi dal Giappone, anche da noi l’offerta di manodopera sta diminuendo.
Questa riduzione sarà compensata da nuove competenze?
Sì, inevitabilmente. Ci sarà una richiesta crescente di figure più qualificate: softwaristi, programmatori, tecnici. Certo, un mulettista difficilmente può essere riqualificato per quei ruoli, ma allo stesso tempo quei posti oggi sono già difficili da coprire. Avremo uno spostamento verso altre figure, è una compensazione naturale.
Lei ha citato Società 5.0. Che cosa rappresenta per il Giappone?
È un progetto introdotto dal governo ma che coinvolge tutti, cittadini, musei, teatri, servizi pubblici. Io stesso ho visitato dei musei che hanno completamente ripensato l’esperienza, non più teche e cartellini, ma spazi accessibili e comprensibili da chiunque. Toyota ha fatto un passo ulteriore con Woven City, la città laboratorio a emissioni zero costruita alle pendici del Monte Fuji che proprio qualche giorno fa ha accolto i primi duemila residenti, arriveranno a tremila alla fine di questa prima fase. Poi è chiaro che se la cosa funziona diventeranno sicuramente di più. Ma c’è un altro progetto poco conosciuto che mi ha colpito, quello di Toyota Home. Toyota è attiva in 17 settori industriali e Toyota Home, azienda attiva in uno di questi, costruisce case fino a cinque piani completamente prefabbricate, antisismiche, con impianti già integrati. Io ne ho viste alcune nello showroom, villette da 200-250 metri quadrati. La casa viene costruita in 90 giorni e installata in otto ore, è impressionante. Perché nasce questa idea? Per dare soluzioni rapide a chi deve trasferirsi, magari per motivi di salute o difficoltà motorie. È una risposta concreta ai temi della Società 5.0. Non so quanto questo modello sia replicabile in Italia, con i nostri standard faccio fatica a immaginarlo, ma gli spunti sono tantissimi.
Sebbene non sia direttamente il suo settore, come vede il futuro dell’auto elettrica?
Toyota non crede che ci sia un’unica soluzione per la mobilità. Pensare che tutto il mondo possa diventare full electric, oggi, è impossibile. Il motivo è semplice, il litio è una risorsa scarsa, e i Paesi che autorizzano l’apertura di miniere sono pochissimi. Anche ammesso di aprirle, servono sette anni per andare a regime. La scorsa estate abbiamo bloccato gli ordini di Lexus per due mesi proprio per mancanza di materia prima. Questo dà l’idea del problema. Per questo Toyota ha puntato sull’ibrido, un vero ibrido, non uno start&stop, e sull’idrogeno. La Mirai è stata la prima auto a idrogeno vent’anni fa. Idrogeno più elettrico, con emissioni zero. L’idrogeno verde comporta dispersioni energetiche, è vero, ma è anche una scelta di ricerca e una provocazione positiva. Insomma, il full electric arriverà, ma non deve dipendere interamente dal litio. Finché non esisterà una batteria alternativa, Toyota continuerà a investire su più tecnologie in parallelo. Anche per questo ritengo che il Green Deal europeo sia stato troppo frettoloso, infrastrutture e risorse non sono pronte.
Toyota Material Handling Italia è partner strategico della prima ora di Ecosistema Futuro. Che cosa porta un manager con una lunga carriera industriale a occuparsi così da vicino di futuro e sostenibilità?
È una sensibilità personale, non manageriale. Ho tre figli, osservo i cambiamenti, soprattutto quelli negativi, e mi chiedo che mondo lasceremo. Sono cresciuto in campagna e questo mi ha dato un’attenzione ambientale particolare. Occupandomi un po’ recentemente anche di agricoltura, vedo cosa stanno provocando i cambiamenti climatici. Per me è evidente che serva un mondo più sostenibile. E faccio un esempio che non c’entra nulla con la logistica, ma dice molto. Vengo dall’Alta Valle del Tevere, dove si coltiva tabacco, scenario che conosco bene, quindi posso dire che mi pare folle che l’Unione europea continui a dare incentivi per produrre tabacco, che consuma enormi quantità d’acqua, inquina i terreni e non prevede rotazioni. Il grano spesso si produce in perdita, mentre il tabacco, con gli effetti che ha sulla salute e sull’ambiente, è incentivato perché porta enormi entrate fiscali. È un paradosso, ed è il segno di come troppo spesso l’interesse economico prevalga su quello ambientale.