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Un nuovo ruolo dei corpi intermedi per un’intelligenza artificiale sociale

Papa Leone XIV offre il patrimonio della dottrina sociale della Chiesa per rispondere alle domande poste dalla rivoluzione dell’Ai. I corpi intermedi possono impegnarsi per rinnovare il loro ruolo e favorire la nascita di un’intelligenza artificiale sociale.

venerdì 30 maggio 2025
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Il nuovo Papa, riferendosi alla scelta del nome di Leone XIV, ha detto di averlo scelto “principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale”. Oggi, dice il Pontefice, “la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un'altra rivoluzione industriale, e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”.

Ma Leone XIII, affrontando i grandi sconvolgimenti sociale della sua epoca, aveva anche sottolineato, già nella Quod Apostolici muneris (1878), l’importanza delle “società artigiane ed operaie”, reiterando tale attenzione anche nella Rerum novarum verso le “società particolari” e il diritto all’associazione che è naturale per l’uomo. 

Infatti, per fare fronte ai “fenomeni avversi” che colpivano la società nel suo passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, nell’ottocento nacquero i cosiddetti “corpi intermedi”, cioè tutte quelle entità (raggruppamenti) interpersonali che, come dice la dottrina della Chiesa, hanno lo scopo di “proteggere e integrare” la persona.[1]

I corpi intermedi erano dunque tutti quei soggetti associativi autorganizzati, che cercavano di integrare e tutelare le persone all’interno delle dinamiche di cambiamento che allora sconvolgevano le società che diventavano moderne.

Sono corpi intermedi i sindacati, le organizzazioni di volontariato, i gruppi di acquisto solidale, le misericordie, le cooperative e le mutue sanitarie, le organizzazioni del terzo settore, le ong e diverse forme di associazione di rappresentanza come le camere di commercio. Un mondo molto complesso e variegato che oggi in Italia vede partecipare oltre 15 milioni di persone ad attività finalizzate alla creazione di beni sociali.

Nel nostro Paese questo fenomeno si sviluppò con forza grazie al mondo cattolico con il “noi tutti[2] , che è stato utilizzato dalla “dottrina sociale” della Chiesa in relazione al bene comune, allo Stato, alla sussidiarietà, alla partecipazione, all’economia, al mercato etc.[3]  Ma anche grazie alla cultura della solidarietà e della partecipazione mutualistica di matrice socialista, realizzata dalle cooperative di lavoratori a quelle di consumatori, alle cooperative agricole, alle cooperative di abitanti e alle mutue sanitarie promosse dai sindacati dei lavoratori.

Nacquero allora tutti quei soggetti associativi che ancora operano autonomamente rispetto allo Stato e ai privati, nel campo educativo, della cura e dell’assistenza alla persona, nella difesa dei lavoratori, nel campo della salute, dei beni primari come quello della casa o dei beni di consumo alimentari e in moltissimi altri campi a supporto dei bisogni delle persone e delle comunità.

La stessa Costituzione italiana ne ha successivamente riconosciuto il ruolo. Sia all’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, che all’articolo 118: “Stato, regioni, Città metropolitane, province e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Nella seconda metà del novecento si è andato poi sviluppando in tutta Europa uno spazio destinato a un’economia più attenta ai bisogni non solo materiali delle persone, che è stata definita “economia sociale”.

L’economia sociale è un’area vasta, un vero e proprio ecosistema, che ha iniziato a raggruppare forme differenti dell’agire economico alternativo, ma con alcuni tratti comuni: la libera e volontaria adesione, la limitazione del profitto individuale, la valorizzazione del fattore umano e l’autonomia e l’indipendenza organizzativa.

Sono organizzazioni e imprese che hanno dimostrato una buona capacità nel colmare le lacune lasciate dallo Stato e dal mercato, e che si sono dimostrate innovative, adattabili e reattive ai bisogni delle comunità.

Negli ultimi decenni però questo vasto e variegato mondo, pur guadagnando un importante spazio nella società e nell’economia con le sue attività, è entrato in una crisi identitaria sotto i colpi della progressiva individualizzazione della società e della disintermediazione favorita dalle tecnologie digitali. Fenomeni che sono stati cavalcati dai diversi populismi comparsi negli ultimi anni, anche per depotenziare i corpi intermedi, e quindi disintermediare il rapporto con le persone, che si sono trovate sempre più sole, e per questo più fragili, a dover affrontare le trasformazioni in corso.

Oggi, dunque, seguendo anche l’aggiornamento della Dottrina sociale della Chiesa a cui fa riferimento il nuovo Papa Leone XIV, i corpi intermedi e le strutture dell’economia sociale possono ricoprire un ruolo molto importante nella “trasformazione digitale” della società, perché potrebbero dar voce a un nuovo “noi tutti digitale”, nella ridefinizione di senso di queste tecnologie, orientandole al soddisfacimento dei bisogni reali delle persone.

L’intelligenza artificiale per la sostenibilità

L’Europa deve difendere le regole e i principi della propria sovranità digitale e mettere a disposizione l’AI per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030.

Ecco dunque che sorge la necessità di immaginare un nuovo tipo di Ai rispetto al modello “tecnocapitalista” basato sull’espropriazione dei nostri dati digitali: un’intelligenza artificiale, ma con un anima sociale.

Un’intelligenza artificiale che tenga conto, incorporandoli nel proprio “Dna digitale” cioè, sia nella forma proprietaria dei mezzi tecnici, che nella sua governance, così come negli algoritmi che la animano, i principi dell’“umanità”. E che, sempre secondo le parole di Papa Francesco, “porterà più eguaglianza… favorendo l’ascolto dei molteplici bisogni delle persone e dei popoli”[4].

Se vogliamo orientare le tecnologie del futuro in direzione dei nostri bisogni e delle nostre aspirazioni, dobbiamo però farlo partecipando al cambiamento in maniera critica e attiva, esattamente come hanno fatto nel corso dell’‘800 e del ‘900 le persone che hanno dato vita ai corpi intermedi, in risposta ai cambiamenti introdotti allora dalla rivoluzione industriale.

Per fortuna noi oggi, a distanza di oltre centocinquanta anni, possiamo farlo senza bisogno di partire da zero, grazie allo sforzo di chi ci ha preceduto.

I corpi intermedi sono infatti delle reti di senso esistenti all’interno della società che, per essere efficaci di fronte al cambiamento, devono aprirsi a partire proprio dal loro ruolo di “sensori sociali”, per cercare di intercettare le nuove dinamiche e i nuovi bisogni che nascono con l’uso delle tecnologie digitali.

Questa apertura può partire proprio dall’utilizzo e dalla condivisione dell’enorme mole di dati, che sono l’”entità fondamentale” senza la quale le Ai non possono esistere e funzionare, che provengono dalla loro attività quotidiana in relazione con i loro associati e le loro comunità. Un enorme patrimonio, oggi per la maggior parte inutilizzato, fondamentale per lo sviluppo delle nuove tecnologie e in particolare dell’Ai sociale, e che si può ancora di più ampliare, dotando questi soggetti di una politica digitale all’altezza delle sfide.

C’ è insomma un immenso giacimento di dati e informazioni nel mondo dei corpi intermedi e dei soggetti dell’economia sociale, che sommato a quello delle istituzioni pubbliche, consentirebbe grazie alle tecnologie dell’Ai una serie infinita di correlazioni e soluzioni a molti problemi delle nostre società, creando le premesse per la creazione di un’enorme area di sperimentazione per la creazione di beni comuni digitali destinati al benessere delle persone.

Questa funzione di vera e propria “predizione sociale attiva”, può essere ben assolta dai corpi intermedi. proprio perché i fenomeni sociali a cui bisogna far fronte sono sempre più multifattoriali, e pertanto necessitano per la loro interpretazione di una sempre maggior quantità e qualità di dati e di una visione multidisciplinare e olistica.

Il professor Alex Pentland del Mit nel suo libro Fisica sociale spiega che “per raggiungere l’obiettivo dell’efficienza sociale nelle società iperconnesse del futuro è necessario un public data commons, capace di fornirci un quadro complessivo in tempo reale.”[5]

Questo potrebbe essere un grande progetto innovativo da realizzare con i corpi intermedi e le imprese dell’economia sociale: la creazione di un “public data commons” a partire dai dati sociali che sono già in loro possesso e tutti quelli che potranno essere recuperati in un’azione congiunta e partecipativa con i loro associati.

Ai corpi intermedi andrebbero anche affiancati, tutti i produttori del mondo della conoscenza e della ricerca pubblica, in primo luogo le università e gli attori istituzionali del sistema di ricerca di ricerca (Cun, Crui, Cnr, Conper etc.), dove ci sono enormi giacimenti di dati e conoscenze che dovrebbero essere messi a disposizione dell’ecosistema dei dati condivisi per la creazione di beni pubblici digitali. Tra l’altro molti degli algoritmi in uso per l’analisi dei dati sono stati sviluppati proprio da ricercatori universitari, e spesso sono già disponibili per tutti in open source. Inoltre le università hanno un importante asset che in Italia, come nel resto d’Europa, è pubblico, e sono i chip che servono per la potenza di calcolo dell’Ai.

Attraverso un nuovo “patto sociale digitale” si potrebbe quindi immaginare una nuova forma di “compartecipazione” all’utilizzo e alla condivisione dei dati – tra capitale, lavoro e consumatori – come base condivisa per l’utilizzo delle nuove tecnologie del futuro. In questo modo i benefici andrebbero a tutti e sarebbero ripartiti in maniera più equa.

Il presupposto legislativo ci viene oggi dalle diverse e lungimiranti norme che definiscono lo “spazio digitale europeo” in sintonia e armonia con i diritti della persona sanciti nei trattati dell’Unione, a partire dalla possibilità di disporre di una copia dei nostri dati digitali detenuti da qualunque piattaforma digitale (art 20 Gdpr) e di poterne disporre liberamente per metterli, tramite gli “aggregatori dei dati “ (Dga), a disposizione di ulteriori soggetti per realizzare finalità da noi determinate, sia di carattere profit che non profit (altruismo dei dati). Si tratta di un imponente e innovativa regolazione (che si completa con il Data Act; l’Ai Act; il Dma e il Dsa; etc.) che identifica uno spazio digitale europeo democratico che va tutelato da chi, come l’amministrazione Trump, vuole superarlo a vantaggio delle imprese dei tecnocapitalisti, ma che deve essere messo a frutto soprattutto per produrre risultati concreti a favore di tutti i cittadini europei.  

Infine, l’Unione europea dovrebbe fare uno sforzo maggiore per sviluppare quel “mercato digitale” che ha indicato tra i suoi obiettivi primari, superando la sindrome della iper regolamentazione e facilitando in tutti i modi il superamento, almeno nel “mondo digitale”, di quelle barriere che nel mondo reale impediscono ancora la realizzazione di un’effettiva Unione tra i Paesi europei.

Si tratterebbe di immaginare una sorta di “Ceca digitale” (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) nella quale realizzare un grande spazio comune per la condivisione e l’utilizzo dei dati digitali, con infrastrutture e risorse adeguate, come sottolineato anche nei rapporti Draghi e Letta.

Servirebbe anche far decollare in Europa un “modello di intelligenze artificiali federate[6] proprio a partire dal mondo del sociale. A cui si potrebbe affiancare un'altra istituzione, come il “Cern dell’Ai” proposto da un gruppo di scienziati tra cui il premio Nobel Giorgio Parisi, dove collocare i ricercatori che costruiranno gli algoritmi delle intelligenze artificiali europee.

Un simile ecosistema europeo della condivisione dei dati digitali servirebbe a favorire la realizzazione di Ai per il sociale, cogestite da corpi intermedi e soggetti dell’economia sociale, insieme al mondo della scienza e con le imprese digitali private, che però si impegnerebbero a rispettare le regole europee.

Condividendo e facendo circolare i dati, l’economia europea potrebbe diventare uno dei luoghi più innovativi al mondo, così come i suoi leader dichiarano ripetutamente di voler fare, proponendo modelli sociali di Ai che non favoriscano però solo lo sviluppo economico ma anche quello sociale e inclusivo, come indicato anche dalla Dottrina sociale della Chiesa , che va a favore di tutti, e non solo di pochi.

 

[1] Cfr. Grossi P., Le comunità intermedie tra moderno e pos-moderno, Marietti,2015; pag. 39

[2] Cfr; Campati A., Corpi intermedi; Dizionario di dottrina sociale della Chiesa; fascicolo 1; 2021; Caritas in veritate, pag. 7

[3] Compendio dottrina sociale della Chiesa 2004, pagg. 168- 441

[4] Papa Francesco, Messaggio per la 58esima giornata delle comunicazioni sociali, Roma, 2024.

[5] Alex Pentland, Fisica sociale, come si propagano le buone idee; Università Bocconi Editore; Mi; 2015; pag. 187

[6] Mario Draghi, Rapporto sulla competitività dell’Europa, pag. 32

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