La finanza sostenibile alla prova del mercato
Gli attuali sistemi economici, spesso volatili e irrazionali, sono ancora immaturi per apprezzare i benefici della sostenibilità nel mondo finanziario.
di Renato Chahinian, consulente-ricercatore in Economia e finanza dello sviluppo sostenibile
Lo sviluppo sostenibile, che tutti desideriamo, ha bisogno di risorse umane capaci di realizzarlo, ma anche di capitali (risorse finanziarie) adeguate. Qualsiasi iniziativa per raggiungerlo richiede un investimento di capitale e, poiché il capitale pubblico disponibile è sempre limitato e quello privato da impiegare a fondo perduto (donazioni) non può essere sufficiente, è essenziale pure l’intervento della finanza sostenibile (finanziamento remunerato, seppur con criteri di equità e non di massimizzazione del rendimento).
Tale soluzione, certamente obbligata e coerente anche in rapporto all’eticità del fine, non è esente da pericoli di varia natura che potrebbero vanificare le operazioni relative e ritardare o addirittura deviare la traiettoria dello sviluppo. Si tratta soprattutto di questioni relative all’oggetto dell’investimento e alla funzionalità dei mercati finanziari in cui anche la finanza sostenibile deve operare.
L’oggetto dell’investimento sostenibile
È chiaro che qualsiasi investitore convertito ai principi della sostenibilità deve essere sicuro che l’attività da lui finanziata abbia effettivamente tale requisito e che quindi non si propongano attività mascherate (il cosiddetto greenwashing). A tale proposito, si è già notato che la stessa Unione europea, per ragioni di una lenta transizione verso le energie rinnovabili, ha dovuto ammettere la sostenibilità (seppur temporanea) anche del gas (combustibile fossile climalterante, anche se con intensità inferiore). Pertanto, al momento, il finanziamento di investimenti e di imprese che operano in questo settore (anche con i connessi risultati speculativi conseguiti nei mercati di riferimento) viene considerato meritorio per lo sviluppo sostenibile.
Ma i rischi più diffusi si collocano in tutte quelle attività parzialmente sostenibili, ossia praticamente ancora in tutte le attività delle organizzazioni, ove, a fianco di investimenti che effettivamente mirano a un miglioramento sociale o ambientale, si accompagnano altre attività (spesso preponderanti) che invece vanno nella direzione opposta (cioè di contravvenire a qualche obiettivo Onu). Si può così arrivare anche a situazioni limite, in cui, ad esempio, l’uso sistematico di sostanze inquinanti nei processi produttivi e/o lo sfruttamento dei lavoratori all’estero viene arbitrariamente sorvolato, per mettere in evidenza una benemerita offerta per fini culturali od umanitari.
Tali distorsioni dovrebbero scomparire con le nuove direttive Ue che andranno in vigore a partire dal prossimo anno e che imporranno vincoli più stringenti alle grandi aziende nell’illustrare e motivare le proprie strategie di investimento nei confronti della sostenibilità. Tali disposizioni, che gradualmente si espanderanno a imprese di minori dimensioni, sono state concepite in maniera efficace, in quanto vi sono comprese pure le imprese finanziarie (ossia le banche), le quali, per dimostrare il loro grado di sostenibilità, dovranno indicare anche la sostenibilità dei loro debitori. Parallelamente, le imprese non finanziarie, se tenute alla dichiarazione non finanziaria, devono indicare la situazione di sostenibilità di tutti i loro fornitori (anche piccoli) nelle relative catene di approvvigionamento. A regime (tra qualche anno), praticamente tutte le imprese (ma anche il terzo settore) dovranno fornire informazioni attendibili sul grado della propria sostenibilità.
Ma, a questo punto, rimane sempre il fatto che la totale sostenibilità è lunga da raggiungere e quindi comunque il finanziamento dell’investitore sostenibile andrebbe a supportare anche attività in contrasto esercitate dalla medesima azienda. Per essere sicuri che quanto si finanzia sia effettivamente sostenibile, bisognerebbe ricorrere a qualche innovazione giuridicamente più forte. Una prescrizione efficace sarebbe quella di separare contabilmente, all’interno dell’impresa, i flussi economici (costi e ricavi) attinenti alle attività sicuramente sostenibili dalle altre.
Oggigiorno le tecniche e le elaborazioni di contabilità analitica consentono agevolmente di separare i flussi e i fondi delle diverse attività aziendali e ciò andrebbe a vantaggio dell’investitore che periodicamente avrebbe a disposizione con chiarezza i risultati particolari del suo impiego di capitale, senza il timore che il suo contributo possa perdersi nei meandri della diversificata finanza aziendale.
Tra l’altro, detto accorgimento si presterebbe a risolvere meglio l’attuale situazione, in cui in pratica (tranne qualche dichiarato caso di impresa sociale o di società benefit) nessuna azienda può dirsi già interamente sostenibile e pertanto ciascuna società avviata su questo percorso potrebbe proporsi alla finanza sostenibile esattamente per i suoi fabbisogni di iniziative virtuose, rivolgendosi per il resto alla finanza tradizionale.
In questo modo, si avrebbe un mercato di prestiti (bancari e obbligazionari) sostenibili e pure un mercato azionario di attività sostenibili (infatti, anche per le azioni si possono separare, eventualmente con qualche lieve modifica alla normativa esistente, le attività che fanno capo a “patrimoni destinati ad uno specifico affare”, secondo gli articoli 2447 bis e seguenti del Codice civile). Detta separazione potrebbe così permettere di evitare anche il “contagio” tra le tendenze volatili dei titoli scambiati nei mercati finanziari tradizionali e l’andamento obiettivamente più stabile dei mercati relativi ai titoli sostenibili, come si osserverà nel prossimo paragrafo.
La finanza sostenibile nei mercati finanziari tradizionali
La finanza sostenibile può essere praticata investendo direttamente in attività di organizzazioni conosciute, anche di modeste dimensioni in ambito locale, oppure (più frequentemente) acquistando titoli (azionari o obbligazionari) di società sostenibili in Borsa, sia come investitori diretti, sia come sottoscrittori di fondi d’investimento comuni aperti, che comunque oggi operano anche nel campo dei fattori Esg di sostenibilità. In entrambi i casi, i fondi derivano per lo più da piccoli risparmiatori, i quali, sensibili alle meritorie prospettive dello sviluppo sostenibile, ritengono di accontentarsi di un rendimento modesto per i propri risparmi, ma pure in considerazione che le attività in cui investono non sono speculative e sono meno volatili nelle quotazioni, in caso di dover smobilizzare l’investimento per i fabbisogni personali di liquidità.
Purtroppo recentemente le cose non sono andate così come teoricamente ci si dovrebbe aspettare. Tutti i titoli obbligazionari sul mercato (da quelli più insostenibili e speculativi, ai prestiti per i più lodevoli intenti socio-ambientali) sono stati svalutati drasticamente dal sopravvento dei più elevati tassi d’interesse di mercato, a seguito dell’impennata inflazionistica e pertanto i sottoscrittori ora non possono smobilizzare il loro investimento se non con perdite molto elevate. Le azioni, poi, anche qui senza alcuna distinzione fra le società più o meno sostenibili, hanno subito un crollo delle loro quotazioni a causa di vari avvenimenti di incerto esito (guerra, maggiori costi energetici, crisi finanziaria di alcune banche), indipendentemente dagli effetti sulla propria attività meritevole di finanziamento, con l’uguale risultato di dover ora vendere in perdita i titoli acquistati.
In altri termini, la finanza sostenibile ha dovuto soggiacere alle irrazionali tendenze della finanza tradizionale, la quale, non soltanto non riesce a valutare in maniera differente la sostenibilità, ma addirittura si comporta in modo difforme dalle corrette valutazioni economiche delle società rappresentate, dando luogo a quotazioni spesso lontane dai reali valori aziendali. In particolare:
- le obbligazioni sostenibili sono meno rischiose delle altre e quindi il loro valore andrebbe scontato a un tasso d’interesse inferiore;
- le azioni di una società sostenibile comportano pure un rischio inferiore nel medio-lungo termine e quindi il loro rendimento soddisfacente a breve dovrebbe pure essere inferiore alla media di mercato, presentando così una quotazione superiore;
- tutti i movimenti speculativi di mercato dovrebbero influire marginalmente sui valori dei titoli sostenibili, perché avrebbero un peso pressoché nullo in un’ottica di lungo termine.
Per semplificare, il valore economico di un’impresa deriva dal suo capitale di esercizio (cioè dal suo valore di bilancio), se il suo rendimento è in linea con la media del mercato, altrimenti detto valore sale o scende, a seconda dell’evoluzione futura di tale rendimento; ma una simile razionale quotazione spesso non si verifica nella pratica dei mercati. Se poi l’attività d’impresa è sostenibile, il suo stesso valore economico dovrebbe essere ancora maggiore di quello sopra indicato, in quanto i benefici sociali o ambientali che si produrranno daranno luogo anche a benefici economici in termini di maggiori ricavi o di minori costi nel medio-lungo termine; ma attualmente pure questo fatto non viene affatto valutato.
Sino a quando il mercato non capirà queste fondamentali considerazioni di economia aziendale, sarà molto difficile che si instauri una finanza sostenibile valida ed efficace, in grado di finanziare l’enorme massa di investimenti necessari al raggiungimento di un soddisfacente grado di sviluppo sostenibile.
Con le nuove direttive Ue si sta effettivamente lavorando anche in tal senso e il problema cruciale dei mercati finanziari è proprio quello della valutazione economica dell’investimento sostenibile, che ancora non pare sia stato debitamente approfondito, essendo certamente un problema molto complesso.
Comunque, la separazione indicata nel paragrafo precedente (tra i titoli sostenibili e quelli che non lo sono) stimolerebbe la ricerca delle distinzioni e di una valutazione specifica per i primi. Al riguardo è pure da segnalare che è in via di definizione un progetto sperimentale per l’istituzione di un mercato finanziario di titoli sostenibili promosso dalla Camera di commercio di Torino.