Decidiamo oggi per un domani sostenibile

La libertà di non essere digitali

La libertà di costruire un futuro sostenibile passa dalla volontà di affrontare le contraddizioni etiche e politiche della vita "phygital". Da una riflessione sul rapporto tra umanità e tecnologia la proposta di prendere “Dieci impegni per la sostenibilità digitale”.

lunedì 6 novembre 2023
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Il futuro di interi comparti industriali è messo in discussione dai vincoli dettati dalle politiche per la sostenibilità ambientale: l'industria del carbone e quella petrolifera ne sono gli esempi principali. Molto meno colpiti sono, invece, l'industria dell’elettronica e, in senso ampio, il comparto digitale. Eppure si tratta di industrie la cui sostenibilità è dubbia, perlomeno sul piano ambientale, visto che fanno ricorso a materie prime ancora in buona parte non rinnovabili e generano numerosi effetti nocivi sulla natura. Basti ricordare l'uso di terre rare, il consumo di energia e il calore emesso dagli enormi data center che si nascondono dietro l'elusiva parola cloud. Senza dimenticare le conseguenze sulla salute a medio e lungo termine, in particolare sugli equilibri psicofisici, individuali e sociali dell’umanità, non solo. Se vogliamo davvero ragionare in termini di one health, dovremmo valutare i costi e i benefici apportati dal digitale alla natura nel suo insieme, agli animali, alle piante, ai microorganismi.  

La ridotta volontà di analizzare e comprendere le molte contraddizioni che riguardano la dubbia sostenibilità dell'industria digitale si spiega in parte con la posizione dominante dell'industria stessa: troppo potente e ricca, forse, per essere veramente controllata. Se, come accade, questo settore è nelle condizioni di imporre le proprie autonome scelte agli organismi internazionali e agli stati nazionali, è difficile si posano imporle regole orientate ad uno sviluppo sostenibile. Si può aggiungere un'altra evidenza. Gli strumenti digitali sono ormai alla base dello svolgimento di ogni attività sociale, politica, economica e finanziaria e culturale. Se anche il digitale è dannoso, sembra evidentemente un danno necessario.

La carenza di un orientamento per vincolare verso lo sviluppo sostenibile l'industria digitale sembra in realtà motivata da anche una implicita ammissione: i mezzi digitali - sensori, dati, basi dati, modelli, software, algoritmi, intelligenze artificiali - appaiono come mezzi essenziali per perseguire politiche orientate alla sostenibilità: l'utilità sembra quindi giustificare la carenza di controlli. A giustificare la carenza di politiche di riduzione dell'impatto ambientale dell'industria digitale concorre poi il fatto che strumenti digitali sono in mano ad ogni cittadino del pianeta. L’ipotesi di togliere di mano alle persone gli smartphone appare come un’ingiustificabile riduzione degli spazi di libertà personale.

Possiamo però porci qualche domanda. Non dobbiamo forse considerare che essere sempre connessi comporta non solo vantaggi, ma anche danni? E poi: in che misura e in che modo il perseguimento di politiche orientate allo sviluppo sostenibile dipende dagli strumenti digitali?

Affidarsi alle tecnologie digitali può essere, per ogni essere umano, un comodo aiuto. Ma è anche un mezzo tramite il quale si diffonde un inedito controllo sociale e si riduce quella consapevolezza, quell'intimo senso di responsabilità personale che sono il sale necessario affinché l'orientamento alla sostenibilità non resti una vana affermazione di principio. Invece di concedere all'industria elettronica e digitale una sorta di esenzione da vincoli orientati alla sostenibilità, ci conviene considerare la sostenibilità digitale un passo necessario verso un futuro più giusto e più sano. E domandarci: il fine giustifica i mezzi?

Torniamo a dirci: in cosa consiste la sostenibilità

La sostenibilità oggi è, agli occhi di tutti, necessaria. Sappiamo di doverci preoccupare del destino nelle generazioni future; del consumo di risorse non rinnovabili; del delicatissimo e precario equilibrio di quel sistema complesso che è la rete della vita, alla quale noi stessi apparteniamo. Dire ci dobbiamo preoccupare significa rivolgersi a noi stessi, esseri umani, cittadini. Se anche le cause di disfunzioni del sistema, se anche la degenerazione dell'ambiente non dipendesse da nostro incauto agire, spetta in ogni caso a noi umani farci carico della ricerca di soluzioni per affrontarla, visto che già ne stiamo prevedendo alcune conseguenze pericolose per il futuro della nostra stessa esistenza.   

Abbiamo imparato a manipolare la natura, abbiamo sviluppato capacità tecniche: sta a noi ora rispettare la natura, evitando di abusare delle nostre capacità. Per farlo dobbiamo dotarci di un senso della misura, del limite, di una saggezza che oltrepassa le analisi costi/benefici né può essere attinta per via di pura ragione, o di calcolo. Serve una saggezza che guardi alle conseguenze future delle azioni che oggi compiamo.

La stessa parola natura, in fondo, ci ricorda questo impegno: vi si legge il senso della forma verbale del participio futuro, scomparsa in italiano, ma molto importante in latino. Ne troviamo traccia in varie parole, tra loro connesse: futuro, venturo, nascituro e natura, coltura e cultura. Espressioni tutte che parlano di ciò che sarà, se noi faremo in modo possa esserci. Se noi sapremo mettere freno all'hybris: l'arroganza, la mancanza di rispetto. Se sapremo porre limite allo spreco e all'aggressione, se sapremo evitare fin dove possibile tutto ciò che danneggia la vita futura.

Quando parliamo di sostenibilità, parliamo di questo. Di una responsabilità che sta sulle nostre spalle. L'essere umani adulti, cittadini attivi, consiste proprio nel farsi carico di questo peso. Consiste nel non cercarsi vie di fuga.

Un secolo di consapevolezza

Se ripercorriamo la storia del Ventesimo Secolo, non è difficile osservare il crescere di un timore pressante, motivato da qualcosa che accade vicino a noi: una minaccia tenebrosa che incombe sulle nostre vite, sulla vita in senso lato.

Nel primo ventennio di quel secolo, quando lo sviluppo sembrava non conoscere limiti e la società industriale sembrava promettere ricchezza per tutti, la rivoluzione scientifica sfornava sempre nuovi ritrovati e alimentava crescenti aspettative, Sigmund Freud, tra gli altri “grandi pensatori” del tempo, coglieva i segni, l'apparire di questa minaccia e, nelle sue riflessioni, sollevava una questione che ancora oggi ci inquieta. I sistemi sociali, politici, economici, urbanisti, logistici, industriali, sono sempre più complessi. I sistemi complessi sono fragili. Nonostante i più accurati modelli, nonostante accurate politiche di gestione del rischio, è difficile prevedere i punti di rottura, gli eventi catastrofali. Si aggiunge il fatto che gli esseri umani - anche lo scienziato, il tecnico - fanno parte del sistema. Il sistema complesso non può essere dunque freddamente osservato, governato dall'esterno. Possiamo prendercene cura, dall’interno, a patto di trovare il modo di prenderci cura di noi stessi.

Oltre a una minaccia esterna, a un nemico visibile, secondo Freud dobbiamo temere una minaccia più subdola, caratterizzata da un risvolto pericoloso, misterioso, nascosto in noi stessi e nella stessa nostra vita quotidiana: una minaccia che involontariamente alimentiamo con i nostri comportamenti. Cent'anni dopo la percezione di questa minaccia è ben più chiara - anche se forse non ancora abbastanza. I sistemi ai quali apparteniamo sono sempre più complessi e più fragili. Anche a casa nostra, nella nostra città, nella nostra terra, nel mondo caldo e familiare dove vorremmo sperare di essere protetti da ogni pericolo esterno, viviamo nel sospetto e nel timore di un pericolo che incombe. Un disastro ecologico, una rottura catastrofica in ciò che chiamiamo 'vita' Di qui nascono i nostri sforzi per costruire un futuro sostenibile.

La vicinanza di questa minaccia a ognuno di noi. Il suo risiedere in noi stessi, in ognuno di noi umani, nella nostra arroganza e nella nostra mancanza di saggezza. Ed il suo nascondersi in ciò che è ci è vicinissimo, ordinario, in ogni nostra relazione interpersonale, ambientale, negli strumenti che abbiamo sempre per le mani. “Una sorta di spaventoso che tocca ciò che ci è familiare”.

Viviamo un groviglio di contraddizioni. Ci suscita spavento ciò che non è noto e familiare. Ma ciò che ci è familiare sappiamo nascondere segreti e pericoli, che preferiamo non vedere. Anzi, che scegliamo di non vedere. Il pericolo dell'insostenibilità del nostro attuale sistema di vita, preferiamo non vederlo.

Sarebbe forse più facile osservare la minaccia da lontano. Certo sappiamo che violazioni enormi all'equilibrio ecologico sono causate da industrie lontane; ci rassicura sapere che ci sono inquinamenti determinati da fattori sui quali non possiamo incidere. Ma è poi così vero che non possiamo incidere? In cuor nostro sappiamo bene che l'insostenibilità ha anche radici familiari. La sua origine sta certo anche, lo sappiamo, nei nostri gesti quotidiani, in quello che accade in casa nostra casa, nella nostra comunità, vicino a noi. Dunque il nostro disagio non discende solo dall'ampiezza smisurata del problema. La minaccia ecologica non ci inquieta solo per le sue dimensioni immani. Ci inquieta per la sua vicinanza, ci inquieta perché ci è familiare: ci tocca da vicino, dipende da noi, dalle azioni che compiamo, o che non riusciamo a compiere.

Facendo un salto nel presente, ecco un primo aggancio tra questa descrizione freudiana della nostra situazione esistenziale - dalla quale potremmo anche difenderci, considerandola datata o troppo generica - ed il nostro modo di vivere oggi, in un contesto pervaso da strumenti digitali. Ciò che vorremmo restasse nascosto non lo è: anche la nostra sfera personale, è costantemente onlife, in famiglia e con gli amici comunichiamo molto spesso tramite gli strumenti digitali. Amazon, Siri o Google maps, solo per fare alcuni esempi, ci permettono di vivere agilmente nella dimensione phygital ogni aspetto della vita: casa, il lavoro, nel tempo libero, nella mobilità. Ogni messaggio è ascoltato e registrato. Siamo invitati a conoscere noi stessi attraverso i nostri gemelli digitali: raccolte di dati, e metadati, affioramenti, violazioni di ciò avrebbe dovuto restare segreto.

Scrive Freud nel 1929: “Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all'ultimo uomo. Lo sanno, da qui buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione”. Le conseguenze dell'estensione del potere umano sulle forze naturali erano motivo di riflessione già quasi cent'anni fa, ben 16 anni prima della prima esplosione atomica.

Oggi abbiamo ancora più motivi per essere preoccupati. Giovandosi di questo potere, oggi più di ieri è facile per gli esseri umani sterminarsi a vicenda. Il potere divarica sempre più la forbice tra ricchezza e la povertà mentre la natura è ancora più di prima un serbatoio di risorse da sfruttare anziché un bene comune. Il codice stesso che sta alla base della vita, il DNA, può essere manipolato. La gestione degli intricati sistemi sociali, politici, economici e finanziari appare sempre più ostica.

Gli Obiettivi dello sviluppo sostenibile indicati dall’Agenda 2030 dell’Onu vogliono essere una risposta a questi interrogativi. Lo spirito della sostenibilità ci dice che l'inquietudine e l'apprensione possono tramutarsi in cittadinanza attiva, in azione politica. Ma resta aperta la domanda: come fare, come governare la complessità? Come mantenere vigile lo sguardo d'insieme e come agire nel caso e nel luogo singolo?

La via di fuga aperta da Turing

Freud parla di come sia difficile per noi umani l'accettare il dunkel, l’oscuro. Eppure, dice, ne siamo capaci. Accettare ciò che ci appare solo come oscuro presagio. Accettare ciò che la scienza non ha saputo ancora dominare, spiegare. Accettare l'incompletezza di ogni modello. Accettare le tenebre del dubbio, della paura, è il punto di partenza. Non a caso negli stessi anni Heidegger parla del cercare la luce, la radura nel bosco. E’ un atteggiamento faticoso. Esige lavoro su di sé, educazione: imparare ad aver fiducia in sé stessi, coltivare l'autostima, cercare scopi significativi ai quali dedicare le energie, il lavoro, e al contempo lavoro sociale e politico.

Esiste forse un cammino più facile? C'è un modo per alleviare il peso che grava sulle nostre spalle?

Certo sarebbe più facile se il peso gravasse sulle spalle di qualcun altro. E sarebbe più facile anche se ad ogni domanda fosse possibile dare la risposta esatta. Sarebbe più facile se la soluzione dei problemi fosse a portata di mano, bell'e pronta.

E’ qui che entra in gioco Alan Turing, i cui studi sono portatori di una risposta logico-formale, matematica, alle inquietudini descritte da Freud. Mentre Freud ci invita a guardare alle nostre tenebre interiori, al nostro stesso essere stranieri a noi stessi, scienziati e filosofi tentano di definire linguaggi capaci di rendere esplicita ogni oscurità, linguaggi capaci di descrivere ogni cosa. Secondo Turing se gli esseri umani non saranno capaci di descrivere con esattezza il mondo, e di governarlo, allora converrà affidarsi a macchine capaci di tutto ciò. Questa era l'intenzione che ha mosso Turing nel concepire una macchina in grado di svolgere ogni tipo di calcolo, e di pensare al posto dell'essere umano: non posso fidarmi di me stesso, non posso fidarmi di nessuno, non sono in grado di affrontare i problemi che rendono triste e infelice la mia vita. Proviamo con la macchina. Affidiamoci alla macchina.

Tra gli Anni Trenta e gli Anni Cinquanta del secolo scorso - lo spazio che intercorre tra i due più importanti articoli scritti da Turing - si consolida dunque la comoda via di uscita. Negli anni successivi, fino ad oggi, niente di sostanziale cambia in questo progetto elusivo, così come niente di sostanziale cambia nell'architettura della macchina. Ciò che cambia, crescendo enormemente, è solo la potenza di calcolo della macchina. Quindi, per chi vuole crederci, la capacità della macchina di gestione dei sistemi complessi attraverso scelte “intelligenti”.

Chi può farsi carico di questa responsabilità meglio di noi umani, al posto di noi umani? La risposta passa attraverso la tecnica. La tecnica può offrirci il modo di liberarci del peso, della responsabilità implicita nella gestione dei sistemi complessi. La tecnica può sgravarci dal peso di decisioni difficili, dolorose. La tecnica propone, nel Ventesimo Secolo, la macchina come sostituto dell'umano. La macchina ci appare sempre più evoluta, autonoma.

Mentre i problemi della sostenibilità si aggravano, cresce contestualmente la propaganda tesa a mostrarci la potenza e l'efficacia di vari ritrovati riassunti sotto l'emblematica definizione di ‘Intelligenza Artificiale’.  Macchine capaci di scegliere e decidere. Macchine capaci di rispondere ad ogni domanda. Non è un peso leggero quello che grava sulle nostre spalle. A quale appiglio possiamo afferrarci? Lasciamo che macchine lavorino per noi!

Il senso profondo dello sviluppo sostenibile

Un conto è, per noi umani, costruire ed usare macchine sempre più evolute, performanti. Un conto è essere giunti a progettare macchine che ci sostituiscano in toto. Freud ci parla delle sue preoccupazioni, che sono anche le nostre, le preoccupazioni di ogni cittadino del pianeta. Turing cerca un modo per togliersi il peso di dosso: macchine in grado di lavorare e pensare al posto nostro. Eccoci quindi a sperare che sempre nuove innovazioni tecnologiche offrano soluzione ai problemi che ogni giorno ci appaiono più intricati e privi di evidenti vie d'uscita. Eccoci a credere che algoritmi - percorsi, procedure definite a priori - ci portino fuori dalle zone di pericolo. Eccoci a cercare vari tipi di Intelligenza Artificiale ai quali affidarsi.

Le macchine digitali con le quali abbiamo a che fare in ogni attimo della nostra vita non sono sempre e solo un aiuto. Lo sappiamo bene. Ci tolgono libertà, ci condizionano, ci provocano malessere e disagi. Ma essendo queste macchine la rappresentazione simbolica di un altro da noi che si fa carico al nostro posto di ogni responsabilità, non vogliamo rinunciarci. Abbiamo paura, quindi ci affidiamo alle macchine affinché tolgano le castagne dal fuoco al posto nostro. Ma così facendo sminuiamo noi stessi, pregiudicando in questo modo il nostro futuro: vogliamo forse essere sempre più dipendenti da macchine? Non credo sia il futuro che auspichiamo quando parliamo di sostenibilità.

Ci appare così messa in luce una lettura pericolosa dello sviluppo sostenibile. Una pressante propaganda ci porta a credere che la soluzione di ogni problema stia nello sviluppo. Rischiamo di non chiederci più: quale sviluppo? Sviluppo di cosa? In che direzione? A favore di chi? L'accettazione e l'uso della tecnologia è certo un passo necessario verso il futuro. Ma altrettanto necessario sarebbe domandarsi quali sono i futuri possibili verso cui vorremmo dirigerci e quali, invece, vorremmo evitare.

L'orientamento alla sostenibilità dovrebbe passare attraverso la rinuncia a certi tipi di sviluppo e la rinuncia all’uso delle potenzialità di certe tecnologie. Dovrebbe passare attraverso una conversione culturale che porta ad abbandonare strade forse più facili ma sicuramente pericolose, quelle imposte dall'illusorio affidamento a macchine autonome e del ritorno alla volontà di farci carico della nostra quota di responsabilità. Oggi non è così.

Dieci impegni per la sostenibilità digitale

Se scegliamo di non affidarci ciecamente alla macchina, se rifiutiamo questa via di fuga, se vogliamo rimboccarci le maniche e affrontare i problemi che mettono in dubbio il nostro futuro, allora il nostro impegno si concretizza innanzitutto nell'evitare che le macchine digitali limitino il nostro sguardo e la nostra capacità di azione.

Il primo passo verso lo sviluppo sostenibile è quello di costruire uno sviluppo digitale sostenibile. Se il valore dell’aggettivo qualificativo “sostenibile” deve dare una qualità intrinseca al significato di “sviluppo” è necessario valutare come contenere lo spazio e il potere occupato dal mondo digitale nella vita umana. Occorre una riflessione, politica e culturale, estesa e partecipata, che non coinvolga solo gli “esperti” ma i cittadini, le “persone comuni”, anche quelle preoccupate o spaventate dal dominio della vita phygital. Perché gli esperti dovrebbero riconoscere di essere, prima di tutto, dei cittadini. Con l’intenzione di contribuire a queste riflessioni propongo al pubblico di Futura Network e all’ASviS di partecipare a una riflessione condivisa sull’argomento, per contribuire a dare concretezza e mettere in pratica la cultura della sostenibilità, attraverso la proposta di assumere “Dieci impegni per la sostenibilità digitale”*.

1) Impegniamoci ad applicare all'industria elettronica e digitale gli stessi criteri applicati alle altre industrie.

Non danneggiare l'ambiente attraverso l'eccessivo consumo di energia e l'uso di materie prime non rinnovabili e non compromettere il futuro con politiche miopi legate al breve periodo: sono obiettivi universalmente accettati. Le politiche sono efficaci solo se la loro applicazione è universale. Esentare un settore industriale da politiche orientate alla sostenibilità, o lasciare la scelta e l'attuazione di tali politiche all'autoregolazione di chi guida il settore stesso, significa compromettere il complessivo orientamento alla sostenibilità.

2) Impegniamoci a tutelare il diritto alla disconnessione: affinché le comunicazioni per via digitale non siano una condizione inevitabile nelle relazioni tra umani.

Viviamo - si dice - nell'onlife, in un'infosfera, eternamente connessi. Sembra quasi esserci il gusto di trovare nuove parole per nascondere la gravità della situazione. Per molti osservatori si tratta di una condizione ormai irreversibile. Ma le politiche orientate alla sostenibilità cercano proprio questo: l'inversione di trend pericolosi.

Parlare, stare insieme, convivere senza che per farlo sia necessario usare strumenti digitali, senza che ogni nostra parola ed ogni nostro gesto e parola sia mediato, osservato e registrato: si tratta di diritti che dobbiamo considerare inalienabili.

Dobbiamo garantire a noi stessi ed ai nostri posteri il diritto alla disconnessione.

3) Impegniamoci ad evitare che siano imposti a noi umani mondi già costruiti.

Apparteniamo alla natura, ma contribuiamo a costruirla con il nostro agire quotidiano. Il mondo fisico è co-costruito dagli esseri umani che vi vivono. I mondi digitali sono invece offerti, o imposti, come già totalmente costruiti. Nei mondi digitali il cittadino è ridotto ad essere un utente, senza la possibilità e gli strumenti per progettarli e gestirli. Ogni essere umano deve poter modificare - e quindi poter curare, proteggere, “fare proprio” - l'ambiente nel quale si trova a vivere, e del quale fa parte, anche quello digitale. Dobbiamo immaginare uno sviluppo digitale dove la stessa azione responsabile di ogni cittadino sia possibile.

4) Impegniamoci a lasciare aperta la possibilità di scegliere quali servizi digitali usare e quali non usare.

Gli spazi di libertà nel mondo digitale sono via via sempre più ridotti alla scelta tra servizi preconfezionati. Ma tali servizi non sono solo offerti: sono sottilmente imposti, per via di consigli capziosi, notifiche sottilmente invitanti, ma anche tramite contratti opachi e norme di legge che guardano più all'interesse del fornitore che all'interesse del cittadino. Un insieme di strategie di marketing che nascono bel prima dell'avvento degli strumenti digitali ma sono esponenzialmente potenziate dagli strumenti digitali stesso. Occorre lasciare alle persone la libertà di formulare di volta in volta scelte consapevoli.

5) Impegniamoci a garantire che tramite macchine non siano compressi gli spazi di libertà e non sia imposto agli umani l'obbligo di compiere azioni predeterminate.

La libertà è spazio per sperimentare, tentare, creare, apprendere. Il contesto digitale offre alla politica strumenti di governo che riducono la portata dei diritti civili. Tramite mezzi digitali, magari con la giustificazione di una superiore conoscenza di ciò è “bene” per ogni singolo cittadino, si impongono gravi limitazioni al libero arbitrio. Conseguente al punto precedente, che riguarda in particolare i comportamenti d'acquisto, questo impegno si allarga alla vasta scena della democrazia liberale e dei meccanismi del controllo sociale.

Se alla fiducia nelle scelte individuali si sostituisce il paternalismo, viene meno la partecipazione civica necessaria ad ogni progetto orientato ad obiettivi di sostenibilità. Dobbiamo cercare uno sviluppo digitale rivolto alla difesa e all'ampliamento degli spazi di libertà di ogni cittadino.

6) Impegniamoci a non guardare e a non giudicare l'essere umano attraverso il suo "gemello digitale".

La natura vista allo specchio non è la natura. La mappa non è il territorio. I dati non sono mai tutti i dati, e non sono mai abbastanza per poter restituire una visione completa. Eppure si è affermata l'idea che ogni oggetto e accadimento del mondo, ogni aspetto della natura e quindi ogni essere umano possano essere conosciuti e compresi attraverso la sua immagine digitale.

Tramite gli strumenti che abbiamo costantemente in mano e addosso, tramite i sensori e i sistemi di rilevazione di vario tipo diffusi in ogni ambiente, si raccolgono dati su ogni essere umano. E’ opinione diffusa che noi siamo quello che appariamo attraverso questi dati, noi siamo i nostri ‘gemelli digitali’. Siamo arrivati a ritenere giusto adeguarsi alla rappresentazione di noi determinata dai dati. Sappiamo che la natura (e l’essere umano) è qualcosa di più, di differente, da ciò che i dati più completi e precisi possano attestare. Le persone però non hanno nessun controllo sul modo in cui viene costruito questo ‘gemello digitale’. L'antichissimo monito rivolto all'essere umano: 'conosci te stesso' viene così messo in discussione. Dobbiamo immaginare strumenti che mettano nelle mani delle persone la costruzione della propria immagine digitale.

7) Impegniamoci a non separare la mente dal corpo e a rispettare l'integrità de corpo umano.

L'intero progetto digitale è frutto di un approccio cartesiano che considera una sola parte del complessivo essere umano: le sue capacità intellettive. Il corpo è considerato una mera estensione. La computer science si concentra - tentando di imitarne il funzionamento – soprattutto su sola parte del corpo umano: il cervello. In virtù del parallelismo tra umani e macchine proposto da Turing, però, si finisce per confrontare le Intelligenze Artificiali con l’essere umano per intero, del quale si propongono banali sostituzioni con avatar o immagini tridimensionali.

Ricordiamo che l'essere umano non si riduce alla sua mente. La mente è incarnata, inconcepibile senza corpo. Le capacità intellettive sono frutto di lavoro ed esperienza che coinvolgono il corpo nella sua interezza. Protesi e tecnologie biomediche che sostituiscono organi malati sono benvenute ma dobbiamo fare attenzione al loro uso in nome del “potenziamento”, valutare la sostenibilità delle soglie che si aprono ai confini della contaminazione tra corpo e dispositivi. Abbiamo il diritto di non veder reso inutile il nostro corpo da protesi e strumenti digitali.

8) Impegniamoci a mantenere vivo il diritto al lavoro. 

Riflettiamo sulle definizioni riduttive del concetto di lavoro. Il lavoro non è solo fatica e pena dalle quali conviene liberarsi. Non esiste confine tra “lavoro manuale” e “lavoro intellettuale”. Il lavoro non è solo fonte di remunerazione; ha piena dignità di lavoro anche una attività svolta gratuitamente. Il lavoro è costruzione di sé stessi e del mondo.

Di fronte alla promessa, o alla minaccia, di una sostituzione per via digitale di ogni tipo di lavoro svolto dagli esseri umani, è necessario non parlare genericamente di “lavoro”. Serve tornare a parlare e considerare esplicitamente il “lavoro umano”, nella sua pienezza: gli aspetti materiali e immateriali sono inscindibili, così come è inscindibile il pensare dall'agire. Dobbiamo evitare che intelligenze artificiali, automazione e robotica tolgano senso e spazio al “lavoro umano”.

9) Nove. Impegniamoci a garantire che la presenza di macchine di qualsiasi tipo non costringa gli umani a svalutare sé stessi, all'impoverimento e alla dipendenza.

Costrutti digitali autonomi acquistano sempre nuovo spazio come sostituti dell'essere umano non solo nel lavoro materiale, ma anche nelle più sofisticate attività dove sono in gioco esperienza, capacità di giudizio, rapidità di decisione.

La scelta di chi - un umano o una macchina - debba essere, in situazione critica o in caso di emergenza, il decisore in ultima istanza, non è solo una scelta tecnica: è una scelta culturale ed etica.

Le macchine disporranno, secondo alcuni, non solo di una crescente razionalità, ma anche della capacità di formulare giudizi morali. Dentro ogni algoritmo, dietro l'agire di ogni intelligenza artificiale, si cela l’impostazione di chi le ha progettate e chi le gestisce: grandi imprese dominate da una visione e da interessi - finanziari, politici, sociali, culturali - spesso in contrasto con la ricerca di uno sviluppo realmente sostenibile.

Privato della possibilità di sperimentare sé stesso nella situazione estrema, su terreni sconosciuti, di fronte al nuovo e all'ignoto, l'essere umano impigrisce, perde fiducia in sé stesso, compromette la propria crescita. Forse non è esagerato dire che la sostituzione dell'essere umano con le macchine mette in discussione lo stesso futuro evolutivo della specie umana.

Nel breve termine, l’umanità rischia di perdere anche la capacità di fare le necessarie scelte orientate ad uno sviluppo sostenibile. Saremo così di fronte ad una profezia che si autoavvera: le politiche e le azioni orientate ad uno sviluppo sostenibile saranno affidate alle macchine. Dobbiamo garantire a noi stessi e alle generazioni umane future la possibilità di conoscere, di apprendere, di migliorare.

10) Impegniamoci a garantire a noi stessi e alle future generazioni la possibilità di vivere senza strumenti digitali. La libertà di non essere digitali.

Quest'ultimo impegno sintetizza i precedenti ed offre lo spunto per una riflessione conclusiva.

Vivere senza dover necessariamente ricorrere, in un modo o in un altro, a strumenti digitali appare già oggi impossibile. Difficile immaginare che questo sia possibile domani. I dati ci mostrano quanto sia difficile, realisticamente inimmaginabile, poter raggiungere i 17 Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile proposti dall’Agenda 2030 Onu ma non per questo stiamo rinunciando agli Obiettivi o riducendo gli sforzi. Anzi.

Abbiamo motivi per temere un futuro fosco ma sappiamo che questa minaccia non viene solo da lontano, da fuori: la minaccia viene anche da noi stessi, dai nostri personali comportamenti insensati, privi di saggezza. Da questo nasce la responsabilità di cui ogni essere umano è chiamato a farsi carico. Abbiamo una di fuga: attribuire il peso della responsabilità a macchine sempre più autonome da noi. Sta a noi scegliere. Se scegliamo la via della responsabilità è necessario preoccuparci della direzione verso cui sta andando l'industria digitale e interrogarci su come le nostre vite siano condizionate dagli strumenti digitali.

 

* I contenuti dei “Dieci impegni per la sostenibilità digitale” sono la prima versione pubblica di un testo che auspico possa venire rielaborato e diffuso attraverso un processo di riflessione condiviso con le persone e le organizzazioni che operano per dare concretezza ai principi e gli Obiettivi dell’Agenda 2030, a partire dalla comunità dell’ASviS.

Fonte dell'immagine di copertina: Tobias Tullius/unsplash